A differenza di altre città italiane, Bologna ha ben quattro soprannomi che la contraddistinguono, come indicato nel titolo dell’articolo. E vorrei partire proprio dalle quattro denominazioni per parlare brevemente di questa splendida città. Il primo aggettivo, “la dotta”, si riferisce alla straordinaria tradizione culturale del capoluogo dell’Emilia Romagna, che può vantare la più antica Università del mondo occidentale, istituita nel 1088. Il palazzo dell’Archiginnasio è l’antica sede dell’Università, dove attualmente è possibile ammirare testimonianze importanti del suo passato glorioso, come il teatro anatomico, dove si sezionavano i cadaveri durante le lezioni di medicina. Il secondo appellativo richiama la gustosa cucina della città, non solo come prelibatezze strettamente legate ai cibi, ma come modo di sapersi godere la vita. Alla fine del diciannovesimo secolo, Pellegrino Artusi nel suo celebre trattato grastronomico affermò: “quando sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza che la merita” (1). Per quanto riguarda il terzo soprannome, la rossa, le motivazioni sono diverse. In primo luogo Bologna è il capoluogo della regione dove si trova un alto concentrato di industrie motoristiche, tanto da essere considerata la “terra dei motori”: la rossa Ducati, la rossa Ferrari, la Lamborghini e la Maserati. Inoltre, gli edifici del suggestivo centro storico di Bologna, peraltro uno dei meglio conservati d’Europa, presentano come colore predominante una particolare sfumatura di rosso. A queste considerazioni, se ne aggiunge un’altra di carattere politico, la città emiliana è stata, infatti, fin dal dopoguerra una delle roccaforti del partito comunista, il cui colore simbolico è appunto il rosso. L’ultimo epiteto più ricorrente è “la turrita”, a causa delle oltre 150 torri che sorgevano tra il XII ed il XIII secolo. Le torri non rappresentavano soltanto abbellimenti architettonici del tardo Medioevo, ma erano l’emblema del prestigio e della potenza delle illustri famiglie bolognesi, utilizzate anche a fini militari. Rispetto al tardo Medioevo, l’urbanistica della città è notevolmente cambiata, anche se a ricordare la sua vecchia struttura, rimangono importanti costruzioni, tra cui le più famose assurgono a simbolo dello skyline bolognese, la Torre degli Asinelli e dei Garisenda (2).
Bologna conta circa 400.000 abitanti, ma la sua area metropolitana contiene più o meno 1.000.000 di persone. Gli studi archeologici hanno rivelato insediamenti umani nell’area bolognese fin dal III millennio a.C., ma è a partire dal IX secolo che si possono distinguere le tracce di una civiltà di rilievo. Alcuni studi condotti dalla metà del diciannovesimo secolo, nella vicina cittadina di Villanova, hanno individuato importanti resti di una popolazione che si era stanziata in quella zona nell’età del ferro che, proprio dal nome della località, fu chiamata “civiltà villanoviana”, identificabile più tardi con la più raffiniata civiltà etrusca.
