di Giacinto Reale
Alcuni episodi nella Storia, per una serie di motivi spesso insondabili, assumono il valore di “mito”, che a poco a poco, ne trasfigura i veri connotati, per renderli più aderenti ad una dimensione che, inconsciamente, si avvicina al favolistico: è il caso della “battaglia di Parma”, all’inizio dell’agosto del 1922…..
Fin qui la cronaca dei fatti; è da aggiungere che, con la partenza delle squadre, i fascisti non intendono chiusa la partita. In loco sarà raggiunta una relativa tregua, con la sottoscrizione di un documento di pacificazione tra le parti, ma questa soluzione non convincerà Balbo, militarmente abituato a non lasciare le cose a metà.
Il 29 settembre, infatti, egli ripropone alla Direzione del Partito la necessità di un’azione in grande stile sulla città, e il 7 ottobre si trasferisce a Borgo San Donnino dove convoca tutti i capi fascisti responsabili dell’offensiva che sta programmando.
Fatto il piano, scrive a Mussolini per ottenere l’autorizzazione a procedere, dicendosi sicuro del successo dell’operazione, una volta superati i consueti ostacoli di ordine finanziario: “Ad occupazione avvenuta, si concederà una tregua per l’esodo dei vecchi, bimbi, donne ed estranei, e si inizierà poscia la battaglia che terminerà con l’epurazione di Parma Vecchia, con alte fiamme che saliranno al cielo…l’unico ostacolo, per ora, è nelle finanze. Si potrebbe trovare, all’uopo, un po’ di quattrini?” (1)
L’11 ottobre, imprevisto, arriva però l’altolà mussoliniano: Balbo è convocato a Milano, staffette informano gli uomini già pronti a muovere, del rinvio dell’azione. Venti giorni dopo il fascismo sarà al potere e la questione-Parma non avrà più alcuna rilevanza.
Tornando a quell’inizio di agosto, il vero protagonista dell’intera vicenda, come si evince dalla ricostruzione, è Italo Balbo: è lui che viene inviato da Roma in gran fretta per trovare una soluzione, che assume il comando dei 10.000 squadristi presenti, che tiene i contatti con le Autorità locali e con la Capitale, che realizza l’unica incursione Oltretorrente.
Per questo motivo, fonte principale di questo articolo è stato il suo “Diario 1922”, che, sfrondato da qualche eccesso retorico proprio dell’uomo e dell’epoca, resta documento attendibile.
Sul fronte opposto, fatte salve le testimonianze orali dei cittadini d’Oltretorrente, che hanno tutti i limiti propri di tale tipo di contributi, il testo più importante è quello di De Micheli, edito da Feltrinelli una prima volta nel 1960 e poi ristampato nel 1972, con una duplice scelta temporale non casuale, ma che – in momenti nei quali si temeva una ripresa neofascista –voleva ribadire il valore dell’episodio parmense come “mito fondante” della lotta antifascista.
È per questo che il libro indulge nel macchiettismo: la vecchietta che dice agli Arditi del popolo: “Bravi ragazzi! Io non desidero che di morire con voi sulla porta della mia casa”, la vivandiera che si veste da uomo e incita alla lotta, il padre che, alla notizia – errata – della morte del figlio chiede solo un’arma per vendicarlo.
A cercarle, delle ammissioni involontarie sfuggono anche all’A, come, per esempio, là dove parla di Arditi del Popolo che restano dietro le loro trincee per “oltre cinquanta ore continuate”, ridimensionando così, nel senso che dirò di seguito, la durata stessa dell’intera azione.  
