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1 Febbraio 2025
Attualità

Babbo Natale, l’Ucraina e la Coca Cola – Roberto Pecchioli

Da ragazzo amavo lo slogan “né vodka, né Coca Cola”, a significare il contemporaneo rigetto del modello consumista americano e del collettivismo sovietico. Resto convinto, come allora, che i due sistemi, materialismi apparentemente opposti, siano fratelli naturali, Romolo e Remo che non fondano città ma avvelenano l’anima. Uno dei due è morto, l’altro domina il mondo – o parte di esso – con risultati esiziali. La forma merce ha colonizzato l’immaginario rendendoci clienti , anzi dipendenti del desiderio continuamente rilanciato. La sua vittoria è ostentata in questi giorni sui muri rimasti intatti della martoriata Ucraina con una pubblicità rivoltante. Un Babbo Natale dal volto felice – nello scenario di una guerra tragica! – sorseggia la bevanda globalista per eccellenza mentre sopra di lui campeggia uno slogan raggelante: la traduzione è “per fortuna c’è la Coca Cola.”

Non lo vedremo sulle pagine dei giornali di sistema o tra le immagini televisive natalizie. Potrebbe destare ripulsa in qualche spirito libero. Indigna vedere il vecchio barbuto testimonial del prodotto simbolo dell’universo mercantile proprio nella nazione che sta subendo sulla carne, sul sacrificio dei suoi giovani e sul furto del suo futuro, il totalitarismo occidentale nella forma di una guerra i cui scopi di dominio geopolitico sfuggono solo a chi chiude gli occhi e tappa le orecchie. Il circo cinico del consumo non risparmia il lutto, la distruzione, la sofferenza.

Essenziale non è solamente vendere a caro prezzo un prodotto. Conta affermare il predominio del consumo, la fortuna di vivere, attraverso il feticismo della merce, nel Truman Show occidentale. Benvenuti nell’inferno travestito da paradiso dell’avere per consumare. In Ucraina più che altrove: produci (armi, soldati da mandare al macello, ragazze da sfruttare per il piacere, bambini da vendere ai ricchi sterili d’Occidente, ventri da affittare) consuma (quanto è pubblicizzato dal carosello h.24) crepa (tra il fango e la neve in una guerra voluta da potenti al calduccio in ricche dimore).

La vera vittoria di un sistema infame è trasformare le persone, diventate individui e poi monadi desideranti, in ingranaggi della mega macchina: un totalitarismo mai visto in grado di infettare ogni aspetto dell’umano, dalla coscienza alle azioni, alle scelte, ai pensieri. Meno male che c’è il consumo, quella bevanda, quel marchio, il valore di scambio che ribalta il valore d’uso, il desiderio placato per un breve attimo. Per fortuna che anche in guerra – un conflitto voluto, cercato, finanziato da oligarchie straniere – è offerto a un popolo distrutto il conforto della Coca Cola, ovvero la partecipazione al sistema-merce. Per fortuna che c’è Babbo Natale, il vecchio che porta doni pagati a caro prezzo, il vicario laico e materialista del bambino Gesù.

La tradizione sovietica, più sincera nel suo quadrato ateismo, lo chiamava Nonno Gelo. Di qua del muro caduto nel 1989 ( finiremo per dire purtroppo) lo spettacolo di fine anno, dopo il Black Friday degli sconti e il baccanale en travesti di Halloween (il calendario del supermercato globale è fitto di date da santificare con carta di credito) prevede la maschera di Babbo Natale, simbolo di una bontà finta fatta di oggetti. Babbo di chi, poi? E soprattutto perché Natale, se lo scopo è esattamente far dimenticare quella nascita a Betlemme, scandalosa per l’uomo contemporaneo. Ma fa impressione che si osi farne l’immagine di un prodotto, per di più fortemente simbolico, proprio in Ucraina, tra bombe, morte e disintegrazione. Eppure lo slogan indigna solo noi. Che fortuna l’esistenza della Coca Cola, che incommensurabile privilegio tracannarla sotto le bombe, nelle trincee, in case da cui è assente chi è al fronte e da cui sono fuggiti a milioni.

Una delle caratteristiche di questo tempo, in quest’angolo di mondo avviato a un meritato oblio, è l’assenza di pudore, la fine della vergogna e dell’indignazione. Se mostrassero il cartellone pubblicitario tra le breaking news del circo della comunicazione, ci strapperebbe un sorriso sciocco, ai più riflessivi un breve aggrottar di ciglia, e poi via con il messaggio successivo, in attesa di mettersi in coda al mercatino o al centro commerciale. Per fortuna che c’è l’Ucraina, i cui figli muoiono al posto nostro. Noi paghiamo il conto in numerario: soldi ben spesi per mantenere la pellaccia, credere in Babbo Natale e sorseggiare felici la Cola nel nome della santa liberaldemocrazia. Non avremmo mai creduto di preferire la vodka. A piccole dosi, almeno scalda.

2 Comments

  • UnUomo.InCammino 28 Dicembre 2024

    Sì, penso siano Romolo e Remo: non c’è molta differenza tra il materialismo marxistico e il consumismo liquefacente comuni nel degradare l’uomo a tubo digerente e l’esistenza a consumo-digestione-peristalsi.
    Ritengo che la grande sostituzione, sostenuta e dal grande capitalismo cosmopolita e dai sinistrati sinistranti sia il risultato di una sinergia: dato il calo drastico di simpatie e adesioni per il / al consumismo, sostituire i meno-consumanti con alloctoni famelici di consumismo, realizzando la frantumazione sociale, culturale, identitaria che, da una parte si tenta di lenire con maggior consumismo, dall’altra realizza il sinistro dogma assurdo della uguaglianza nel comune peggior stato comune di problematici, sfasciati, inetti, sradicati, collidenti, il bel Mondo Nuovo che piace da sempre ai kompagni.

