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- le “cinque giornate di Parma”, delle quali enfaticamente si parlerà, si riducono, in effetti, a meno di 48 ore, dall’arrivo di Balbo (ore 4 del mattino del 4 agosto) alla cessione dei poteri all’Autorità militare, come richiesto dai fascisti (ore 24 del 5 agosto)…prima vi è solo un afflusso disordinato di uomini, senza un capo ed un progetto di azione, con sparatorie sporadiche….dopo inizia la smobilitazione delle squadre;
- 10.000 (20.000 secondo le fonti antifasciste) uomini armati di tutto punto (è la crema dello squadrismo del Nord Italia), con moschetti, mitragliatrici e bombe, non avrebbero non potuto avere la meglio su 3/400 (questo è il numero fornito da loro stessi) Arditi del Popolo armati alla bell’e meglio, sia pure trincerati a difesa e supportati dalla popolazione civile, fornita solo – se dobbiamo credere alle cronache – di con buona volontà: “alle donne vennero distribuiti recipienti pieni di petrolio e benzina, perché…nel caso in cui i fascisti fossero riusciti ad entrare nell’Oltretorrente, il combattimento si sarebbe svolto strada per strada”. (2) Pensare diversamente è contro il buon senso: ci sarebbero state probabilmente parecchie vittime dalle due parti, ma “non c’era storia”. Questo è vero, anche senza voler stare qui ad aggiungere che, mentre i fascisti avevano alle spalle l’intero Paese, dal quale potevano ricevere in continuazione uomini e mezzi aggiuntivi, i loro avversari, “chiusi” tra le barricate da loro stessi erette andavano incontro all’inevitabile esaurimento di munizioni e viveri, oltre che al rischio di defezioni sempre più probabili;
- il conflitto non è voluto dai vertici politici (leggi Mussolini) del movimento fascista: esso sì (soprattutto con l’eventuale coinvolgimento di Reparti dell’Esercito) avrebbe costituito una pietra d’inciampo non indifferente nel cammino ormai intrapreso verso il successo finale che si sente prossimo, non certo l’eventuale sopravvivenza di un’unica enclave “non domata” che, nell’ottica “militare” nella quale ormai si muovo le milizie fasciste non aveva certo l’importanza strategica di Novara o Rimini;
- il ruolo ambiguo giocato dal prefetto Fusco, viene normalmente – ed ingiustamente –sottaciuto dalle ricostruzioni di parte, che tendono ad attribuire alla volontà ed alla risolutezza picelliana il merito della mancata “conquista” fascista della città. In effetti, così non è: è il funzionario statale che, con la decisione di schierare le truppe in prossimità delle barricate, dimostra un sicuro fiuto “politico”: capisce che Mussolini, in quel momento, alla vigilia della conquista del potere, non può permettersi un conflitto a fuoco con l’Esercito, e, a costo di compromettere, agli occhi degli insorti barricadieri, l’Autorità dello Stato, gioca la sua carta che, alla fine, si rivela “vincente”. Ci penserà poi il Generale Lodomez, con un solo colpo di cannone, a convincere gli Arditi del Popolo a smobilitare e smantellare le difese. Ma, a quel punto, i fascisti saranno già partiti, e i danni, tutto sommato sono stati limitati.
- “battaglia”, anche se normalmente usata (3), è una definizione assolutamente sbagliata per sintetizzare i fatti: i 10.000 (o addirittura 20.000) fascisti non hanno nemmeno un morto a Parma; i loro avversari cinque, e tutti colpiti “da lontano”…insomma, per quei duri tempi, scaramucce. Anche il numero dei provvedimenti di polizia, al termine delle operazioni, è, tutto sommato, contenuto: 55 sono i fascisti denunciati (di cui 6 in stato di arresto) e 36 gli antifascisti (di cui 8 arrestati);
- il paragone spesso azzardato (a partire da Tasca che si inventò un: “Picelli ex combattente, che non ha dimenticato ciò che la guerra gli ha insegnato” (4)) tra Italo Balbo e Guido Picelli, i due
contrapposti protagonisti principali non sta in piedi:
NOTE