Una passeggiata notturna nel capoluogo emiliano mi fece tornare alla mente le parole dello scrittore ed avventuriero Stendhal della prima metà del diciannovesimo secolo: “Sovente alle due di notte, rientrando nel mio alloggio, a Bologna, attraverso questi lunghi portici, l’anima esaltata da quei begli occhi che avevo appena visto, passando davanti a quei palazzi di cui, con le sue grandi ombre, la luna disegnava le masse, mi succedeva di fermarmi, oppresso dalla felicità, per dirmi: Com’è bello!” (6). Il centro storico di Bologna è uno dei meglio conservati d’Europa, dove si susseguono antichi palazzi ricchi d’opere d’arte e dove si può passeggiare al riparo di ben circa 40 km di portici. Fin dal basso Medioevo, i portici sono diventati un simbolo della città, un luogo sia pubblico che privato, dove è possibile assistere a manifestazioni sociali e culturali. Tra le molteplici fila di portici, si distingue soprattutto quello di San Luca, che unisce la città al santuario del Colle della Guardia (7). Questo portico, che misura 3.796 metri e conta 666 arcate, un numero estremamente significativo, è considerato il più lungo al mondo. Le vecchie leggende narrano che salire su questo corridoio, protetto dai portici, possa essere efficace per chiedere un aiuto in amore o propiziatorio prima di un esame, elemento questo molto sentito in una città piena di studenti universitari. Il cuore di Bologna è senza ombra di dubbio Piazza Maggiore. Uno dei simboli più importanti della città è la fontana del Nettuno, in marmo e bronzo, costruita dal Giambologna su progetto di Tommaso Laureti tra il 1563 ed 1566. Il messaggio del monumento è chiaro: esso vuole essere l’emblema del potere papale che, con una certa fatica, doveva essere consolidato nella città emiliana. A similitudine di Nettuno che si imponeva come signore delle acque, con ai suoi piedi i quattro putti che rappresentano i fiumi principali dei continenti allora conosciuti (Gange, Nilo, Danubio e Rio delle Amazzoni), così il pontefice era destinato a dominare il mondo, in qualità di vicario di Cristo sulla Terra. Di grande pregio è il Palazzo del Podestà, una ricostruzione quattrocentesca dell’antico palazzo duecentesco. Ciò che stupisce maggiormente dell’edificio, è la particolarità della struttura, in quanto la sua torre non poggia direttamente a terra, ma sui pilastri del voltone del palazzo, configurandosi come un capolavoro di ingegneria, soprattutto in considerazione del periodo di elaborazione. Sulla piazza Maggiore, si affaccia anche il palazzo di re Enzo, denominato anche Palatium Novum, in quanto aggiunto dopo l’edificio del Podestà. Il nome attuale si deve al fatto che, per ben 23 anni, fu la prigione del figlio dell’imperatore Federico II di Svevia. Il palazzo è aperto solo in occasione di mostre ed eventi. Dall’altro lato della piazza si erge maestoso il palazzo d’Accursio, in realtà costituito da nuclei distinti: quello di sinistra, il più antico che nel XII secolo fu la dimora della famiglia Accursio e nel 1336 diventò sede della magistratura comunale, mentre nella seconda metà del XV secolo fu aggiunta la pregevole torre dell’orologio e la Madonna con bambino in terracotta, opera di Nicolò dell’Arca; la parte destra, invece, è in stile gotico ed è formata da otto finestre bifore e dall’ingresso trionfale, sul quale è collocata la statua di Gregorio XIII, autore della riforma del calendario. Il palazzo è ricco di sale di grande interesse artistico, come la Cappella e la Sala Farnese, la Sala d’Ercole e la Sala del Consiglio Comunale. Al secondo piano dell’edificio vi sono due musei d’arte: il Museo Morandi, in cui sono esposte opere dell’omonimo pittore e le Collezioni Comunali d’Arte Antica, che comprende dipinti provenienti da collezioni private di autori come il Tintoretto, il Carraci etc. L’ex sala della borsa è attualmente occupata dalla ben fornita biblioteca comunale, con un suggestivo pavimento di cristallo da cui si possono ammirare i resti di un’antica basilica romana. E prima di passare a parlare della maestosa cattedrale di san Petronio, menziono il Palazzo dei Banchi, l’ultima costruzione ad essere eretta nella piazza che, più che un vero e proprio palazzo, costituisce una facciata scenografica per separare le stradine del mercato di mezzo: il suo nome trae origine dalla presenza, in epoca medioevale, dei banchi di cambiavalute (8).
