Fine anni ’70, a Catanzaro, durante una delle innumerevoli fasi del processo. Non sempre presente. Dalla notte del 12 dicembre ho dovuto attendere la fine solo nel gennaio 1986. Non intendo, però, né qui né altrove, fare la cronistoria con annessa lamentazione. Di altro mi va parlare. Una sera scendo a Soverato, con avvocato e scorta, dove ci hanno indicato un locale dal pesce fresco e buona cucina. Al tavolo prossimo al nostro Claudio Gargiulo. Una cascata di capelli rossi, legale di parte civile per la Banca dell’Agricoltura. Accostiamo i tavoli con il tacito accordo, gesto rispettoso di correttezza professionale, di parlare di tutto salvo del processo e dintorni. Ci troviamo su sponda avversa: accusatore egli io accusato. Piazza Fontana, 16 le vittime, la bomba la strage le indagini convulse e faziose rossi e neri l’ombra inquietante di Servizi Segreti deviati (?) bandiere al vento pugni chiusi bastoni lacrimogeni. La pubblicazione de La strage di stato (ambigua ma di successo) che contribuì ad orientare una parte dell’opinione pubblica – malevola e indirizzata contro – la cui impostazione, beh, sorvoliamo… (Quest’anno il suo anniversario, cinquant’anni, ci imporrà tornarci sopra… forse). Si parla di cultura, di Carlo Michelstaedter il filosofo goriziano morto suicida a soli 23 anni oggetto della mia tesi di laurea (modesta senza falsa modestia), di poesia – ed io cito alcuni versi tratti dai Pisan Cantos dove Pound ricorda ‘Ben e Clara’.
Degli anni trascorsi a Regina Coeli, personaggi noti alle cronache, da Walter Chiari alla ‘corte’ di Franck Coppola. E racconto di quando ebbi impressione volesse ‘farmi una proposta da non poter rifiutare’ (genere modello Il Padrino), avendomi dimostrato particolare simpatia. Eravamo in cortile e si passeggiava, simili a belve in gabbia, avanti indietro. Mi fermo. Lo guardo diritto. ‘Ho giurato d’essere fedele alla Rivoluzione (con troppa enfasi) e un uomo giura una volta e per sempre (più o meno le parole)’. A sua volta mi guarda diritto mi stringe il braccio non aggiunge nulla. Mi interrompe l’avvocato Gargiulo. Ricorda d’avere assistito al tripudio osceno della folla dopo il 25 luglio del ’43. La caduta del Fascismo; l’arresto di Mussolini. Osceno, non perché ne avesse nostalgia (non credo abbia aderito alla RSI), ma in quanto era la medesima folla che s’era accalcata a inneggiare al Duce a piazza Venezia che, ora, percorreva le vie dell’Urbe con le bandiere rosse il ghigno del vincitore (?) sguaiata nel gesto e nel verso a scalpellare scritte e simboli. Una sola scelta, inossidabile: mai con i perdenti. Fu allora, aggiunse, che decise di non aderire ad alcun partito… Avrei voluto commentare che vi furono – giovani e meno giovani, minoranza forse, generosi e sprovveduti, ma questo é il prezzo richiesto dalla storia – che decisero di schierarsi, nell’immediato e concitato insulto del successivo 8 di settembre. Scelsero per non essere scelti e sottoscrissero il patto di fedeltà con il proprio sangue. Lo fece il mio avvocato, ancora studente, raccontando d’essersi arruolato nel corpi speciali inglesi e paracadutato per azioni di sabotaggio in Nord Italia; così come, l’altro mio legale, vestendo la giubba della Decima MAS e operando nel settore propaganda. E me lo rammentava Ugo Franzolin, già corrispondente di guerra, quando si prendeva una tazza di tè nei pressi di Fontana di Trevi. Giurare una sola volta e per sempre; mai sentirsi un voltagabbana… E’ ciò che si va definendo stile oppure solo questione di buongusto? In questi tempi mali potrebbe essere più comodo parlare di ottusa testardaggine. Preferisco viverla simile ad una ossessione che un optional, pur consapevole che non posso vantare certezza alcuna d’essere stato sempre fedele alla consegna.
E’ Nietzsche (?) ad affermare come la presenza di uno Stile implica che vi sia stato un Capo a tracciarne il percorso. Ho avuto un Capo e l’ho scelto liberamente. Diciotto anni, credo, nei pressi della mia abitazione a Santa Maria Maggiore in un pomeriggio d’incipiente autunno. Un incontro casuale. Supero l’innata ritrosia, lo avvicino. Non possiedo il fisico dell’attivista, così esile e imbranato, me ne faccio un limite (oltre mi ritroverò in Drieu la Rochelle quando dichiara d’essere divenuto fascista volendo misurare le proprie forze, superare la decadenza). Me ne dolgo. Non servono troppe parole per trovare la risposta giusta. Senza obbligo, decido. Forse solo il tempo e le circostanze hanno concorso alla scelta. E l’animo inquieto. Amor fati… E questo Capo ha coabitato con l’irriverenza anarchica l’insofferenza per i confini le gabbie e il mettersi costantemente in gioco cercando oltre l’angolo di appagare ogni curiosità della mente e della carne – quel duplice linguaggio tenuto in conflitto dalle pretese intellettuali e vili della superiorità della ragione, mentre il sangue è spirito e, contemporaneo, lo spirito circola vivo e forte nelle pulsioni della carne. Io libertario nei principi, fascista nei valori. Tollerando le contraddizioni. Mi sono soffermato e brevemente su quell’inizio, tenendo a mente poche righe del Platone ultimo – le Leggi – ove accenna all’inizio quale divinità che, coabitando tra gli uomini, salva ogni cosa. Non è mio intento la cronistoria di un cameratismo… Gli episodi tanti da narrare, tante le idee condivise , un vissuto intrecciatosi anche in vicende d’ordine familiare. Alcune di queste tappe uniche e fondamentali. Sarebbe, però, un denudarsi con il rischio della vanteria di comodo o del ciarpame dei vecchi ricordi. Avere una storia non implica renderla simile a graffiti sulla pietra. Del resto il 25 luglio ci insegna, amaro, che anche la pietra cede allo scalpello.
Con la memoria – e non sempre – preserviamo le immagini nel corso del tempo. Eppure qualcosa… frammenti. Carcere di Regina Coeli. Incontro Ciccio Franco. Ci si parla brevemente. Mi accenna di aver fatto il mio nome durante i giorni della rivolta di Reggio in presenza di Stefano. Aggiunge che aveva gli occhi lucidi. Soprattutto di essersi rifiutato di smentire il contenuto del suo verbale in mio favore in cambio la promessa di revoca del mandato di cattura a suo carico (l’equivalente sarebbe stata la mia condanna all’ergastolo!). Mi tengo il nome del garante la proposta… Taccio di altro ancora. Ho avuto un Capo. Oggi egli rimane immagine virtuale ma i sentimenti sono più forti la distanza le difformità il silenzio.
Mario Michele Merlino