Tra il 1919 ed il 1920 nel Biellese vi saranno una serie di episodi che passeranno alla storia come la “guerra delle lapidi”. Nel contesto territoriale di quella che all’epoca non era una provincia a sé stante, ma un circondario della “provincia rossa” novarese, le Amministrazioni socialiste inizieranno ad inaugurare lapidi che ricalcavano in pieno le tesi neutraliste ed antimilitariste. Valga ad esempio, la targa installata il 14 Dicembre 1919 nella Casa del Popolo di Crocemosso, recante l’epigrafe: “Questo marmo eterni perennemente / ad opera dei socialisti e degli organizzati / il ricordo dei caduti / durante l’infuriare orrendo della strage mondiale. / Sia sprone per gli ignari / incitamento maggiore per i convinti / assillo quotidiano per tutti / a perseverare nella battaglia / che cancelli ogni sedimento / di barbara sopravvivenza militarista / e innalzi trionfante la nuova Umanità / nella convivenza civile dei popoli”[1].
Il 7 Novembre 1920, a Tollegno, avvenne da parte dei Consiglieri socialisti di minoranza Eugenio Moranino, Ottavio Ugliengo e Giuseppe Ghisio la deturpazione della lapide ai Caduti della Grande Guerra mediante la cancellazione dei tredici nomi riportati. Così riportava la notizia il giornale “La Tribuna Biellese”:
I capoccia socialisti hanno voluto prendersi una rivincita della batosta elettorale, sfogando la miseria dei loro sentimenti contro la lapide eretta nell’interno del cimitero in onore ai Caduti, che doveva essere inaugurata tra poco. Il Giorno 7 corr., seguiti dal solito codazzo di ubbriaconi e di teppisti, i Consiglieri della minoranza socialista Moranino Eugenio di Francesco, Ugliengo Ottavio di Gerolamo, Ghisio Giuseppe di Alessandro, degni capitani di tanta marmaglia, si portavano al cimitero e con un pennello inzuppato di catrame, cancellavano i tredici nomi incisi sul marmo. L’atto vandalico, degno dei peggiori teppisti, ha sollevato in paese una profonda indignazione. I tre figli vennero denunciati all’Autorità giudiziaria [2].
Da parte socialista si giustificò il gesto producendo (anche in sede processuale, nel cui ambito verrà condannato solo il Moranino) una lettera dei famigliari dei Caduti che si dichiararono contrari all’apposizione dei nomi sulla lapide collocata all’interno del cimitero comunale[3].
Questo è il clima nel quale sorse a Biella il Fascio di Combattimento. Sulla data di fondazione le fonti sono assai discordanti. Nel 1928 “Il Popolo Biellese” faceva risalire la nascita del Fascio biellese ad una riunione in cui presenziò Cesare Maria De Vecchi tenutasi il 2 Dicembre 1920[4]. Invero, sui giornali era già comparsa dalla fine del Novembre del 1920 la fondazione del Fascio:
Ad iniziativa di un numeroso gruppo di cittadini, nella maggioranza ex combattenti, è stato fondato il Fascio di Combattimento. Fascisti, sono coloro, che fra tanta vigliaccheria borghese e incoscienza proletaria, ancora si proclamano sopra tutto italiani. Salutiamo questa schiera di avanguardia che viene ad aggiungersi alla nostra organizzazione, con ferma intenzione, senza spavalde provocazioni, ad assicurare la libertà individuale ai cittadini e il rispetto all’idea di Patria[5].
Il Fascio pubblicò un manifesto nel quale dichiarava:
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- Il Fascio è un organismo quasi militare. Non tollera chiacchiere vuote. I capi veramente scelti comandano sul serio.
- Il fascista non ha nulla da guadagnare e tutto da perdere. Lo possono aspettare agguati, legnate, piombo ed acciaio dai senza patria, come avvenne per Sonzini. Persecuzione e carcere dei governi imbelli e cagoiani, come avvenne in tempi vicini per tutti i capi.