La costruzione più imponente ed emblematica di Bologna è sicuramente la chiesa di san Petronio, anche se non si tratta della sede episcopale del capoluogo emiliano, spettante, invece, alla vicina chiesa di San Pietro. Si tratta di una delle chiese più grandi d’Europa, la terza d’Italia, escludendo San Pietro, in realtà nel territorio di Citta’ del Vaticano, dopo il duomo di Milano e quello di Firenze; la sesta in Europa, aggiungendo a quelle già citate la chiesa di Saint Paul a Londra e la cattedrale di Siviglia. Le sue notevoli dimensioni rendono la basilica di San Petronio la chiesa gotica, costruita con mattoni, più grande del mondo, non in assoluto, primato che, invece, è detenuto dalla cattedrale di Siviglia. La fondazione della chiesa risale al 1390 con la posa della sua prima pietra nel corso di una solenne processione. Raggiungendo Piazza Maggiore, colpisce subito la facciata della chiesa, rimasta incompiuta per più della metà, così come le navate laterali appaiono chiuse da due muri rettilinei. L’iniziativa della costruzione della basilica non si deve alla Chiesa di Roma, ma alla borghesia cittadina, composta da artigiani, mercanti e notai che governavano allora Bologna, mediante il Consiglio dei Seicento (9). Le varie corporazioni con orgoglio volevano che San Petronio diventasse la più grande chiesa del mondo, soprattutto alla luce del progetto successivo curato da Arduini degli Arriguzzi, a cui era stato affidato il compito di coordinare imponenti lavori di edificazione in grado di superare San Pietro a Roma. Secondo alcuni racconti, forse ingigantiti, ma del tutto plausibili, fu papa Pio IV a bloccare il progetto, contrariato per non esser stato avvisato dal governo cittadino, costringendo Bologna a ridimensionare la portata del proprio sogno. La cattedrale è divisa in tre navate ed al suo interno si trova una straordinaria particolarità: la meridiana più lunga del mondo, la cui lunghezza corrisponde alla seicentomillesima parte del meridiano terrestre. L’astronomo pontificio Giandomenico Cassini (10) tra il 1655 ed il 1657 ampliò la linea meridiana già tracciata circa un secolo prima dal domenicano Danti. L’importanza ed il fascino della meridiana richiederebbeo un trattazione ad hoc, per cui mi limiterò a qualche cenno illustrativo. La sua lughezza è davvero eccezionale, misurando 66,8 metri. La posizione della meridiana non è affatto casuale, in quanto ogni giorno un raggio di sole, che penetra dal foro collocato a 27,07 metri di altezza nella volta, interseca la linea in un determinato punto, indicando l’inesorabile scorrere dei giorni e delle stagioni. La predetta misura corrisponde alla consuetudine dell’epoca di tutti gli scienziati di adottare l’oncia francese, appunto 27, 07 mm (27,07 metri corrisponderebbero a 1000 once francesi). Come in tutte le cattedrali gotiche, sospese tra le tensioni verticali della struttura e le riflessioni sulla caducità della condizione umana, si respira un’aria mistica e spirituale, al di là del credo religioso. Ciò che desta maggiore stupore è il fatto che sul pavimento sia proiettata non una semplice macchia di luce, ma l’immagine stessa del sole rovesciata, come si trattasse di una camera oscura. Una ricostruzione completa della meridiana fu effettuata nel 1776 da Eustachio Zanotti (11) che sostituì i marmi precedenti con nuove raffigurazioni dei segni zodiacali, in grado di offrire indicazioni più precise sul susseguirsi dei mesi e nella lunga linea centrale fu inserita una doppia scala numerica: la prima descritta, come perpendiculi partes centesimae indica la percentuale dell’altezza gnonomica, la seconda segnalata come horae italicae meridiei con il compito di convertire l’ora del mezzogiorno locale nell’antico sistema italico di “Campanile”, in cui le ore 24 coincidevano con mezz’ora dopo il tramonto, quando cioè le campane intonavano l’ “Ave Maria”. Una grande scoperta fu fatta all’inizio del Novecento, quando il geodeta Federigo Guanducci, dopo aver verificato la direzione della linea meridiana, si accorse che la stessa declinava verso est di un minuto d’arco e trentasei secondi e mezzo, cioè che il mezzogiorno vero era indicato con un ritardo di sei secondi e mezzo al solstizio d’inverno e di due secondi e mezzo al solstizio d’estate.