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Rimane, a questo punto, da portare in evidenza alcune delle più grosse bugie che il tempo ha sedimentato sull’argomento:
- le “cinque giornate di Parma”, delle quali enfaticamente si parlerà, si riducono, in effetti, a meno di 48 ore, dall’arrivo di Balbo (ore 4 del mattino del 4 agosto) alla cessione dei poteri all’Autorità militare, come richiesto dai fascisti (ore 24 del 5 agosto)…prima vi è solo un afflusso disordinato di uomini, senza un capo ed un progetto di azione, con sparatorie sporadiche….dopo inizia la smobilitazione delle squadre;
- 10.000 (20.000 secondo le fonti antifasciste) uomini armati di tutto punto (è la crema dello squadrismo del Nord Italia), con moschetti, mitragliatrici e bombe, non avrebbero non potuto avere la meglio su 3/400 (questo è il numero fornito da loro stessi) Arditi del Popolo armati alla bell’e meglio, sia pure trincerati a difesa e supportati dalla popolazione civile, fornita solo – se dobbiamo credere alle cronache – di con buona volontà: “alle donne vennero distribuiti recipienti pieni di petrolio e benzina, perché…nel caso in cui i fascisti fossero riusciti ad entrare nell’Oltretorrente, il combattimento si sarebbe svolto strada per strada”. (2) Pensare diversamente è contro il buon senso: ci sarebbero state probabilmente parecchie vittime dalle due parti, ma “non c’era storia”. Questo è vero, anche senza voler stare qui ad aggiungere che, mentre i fascisti avevano alle spalle l’intero Paese, dal quale potevano ricevere in continuazione uomini e mezzi aggiuntivi, i loro avversari, “chiusi” tra le barricate da loro stessi erette andavano incontro all’inevitabile esaurimento di munizioni e viveri, oltre che al rischio di defezioni sempre più probabili;
- il conflitto non è voluto dai vertici politici (leggi Mussolini) del movimento fascista: esso sì (soprattutto con l’eventuale coinvolgimento di Reparti dell’Esercito) avrebbe costituito una pietra d’inciampo non indifferente nel cammino ormai intrapreso verso il successo finale che si sente prossimo, non certo l’eventuale sopravvivenza di un’unica enclave “non domata” che, nell’ottica “militare” nella quale ormai si muovo le milizie fasciste non aveva certo l’importanza strategica di Novara o Rimini;
- il ruolo ambiguo giocato dal prefetto Fusco, viene normalmente – ed ingiustamente –sottaciuto dalle ricostruzioni di parte, che tendono ad attribuire alla volontà ed alla risolutezza picelliana il merito della mancata “conquista” fascista della città. In effetti, così non è: è il funzionario statale che, con la decisione di schierare le truppe in prossimità delle barricate, dimostra un sicuro fiuto “politico”: capisce che Mussolini, in quel momento, alla vigilia della conquista del potere, non può permettersi un conflitto a fuoco con l’Esercito, e, a costo di compromettere, agli occhi degli insorti barricadieri, l’Autorità dello Stato, gioca la sua carta che, alla fine, si rivela “vincente”. Ci penserà poi il Generale Lodomez, con un solo colpo di cannone, a convincere gli Arditi del Popolo a smobilitare e smantellare le difese. Ma, a quel punto, i fascisti saranno già partiti, e i danni, tutto sommato sono stati limitati.