- Prima e alta fede politica è un esasperato amore per l’Italia. E poiché questa è la Grande Proletaria, i Fasci sono innanzitutto, nell’ambito proletario, sindacalisti, novatori rapidi, propugnatori di sani diritti per il lavoro manuale e intellettuale. Assai più avanti del “PUS” perché non vogliono dittature di nessuno; ma elevazione di tutti. Vogliono costruire non demolire.
- Avversario inconciliabile dei partiti antinazionali, ne ha le tasche piene della vigliaccheria governativa.
- Non è disposto a tollerare rinunce o mutilazioni della Vittoria piena ed al sacro suolo della Patria.
- Ha una serie di postulati che ne formano la base e che a tutti i fascisti debbono essere noti. Ma è un “antipartito” che risolve di volta in volta i problemi contingenti.
- Non ha pregiudiziali né monarchiche né repubblicane.
- Ha infinita fede nel destino d’Italia e nel successo di minoranze di volontà e di moto.
Nel Fascio saranno accolti solo i coraggiosi.
I conigli saranno cacciati.
I traditori ed i venduti non saranno tratti bene[6].
Del tema delle lapidi nel biellese se ne occupò “Il Popolo d’Italia”, che il 5 Ddicembre diede notizia che nella cittadina di Andorno “è stata murata questa ignobile lapide, atroce insulto per i morti gloriosi ed ingiuria volgare pei vivi che hanno combattuto e sofferto per la Patria” recante la dicitura:
Ai morti – che dettero ignari – la giovinezza – alla causa del capitalismo – i lavoratori comunisti – di Andorno – negli albori – della rivoluzione proletaria – rivolgono il pensiero – Dal loro sacrificio immane – divampa – alta la fiamma distruttrice – e si eleva severo il monito – incitante i lavoratori del mondo – alla riscossa[7].
Sul giornale dell’Unione Democratica “La Tribuna Biellese” venne lanciato un appello a firma dello pseudonimo di Ala: “Andornesi, io conosco il vostro orgoglio! So che voi non siete vili e che non volete che il nome del nostro paese venga macchiato ma sempre giudicato puro e fedele alla Patria! La lapide comunista ha disonorato Andorno”[8].
Nella notte tra il 16 e il 17 Dicembre 1920, ai fascisti biellesi si aggregò una squadra milanese capitana da Ferruccio Vecchi si recò ad Andorno per la distruzione della lapide installata dalla “marmaglia comunista”[9]:
Un’ardita iniziativa è sorta qualche tempo fa a Milano, per opera di Ferruccio Vecchi. L’iniziativa consiste nella fondazione di un apposito comitato composto di uomini risoluti, il quale si è assunto il compito di controllare, nel nome dei morti eroici e dei superstiti valorosi, le lapidi e i monumenti di guerra. […] Una commissione composta dal Capitano degli Arditi Ferruccio Vecchi, del signor Renzo Fontanese e Fratelli Cornelli, […] la notte del 17 si è recata in automobile ad Andorno partendo da Milano. Giunta sul luogo, con apposita scala, scalpello, martello, piccozza ed altri strumenti iniziò senz’altro la demolizione della lapide stessa ultimando il lavoro in circa un’ora. Per quanto l’opera degli Arditi fosse stata segnalata dai comunisti andornesi questi non si fecero vivi, limitandosi ad apparire per pochi minuti dietro le saracinesche delle finestre del Palazzo comunale. Prima di allontanarsi i quattro ardimentosi tracciarono sulle mura del paese, servendosi di un grosso pennello, le seguenti iscrizioni: “Rispettate, o disertori, i difensori della Patria! La culla di Pietro Micca è finalmente vendicata dall’onta che l’aveva colpita! Miserabile, l’ardito pugnale vi raggiungerà ovunque!”[10].
I socialisti stigmatizzarono l’azione in un appello ai “proletari adornesi”, secondo il quale “stanotte, […] richiesti dalla canaglia locale, coraggiosi ignoti fascisti […] hanno imbrattato con il catrame la dicitura e vollero castrare le parole bollanti la guerra e il capitalismo. […] La dicitura non voluta sarà moltiplicata, mille volte riprodotta, la lapide risorgerà, intera!”[11].