Lo scarso entusiasmo della città nei confronti delle autorità pontificie è testimoniato dal fatto che la statua di bronzo realizzata da Michelangelo, in onore di papa Giulio II, fu distrutta dai Bolognesi e tre anni dopo utilizzarono il bronzo per costruire un cannone (12). Tra gli eventi storici più importanti che segnarono la vita della basilica, oltre alla già citata incoronazione dell’imperatore Carlo V, è necessario ricordare lo svolgimento della nona e della decima sessione del Concilio di Trento nel 1547, in cui la Chiesa Cattolica cercò di correre ai ripari contro la riforma protestante. Di grande valore simbolico è il portale centrale, un vero e proprio capolavoro eseguito da Jacopo della Quercia, sovrastato dalla lunetta con la statua della Madonna col bambino e raffigurante episodi della vita di Gesù. E’ un’opera che vuole narrare la storia della salvezza dell’umanità, preannunciata dai 32 profeti scolpiti negli archivolti e negli stipiti. Il messaggio religioso è completato dai due portali minori, dove sono raffigurati, da un lato il Cristo deposto dalla croce e sostenuto da Giuseppe d’Arimatea, dall’altro il Cristo risorto con un soldato della guardia. La chiesa di San Petronio, come l’intera città di Bologna, è stata un faro di diffusione culturale. Nel 1436 fu fondata la “Cappella musicale”, quando con una bolla di papa Eugenio IV fu istituita una schola, dove i chierici potevano applicarsi nello studio della grammatica e della musica. Il secolo d’oro, però, della cosiddetta “Scuola di San Petronio” cominciò verso la metà del diciassettesimo secolo, fino alla metà di quello successivo, quando diventò uno dei più celebri centri del nuovo stile “concertato monumentale” dell’intera penisola (13). Negli ultimi vent’anni, la tradizione musicale della città ha ripreso vigore, grazie a numerose “esecuzioni” molto apprezzate sia a livello nazionale che internazionale. Tra le ventidue cappelle, piene d’opere d’arte, una particolare menzione merita la Cappella dei Re magi, la quarta nella navata sinistra, in precedenza chiamata “Bolognini”. Le pareti furono affrescate da Giovanni da Modena con un ciclo riguardante gli episodi della vita di San Petronio nella parete di fondo, con la storia dei Re Magi nella parete destra, mentre nella parete sinistra in alto si ammira un suggestivo giudizio universale con l’incoronazione delle Vergine “in mandorla” ed il Paradiso. In basso si nota la parte più interessante ed emblematica della cappella, cioè la rappresentazione dell’Inferno con una gigantesca figura di Lucifero ed una più contenuta del profeta Maometto. Nel regno delle tenebre si distinguono i lussuriosi infilzati nello spiedo, gli invidiosi bersagliati da frecce e gli avari costretti ad ingoiare, con la testa rovesciata, una colata di oro fuso, un quadro di dantesca memoria.
Bologna è una città ricca di fascino e di mistero, simboleggiata, oltre che dall’enigmatica cattedrale gotica di San Petronio, dalle due torri principali, quella “degli Asinelli” e quella della “Garisenda”. Come si è detto in apertura, la città emiliana è detta anche “la turrita”, ma delle numerosi torri medioevali che arricchivano il suo panorama ne sono rimaste ben poche. La più alta, detta “degli Asinelli” svetta su tutti gli edifici del centro storico, mentre quella pendente detta “Garisenda” appare alquanto inquietante. Come è scritto sulla targa posta vicino al piccolo ingresso, la torre pende con un fuori di piombo di 3,22 metri, a causa di un cedimento del terreno, accaduto durante la costruzione. Questa torre è menzionata anche nella Divina Commedia di Dante, in un celebre passo riportato su una targa affissa al monumento. Sull’utilizzo di queste due torri circolano antiche e numerose leggende: la più famosa narra che furono costruite dal diavolo in una sola notte, a causa dell’elevato numero di persone che si erano gettate dalla cima delle due costruzioni. In realtà, è inutile sottolineare che furono costruite a distanza di anni, da diverse famiglie e con scopi precisi, ma la particolarità del luogo e delle rispettive funzioni ha da sempre alimentato curiosità e racconti fiabeschi (14). Uno dei luoghi più suggestivi della città è il lapidario del Museo Civico Medievale di palazzo Ghislardi, dove si conserva un’enigmatica epigrafe, meglio conosciuta come la “pietra di Bologna”. Si tratta di una lapide che risale almeno al XVI secolo, anche se alcuni ritengono che sia molto più datata. L’originale era collocato su un muro della Chiesa dei santi Pietro e Paolo, all’interno del complesso di Santa Maria di Casaralta. La chiesa crollò nel 1885 a causa di un terremoto, ma già nel XVII secolo l’iscrizione era stata ricopiata da Achille Volta, un personaggio politico amante dell’occulto. Sembrerebbe che vi sia riportato un epitaffio funebre, anche se per alcuni studiosi i nomi riportati