    Il consumismo è molto allettante e affascina coloro, gli Ucraini, che storicamente hanno sperimentato crudeltà e massacri (la Grande Fame) da parte dei Russi e che sono desiderosi di entrare nel consumismo europeo.

  • Echo 12 Gennaio 2025

    Signor Pecchioli, parliamo da adulti, guardandoci in faccia metaforicamente.
    Non posso immaginare che lei davvero non capisca la differenza.
    L’egemonia USA non ricorre alla coercizione per imporsi, ricorre alla seduzione.
    Ovvero, presenta a masse che si trovano a vari gradi di “bisogno” il famoso “sogno americano” e cioè il sogno del “benessere virtualmente illimitato”. Non importa che non sia fattibile e non importa che si trasformi in una continua rincorsa a qualcosa di irraggiungibile, come la carota davanti al muso dell’asino. L’importante è avere un “sogno”, cioè uno scopo e un “senso della vita”, per quanto non necessariamente sensato.
    Assomiglia al comunismo sovietico nel senso che sono OPPOSTI.
    Il Comunismo non promette a tutti il benessere, promette a tutti la famosa “giustizia sociale”, per usare un neologismo contemporaneo, che si traduce nel “tutti uguali e tutti nella merda”, in modo che si, non puoi sperare in niente di meglio però hai la soddisfazione che tutti i tuoi parenti, tutti i tuoi vicini di casa, tutta la gente che vedi in giro, si trovano esattamente nella stessa condizione, nessuno di meno ma, ancora più importante, NESSUNO STA MEGLIO. Tranne ovviamente i capoccia del Partito che però sono altrove.

    Io trovo sommamente ipocrita il fatto di rifiutare la vodka e la coca cola quando si ha la opportunità di uscire di casa, andare al supermercato e comprare una quantità illimitata tanto di vodka che di coca cola. Prima che fossimo colonizzati dalla egemonia USA l’Italia si trovava a recitare la commedia della “grande potenza” quando era ancora un Paese principalmente rurale, con un Meridione che era ancora un latifondo delle colonie spagnole, una industria atrofizzata e soprattutto ancora periferico, chiuso nel lago mediterraneo quando la Storia si faceva da tutt’altra parte.
    Il F-ismo ebbe tante colpe ma quella più grande fu la buffonata del “posto al sole” che, passi per le masse di analfabeti, per le elite dell’Italia di allora significava la totale ignoranza di come era il mondo, di quali erano le forze in gioco, tanto dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
    Questa pagliacciata ci è costata la fine dell’Italia come Nazione sovrana, cioè l’inversione del Risorgimento, delle Guerra di Indipendenza e il ritorno allo stato di semi-colonia.

    Essere poi occupati dagli USA è stata la nostra enorme ed ovvia fortuna perché gli Statunitensi, costretti a gestire l’Europa come provincia, applicarono il succitato meccanismo del “sogno americano”, uniformando per quanto possibile l’Europa e gli USA.
    I nostri nonni e babbi passarono dal cesso in cortile e la grama esistenza zappando la terra o lavorando per sopravvivere nelle rare fonderie a case con il bagno, l’acqua calda, lavatrice e frigorifero e infine la TV, che insieme insegnò alla gente a leggere e scrivere e gli proponeva il “sogno americano”, dandogli una direzione.
    L’Italia della diaspora, con la gente che prendeva il bastimento per andare a tentare la fortuna nelle Americhe o in Oceania, per non morire di fame in Patria, col tempo è diventata una POTENZA MONDIALE, tanto che ha un PIL equivalente a quello della odierna “Russia”.

    Viceversa, lasciando perdere il cesso malcagato dell’Unione Sovietica, che è passata dall’impero zarista all’impero comunista, consideriamo il destino dei Paesi dell’Est, destino che apparentemente abbiamo rimosso, con tutta la Storia d’Europa dal 1945 al 1989.
    I Paesi occupati dai Sovietici si trovarono come si sarebbe trovata l’Italia se i Partigiani avessero potuto facilitare l’Armata Rossa invece di trovarsi con gli Americani tra i piedi.
    Prima il repulisti a deportare o ammazzare tutti i membri delle elite economiche e culturali non prontissimi a rendersi utili al Partito Comnunista. Quindi decapitazione culturale del Popolo e della Nazione.
    Poi l’applicazione meccanica della “giustizia sociale” a trasformare tutti in “lavoratori” (v. l’Italia Repubblica fondata sul lavoro).
    Lavoratori nel senso di gente a cui viene detto cosa fare ogni momento e che viene mantenuta in uno stato che è appena sopra la soglia della mera sopravvivenza. Non esiste il “Natale” nel senso della coca cola non per motivi ideali, nobili ma perché la gente deve fare ore di fila per riuscire a farsi consegnare una salsiccia e un pezzo di pane, trovare una arancia o un paio di calze è un miracolo. La “felicità” non deve essere il “godere” ma il sapere che tutti stanno male, che mal comune, mezzo gaudio.
    La cosa tragicomica furono i fenomeni che si verificavano sul confine tra i due “analoghi-opposti”, perché nessuno sano di mente sceglierebbe di vivere in un posto dove è il Partito a dirti quanto e cosa devi mangiare piuttosto che un posto dove ti dicono che puoi morire di indigestione, se ti pare.
    Quindi il famoso (e rimosso) Muro di Berlino.

    Se vogliamo essere “critici”, cerchiamo di essere obbiettivi e cerchiamo anche di farci venire delle idee su cosa proporre in alternativa. Perché sennò facciamo solo un teatrino, non diverso da quello dei famosi “comunisti col rolex”, a parti invertite.

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