Il Consiglio Comunale cittadino condannò il fatto parlando di “fascisti degenerati e venduti alla causa del capitalismo”[12].
“Il teppismo fascista è penetrato nella nostra regione”[13] scrisse l’organo dei socialisti, “Il Corriere Biellese”, definendo gli autori “eroi del catrame” che agirono con il favore della notte.
A tale retorica tesa a ridurre i fascisti come dei meri teppisti non era certamente estraneo – al netto dell’antitesi ideologica – il risentimento per quella che era di fatto l’ingresso attivo del movimento fascista successivamente ad una tornata elettorale che pure aveva segnato la netta vittoria del PUS.
La stampa locale esaltò invece il gesto di Ferruccio Vecchi e dei suoi camerati che “soli, senza alcuna difesa, si avventurarono notoriamente covo di socialisti e per ben un’ora sfidarono il pericolo”[14]. A conferma che non si trattasse di una pura provocazione, i resoconti giornalistici dei giorni seguenti riportarono notizie di un’incursione fascista in un bar del centro cittadino di Biella dal quale erano partiti dei fischi[15].
Iniziò così la storia dello squadrismo biellese, che si concluderà nell’Autunno del 1922, stagione caratterizzata dalla massiccia caduta delle Giunte rosse in provincia[16].
Valerio Zinetti
[1] L. Moranino, La “guerra delle lapidi” nel Biellese antifascista, in L’impegno: rivista di storia contemporanea, Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Vercelli Cino Moscatelli, a. XI n. 3 Dicembre 1991.
[2] I Consiglieri socialisti di Tollegno deturpano la lapide ai Caduti, in “La Tribuna Biellese”, 14 Novembre 1920.
[3] L. Moranino, La “guerra delle lapidi” nel Biellese antifascista, cit.
[4] “Il Popolo Biellese”, 24 Dicembre 1928-VII; cfr. Banchetto fascista, in “La Tribuna Biellese”, 5 Dicembre 1920: “Giovedì sera nell’Albergo dell’Angelo una trentina di fascisti e di simpatizzanti si raccolse a banchetto per festeggiare il Capitano Cesare De Vecchi, capo dei Fasci piemontesi, recatosi a portare la sua parola di fede agli amici di Biella. […] De Vecchi improvvisò una vibrata enunciazione del programma fascista concludendo tra gli applausi con un evviva all’Italia. Il banchetto animatissimo ebbe termine al canto degli Arditi, indi i fascisti saliti ad oltre 150, si riunirono in adunanza per gettare le basi del loro programma d’azione”.
[5] La costituzione del Fascio di Combattimento, in “La Tribuna Biellese”, 25 Novembre 1920.
[6] “La Tribuna Biellese”, 2 Dicembre 1920.
[7] Cfr. “La Tribuna Biellese”, 18 Dicembre 1920; la lapide di Andorno fu inaugurata dalla Sezione socialista il 27 Giugno 1920. Cfr. L. Moranino, La “guerra delle lapidi” nel Biellese antifascista, cit.
[8] “La Tribuna Biellese”, 9 Dicembre 1920.
[9] Cfr. L’oltraggio pussista di Andorno vendicato, in “La Tribuna Biellese”, 22 Dicembre 1920.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Il Consiglio comunale per l’insulto alla memoria dei Caduti in Guerra, in “Corriere Biellese”, 21 Dicembre 1920.
[13] Ibidem.
[14] L’oltraggio pussista di Andorno vendicato, cit.; Perchè non la lapide abbattuta dai fascisti, ibid., 25 Dicembre 1920.
[15] Prodezze del fascismo biellese, in “Corriere Biellese” del 24 Dicembre 1920; Fischia i fascisti e si rifugia sotto un tavolo, in “La Tribuna Biellese” del 22 Dicembre 1920.
[16] B. Pozzato, La caduta delle “Giunte rosse” nel Biellese, in L’impegno: rivista di storia contemporanea, Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Vercelli Cino Moscatelli, a. V, n. 2 (Giugno 1985).