sull’epigrafe, Aelia Laelia Crispis e Lucius Agatho Priscius, sarebbero di carattere simbolico, rimandando a metafore ed indizi di carattere alchemico, addirittura capaci di legami con la pietra filosofale. L’epigrafe sarebbe stata creata dai frati Gaudenti che, secondo alcuni storici, avrebbero formato una segreta setta esoterica, con l’intento di illustrare in maniera codificata i passaggi alchemici per ricreare in laboratorio la “pietra filosofale” e trasformare il piombo in oro, o più verosimilmente, per ottenere un’elevazione spirituale riservata a pochi eletti. Il testo che riporto di seguito è davvero intrigante: D M Aelia Laelia Crispis. Nec vir nec mulier nec androgyna nec puella nec iuvenis nec anus. Nec casta nec meretrix nec pudica sed omnia sublata neque fama neque ferro neque veneno, sed omnibus nec coelo nec aquis nec terris sed ubique iacet Lucius Agatho Priscius nec maritus nec amator nec necessarius, neque morens neque gaudens neque flens hanc nec molem nec pyramidem nec sepulchrum, sed omnia scit et nescit cui posuerunt (Aelia Lelia Crispis, né uomo, né donna, né androgino, né bambina, né giovane, né vecchia, né casta, né meretrice, né pudica ma tutto questo insieme. Uccisa né dalla fame, né dal ferro, né dal veleno, ma da tutte queste cose insieme. Nè in cielo, né nell’acqua, né in terra, ma ovunque giace Lucio Agato Prisco, né marito, né amante, né parente, né triste, né lieto, né piangente, questa né mole, né piramide, né sepoltura, ma tutte queste cose insieme sa e non sa a chi è dedicato) (15).
Uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi di Bologna è il complesso monumentale di Santo Stefano, chiamato anche delle “sette chiese”, poiché legato ad una storia quanto mai singolare ed ispirato da diversi stili architettonici disposti in maniera assolutamente unica. Le sue origini sono alquanto controverse, anche se la maggior parte ritiene che si possano individuare nel santo patrono della città, Petronio, vescovo intorno al 430 d.C.(16). Il santo avrebbe fatto edificare quel complesso comprendendo “sette chiese”, per ricostruire in maniera simbolica i luoghi della passione di Cristo, probabilmente sulle rovine di un tempio pagano. Al di là della narrazione legata al santo, di certo si tratta di un complesso molto antico, la cui edificazione progressiva può essere stabilita tra il V ed il VII sec. d.C.. L’intero complesso risentì delle devastazioni da parte degli Ungari nel corso del X secolo, ma fu ricostruito dai benedettini all’inizio del secolo successivo. I molteplici restauri del diciannovesimo secolo e dell’inizio del ventesimo attribuirono un volto nuovo a questa stravagande costruzione e alle cosiddette sette chiese iniziali, per la verità mai esattamente distinte, di cui attualmente ne rimangono in piedi quattro. Sulla piazza di Santo Stefano si affaccia la Chiesa del Crocifisso sulla destra, quella del Calvario al centro e la Chiesa dei SS. Vitale ed Agricola a sinistra. La prima si pensa abbia origini longobarde, con la misteriosa cripta dell’Abate Martino (prende il nome dal Crocifisso sospeso al centro); la seconda ha una forma rotonda e vuole essere un’imitazione del sepolcro di Cristo, mentre la terza, la più antica del gruppo, comprende gli antichi sarcofagi dei santi Vitale ed Agricola, dove sono esposti anche capitelli in vario stile di precedenti costruzioni, nonché alcuni resti dei pavimenti del VI secolo. All’interno del comprensorio, di grande interesse è il cortile di Pilato con il tipico bacile marmoreo (17), delimitato da due porticati, nonché la quarta delle chiese conservate, quella della santissima Trinità, dove si trova il più antico presepe conosciuto al mondo, in legno dipinto e dorato con statue a tutto tondo ed il chiostro benedettino a duplice loggiato, ritenuto uno dei più significativi esempi in stile romanico emiliano. Al complesso di Santo Stefano sono legate tante leggende, come quella che ritiene che siano intervenuti i Templari per ricreare una piccola Gerusalemme in territorio italiano, riportando perfino qualche resto dell’autentico sepolcro del Messia. Nel pavimento vi è, inoltre, un pozzo chiuso da una grata che contiene una sorgente che intende raffigurare l’acqua del fiume Giordano, dove fu battezzato Gesù. Secondo alcuni studiosi, tuttavia, la sorgente nel preesistente tempio pagano egiziaco, rappresentava l’acqua del Nilo (18). E poi vi sono due divertenti leggende sulla cosiddetta “pietra della verità” collocata nella piazza antistante il complesso religioso. La prima ritiene che il masso mutasse colore alle ammissioni delle mogli infedeli; mentre la seconda racconta che la pietra era così luminosa da attirare le donne superbe che ivi si specchiavano. A causa di un santo deluso da tanta vanità, che operò un incantesimo, le donne non riuscirono più a scorgere il loro viso, ma solo i loro peccati.
