Da ragazzo amavo lo slogan “né vodka, né Coca Cola”, a significare il contemporaneo rigetto del modello consumista americano e del collettivismo sovietico. Resto convinto, come allora, che i due sistemi, materialismi apparentemente opposti, siano fratelli naturali, Romolo e Remo che non fondano città ma avvelenano l’anima. Uno dei due è morto, l’altro domina il mondo – o parte di esso – con risultati esiziali. La forma merce ha colonizzato l’immaginario rendendoci clienti , anzi dipendenti del desiderio continuamente rilanciato. La sua vittoria è ostentata in questi giorni sui muri rimasti intatti della martoriata Ucraina con una pubblicità rivoltante. Un Babbo Natale dal volto felice – nello scenario di una guerra tragica! – sorseggia la bevanda globalista per eccellenza mentre sopra di lui campeggia uno slogan raggelante: la traduzione è “per fortuna c’è la Coca Cola.”
Non lo vedremo sulle pagine dei giornali di sistema o tra le immagini televisive natalizie. Potrebbe destare ripulsa in qualche spirito libero. Indigna vedere il vecchio barbuto testimonial del prodotto simbolo dell’universo mercantile proprio nella nazione che sta subendo sulla carne, sul sacrificio dei suoi giovani e sul furto del suo futuro, il totalitarismo occidentale nella forma di una guerra i cui scopi di dominio geopolitico sfuggono solo a chi chiude gli occhi e tappa le orecchie. Il circo cinico del consumo non risparmia il lutto, la distruzione, la sofferenza.
Essenziale non è solamente vendere a caro prezzo un prodotto. Conta affermare il predominio del consumo, la fortuna di vivere, attraverso il feticismo della merce, nel Truman Show occidentale. Benvenuti nell’inferno travestito da paradiso dell’avere per consumare. In Ucraina più che altrove: produci (armi, soldati da mandare al macello, ragazze da sfruttare per il piacere, bambini da vendere ai ricchi sterili d’Occidente, ventri da affittare) consuma (quanto è pubblicizzato dal carosello h.24) crepa (tra il fango e la neve in una guerra voluta da potenti al calduccio in ricche dimore).
La vera vittoria di un sistema infame è trasformare le persone, diventate individui e poi monadi desideranti, in ingranaggi della mega macchina: un totalitarismo mai visto in grado di infettare ogni aspetto dell’umano, dalla coscienza alle azioni, alle scelte, ai pensieri. Meno male che c’è il consumo, quella bevanda, quel marchio, il valore di scambio che ribalta il valore d’uso, il desiderio placato per un breve attimo. Per fortuna che anche in guerra – un conflitto voluto, cercato, finanziato da oligarchie straniere – è offerto a un popolo distrutto il conforto della Coca Cola, ovvero la partecipazione al sistema-merce. Per fortuna che c’è Babbo Natale, il vecchio che porta doni pagati a caro prezzo, il vicario laico e materialista del bambino Gesù.
La tradizione sovietica, più sincera nel suo quadrato ateismo, lo chiamava Nonno Gelo. Di qua del muro caduto nel 1989 ( finiremo per dire purtroppo) lo spettacolo di fine anno, dopo il Black Friday degli sconti e il baccanale en travesti di Halloween (il calendario del supermercato globale è fitto di date da santificare con carta di credito) prevede la maschera di Babbo Natale, simbolo di una bontà finta fatta di oggetti. Babbo di chi, poi? E soprattutto perché Natale, se lo scopo è esattamente far dimenticare quella nascita a Betlemme, scandalosa per l’uomo contemporaneo. Ma fa impressione che si osi farne l’immagine di un prodotto, per di più fortemente simbolico, proprio in Ucraina, tra bombe, morte e disintegrazione. Eppure lo slogan indigna solo noi. Che fortuna l’esistenza della Coca Cola, che incommensurabile privilegio tracannarla sotto le bombe, nelle trincee, in case da cui è assente chi è al fronte e da cui sono fuggiti a milioni.
Una delle caratteristiche di questo tempo, in quest’angolo di mondo avviato a un meritato oblio, è l’assenza di pudore, la fine della vergogna e dell’indignazione. Se mostrassero il cartellone pubblicitario tra le breaking news del circo della comunicazione, ci strapperebbe un sorriso sciocco, ai più riflessivi un breve aggrottar di ciglia, e poi via con il messaggio successivo, in attesa di mettersi in coda al mercatino o al centro commerciale. Per fortuna che c’è l’Ucraina, i cui figli muoiono al posto nostro. Noi paghiamo il conto in numerario: soldi ben spesi per mantenere la pellaccia, credere in Babbo Natale e sorseggiare felici la Cola nel nome della santa liberaldemocrazia. Non avremmo mai creduto di preferire la vodka. A piccole dosi, almeno scalda.
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