- “battaglia”, anche se normalmente usata (3), è una definizione assolutamente sbagliata per sintetizzare i fatti: i 10.000 (o addirittura 20.000) fascisti non hanno nemmeno un morto a Parma; i loro avversari cinque, e tutti colpiti “da lontano”…insomma, per quei duri tempi, scaramucce. Anche il numero dei provvedimenti di polizia, al termine delle operazioni, è, tutto sommato, contenuto: 55 sono i fascisti denunciati (di cui 6 in stato di arresto) e 36 gli antifascisti (di cui 8 arrestati);
- il paragone spesso azzardato (a partire da Tasca che si inventò un: “Picelli ex combattente, che non ha dimenticato ciò che la guerra gli ha insegnato” (4)) tra Italo Balbo e Guido Picelli, i due
contrapposti protagonisti principali non sta in piedi:
Balbo è stato Ufficiale degli Alpini, Comandante di un Reparto d’assalto, decorato con una medaglia di bronzo e due di argento, promosso Capitano per meriti di guerra; Picelli è stato volontario nella Croce Rossa, decorato, in qualità di portaferiti, con medaglia di bronzo vm e medaglia di bronzo della Croce Rossa (che, nel confronto, sarebbe come dire la medaglia di cioccolato Talmone che si dava ai bambini buoni), per finire come allievo Ufficiale di complemento a pochi giorni dalla cessazione delle ostilità. (5)
Balbo, laureato alla “Cesare Alfieri” di Firenze, e giornalista, ha un’esperienza di guerra civile maturata a Ferrara e in varie località dell’Italia del Nord, al comando – come nel caso delle “occupazioni di città” della primavera del ’22, di decine di migliaia di uomini; Picelli, orologiaio e attore di teatro a tempo perso, ha al suo attivo il tentato blocco di un treno militare e zuffe di strada a Parma, tra le quali, resta famosa quella nella quale, per sottrarsi all’ira dei fascisti, si dà a fuga precipitosa e lascia, impigliato nel portone che chiude di corsa alle sue spalle il cappotto, che diventa così trofeo esibito per le strade cittadine dai burloni squadristi. (6)
Curiosamente, i due saranno accomunati dal “mistero” (o presunto tale) della loro morte: Balbo cadrà nel cielo di Tobruk, in Libia, abbattuto accidentalmente dal fuoco amico al termine di un’incursione aerea inglese; Picelli cadrà alle pendici dello sperone di San Cristobal, in Spagna, colpito alle spalle da un sicario comunista, nel quadro della “pulizia” voluta da Stalin.
Da ultimo, e per concludere, la questione delle vittime: qui veramente è stato realizzato un falso senza precedenti: De Micheli riporta il dato di cinque morti tra gli antifascisti (e ne fa il nome, quindi, nulla quaestio) e di 39 tra gli squadristi.
Ebbene, di queste 39 vittime nulla si sa: chi erano, da dove venivano, dove e quando morirono….per il semplice motivo che si tratta di un numero completamente inventato.
Esso viene fatto, per la prima volta (insieme a quello, altrettanto capotico di 150 feriti) da Picelli stesso in un articolo su “Lo Stato operaio” apparso a Parigi nel 1934 (7): da lì poi, col copia-incolla, senza alcun approfondimento, è passato alle “storie” successive (quella, citata, di De Micheli, per esempio) ed alla vulgata corrente.
A smentirlo, aldilà delle inesistenza di ogni riscontro, basterebbe il fatto che nomi di vittime –oltre le due di cui ho detto, peraltro cadute fuori Parma in episodi distinti – non risultano in nessun martirologio fascista, laddove, invece la tendenza agli “inserimenti”, anche arbitrari (se non altro per volgarissimi motivi di pecunio e onori) era piuttosto vivace.
Insomma, la classica ciliegina sulla torta per una castello di bugie, esagerazioni e falsificazioni che, nel suo genere, avrebbe fatto scuola …..e penso, solo per fare un nome, a Guadaljara che, in termini militari (che sono quelli che infine contano, aldilà della retorica politica) non fu l’epocale sconfitta che ci hanno insegnato, ma una battaglia senza né vinti né vincitori, conclusasi con l’attestamento finale delle forze “nazionali” alcune decine di chilometri oltre le linee di partenza, senza che i loro avversari realizzassero alcuno sfondamento in avanti….ma questa, come dice Kipling, è un’altra storia
(fine)
NOTE
(1) Italo Balbo, “Diario 1922”, Milano 1932, pag 173
(2) Mario De Micheli, “Barricate a Parma”, Milano 1972, pag 117
(3) vds, per esempio: Pino Cacucci, “Oltretorrente”, Milano 2003
(4) Angelo Tasca, “Nascita e avvento del fascismo”, Bari 1965, vol II, pag 353
(5) lo stato di servizio in: Giancarlo Bocchi, “Il ribelle, Guido Picelli una vita da rivoluzionario”, Roma 2013, pag 21
(6) il racconto dell’episodio in Mario De Micheli, cit, pag 99
(7) lo si veda riprodotto in Giancarlo Bocchi, cit pagg 47-63
nella foto: immagine di Balbo inviata nel 1933: “ai camerati di Parma, con le sembianze e la foto ardente del 1922”