E le sorprese di Bologna non finiscono qui, perchè passeggiando tra le strade del centro cittadino, ti puoi imbattere in uno dei pochi canali ancora rimasti in vista, non coperti dall’asfalto degli ultimi secoli. In particolare, affacciandosi tra gli edifici, si può trovare la pittoresca “finestrella” di Via Pella e scorgere un ponticello che collega due palazzi situati sulle opposte rive del canale, come una sorta di ponte dei Sospiri emiliano…Bologna, la dotta, ci svela ad ogni angolo le sue prelibatezze da “grassa”, mentre le tipiche costruzioni di mattoni in sfumature di colore rosso ci parlano della sua storia di città fiera e turrita.
Note:
(1) Si tratta dell’opera La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, Ed. L’arte della stampa, Milano 1891;
(2) Cfr. Davide Daghia, Bologna insolita e segreta, Ed. Jonglez, Roma 2017;
(3) Cfr. Antonio Ferri e Giancarlo Roversi, Storia di Bologna, Ed. Bononia University press, Bologna 2005;
(4) Accursio (1184-1263) fu uno dei più importanti giuristi e glossatori della scuola di Bologna;
(5) Imerio (1060-1130) accademico e giurista che riportò in auge il diritto giustinianeo;
(6) Stendhal, Viaggio in Italia- traduzione italiana, Editore Laterza, Bari 1974;
(7) Il porticato che porta sul Colle della Guardia è candidato dal 2019 a diventare patrimonio dell’umanità UNESCO;
(8) Cfr. Barbara Baraldi, 1001 cose da vedere a Bologna almeno una volta nella vita, Ed. Newton Compton, Roma 2017;
(9) Il consiglio dei Seicento eleggeva anche i rappresentanti che, insieme al Legato pontificio, governavano effettivamente la città;
(10) Giovanni Domenico Cassini (1625-1712) fu un importante astronomo, matematico, ingegnere, medico e biologo. Pur essendo italiano, trascorse gran parte della sua vita in Francia;
(11) Eustachio Zanotti (1709-1782) condusse una carriera fulminante come astronomo, diventando il direttore della “specola” di Bologna;
(12) In realtà il nome esatto dell’arma era colubrina, formata nel 1512 da Alfonso I d’Este con il bronzo ottenuto dai pezzi della statua in onore di Giulio II plasmata da Michelangelo;
(13) La Cappella è stata ricostruita interamente trent’anni fa allo scopo di valorizzare completamente il patrimonio musicale dei compositori bolognesi e dell’intera penisola;
(14) Cfr. nota nr. 2;
(15) Crf. Nicola Muschitiello, Il mistero della pietra di Bologna, Ed. Il Mulino, Bologna 2000;
(16) Riguardo alla carica di vescovo, le fonti riportano che Petronio guidò la diocesi di Bologna dal 431 al 450 d.C., anche se le ricostruzioni sono abbastanza controverse. La reale esistenza del personaggio storico è attestata soltanto da testimonianze di due figure del suo tempo;
(17) Il bacile marmoreo ovviamente richiama il gesto di Pilato, diventato famoso e trasfigurato in un’interpretazione troppo estensiva, di “lavarsi le mani”;
(18) Il Nilo era il fiume sacro per gli antichi Egizi, simbolo di purificazione fisica, ma soprattutto spirituale, dove si svolgevano rituali antesignani del battesimo in ambiente ebraico e cristiano.
Luigi Angelino