Le operazioni mediatiche messe in atto in questi giorni sui fatti di Tor di sapienza, stanno assumendo torni surreali.
“La pietra dello scandalo” non è più l’immigrazione, ma il razzismo.
L’onta del razzismo assume i toni dell’accusa. Tutto il problema dall’informazione, specialmente di una sua parte, viene spostato su di esso. Timidamente si parla del problema sociale dell’immigrazione, ma in ultimo tutto scade nella constatazione di un “razzismo rinascente”. Con un modus operandi proiettato su due binari: in sordina, con l’accento su determinate suggestioni che esaltino il comportamento xenofobo e la sua netta condanna; sia con una recriminazione del tutto manifesta.
Tralasciando, così, il problema fattivo che l’immigrazione incontrollata provoca su tutto il sistema sociale. In modo particolare sulle spalle dei ceti meno abbienti, che sono tra i principali su cui è scaricata la corposa mole di masse allogene.
E questa “parte” di tutto l’assetto informativo, culturale e politico più alacre, attiva nel lanciare sermoni di reprimenda è rappresentata dai “trinariciuti”: i giustizialisti del “Il fatto quotidiano” con i suoi titoloni “Lo Stato s’arrende ai fascisti”, i “capaci” presentatori televisivi di casa “La7”, e i “rivoluzionari colorati” alla Casarini.
Ostentando, quasi, un certo “schifo” nel commentare la rivolta indetta dagli abitanti dei quartieri in sommovimento. Quartieri che, si badi bene, tutti a base “popolare”, abitati cioè da gente semplice, laboriosa, umile. Con la calce che ricopre i loro vestiti e le mani ruvide, callose, cotte dalle fornaci. La gente del lavoro. Proletaria! Qualcuno potrebbe affermare. E fa specie constatare che i giudici più severi di queste folle esasperate siano proprio coloro che “giorno e notte” emettono dalla loro bocca concetti quali “giustizia sociale”, “lotta al precariato”, “uno stato più attento ai bisogni della povera gente”.
Costoro, con il biasimo per gli atti d’intolleranza popolare all’immigrazione, mostrano le loro autentiche vesti materiali e culturali. La natura classista borghese!
Pieni di frasi ben fatte e sempre pronti ad apportare il loro parere su tutto.
Abili giocolieri della semantica: con la loro dialettica, fornita di metafore ed allegorie, riescono tramite “la grande maestra televisione” e l’inchiostro dei giornali, ad imprimere nell’inconscio del loro uditorio che le vittime, ribellatisi, sono in realtà gli aggressori. E quando “qualcuno” fa notare loro ciò, come dei pargoli senza peccato asseriscono la loro innocenza, “dimostrando” l’infondatezza di tali accuse e rimarcando la loro pluralità d’informazione e di espressione di ogni parere pervenuto, soprattutto indispettendosi se viene lesa la propria imparzialità.
Ma si sa sono abili, abilissimi. E dando la sensazione che sia tutto trasmesso a puro scopo informativo o di dibattito, mostrano i famosi “molteplici pareri” alcuni in un modo tramite, come già detto, l’ausilio d’immagini ben selezionate e musiche suggestive, ed altri con un sistema differente, sempre con l’utilizzo degli stessi mezzi ma adattati alla diversa forma.
Intellettuali, colti, sapienti professori. Borghesi!
Qualcuno sempre su testate “controcorrente”, in riferimento ad essi ha parlato di “violenza borghese”. Ebbene si! Essi sono i borghesi più antisociali e ignoranti delle problematiche popolari. Ne parlano, si rendono pieni di saccenza imbastendo i dibattiti con i diritti umanitari, l’eguaglianza, la socialità. Ma le vivono tutte come belle parole predicate dai balconi delle loro opulenti ville trasudanti opulenza da ogni foro. Che con una “puzza sotto il naso” provano una segreta avversione per questi gretti italiani xenofobi. Per questi operai, impiegati nelle ricche aziende del “paparino”, che ritornati a casa dopo un estenuante lavoro se la trovano occupata da qualche straniero. Avversi a questi proletari, ieri come oggi.
Sono i sempiterni radical chic, quelli che reclamano la solidarietà verso i più deboli a fronte delle loro borse di pelle di coccodrillo.
Quelli che hanno la percezione dell’ “ultimo” solo negli uomini con il colore della pelle diversa da loro, perché aiutare il “povero negro” è bello, vuol dire “aiutare un nostro fratello, un fratello migrante”. Comprando, magari, prodotti provenienti dal terzo mondo e fregandosene allegramente del contadino dietro casa che muore di fame.
Borghesi, soprattutto borghesi.
Si dicono anticapitalisti e professano un’uscita a sinistra dalla crisi. Fondata sulla cooperazione sociale, su un sistema solidale, inclusivo dove ognuno sia libero e non schiavo. Di un mondo senza frontiere ed una società multietnica vedendo nell’immigrazione l’avanguardia di tutto questo. Incenerendo verbalmente, con i più variopinti epiteti di “razzista”, “fascista”, “pericoloso soffiatore sul fuoco della montante protesta contro il diverso”, chiunque si ponga come ostacolo al processo migratorio.
Si dicono anticapitalisti, ma sono un’altra faccia del capitalismo, e nemmeno se ne rendono conto.
Non comprendono che la “grande e bella” società multiculturale non è altre se non il retroterra di una società capitalisticamente realizzata. Grigia, dove l’uomo è uguale all’altro uomo solo per il semplice fatto di essere un consumatore nei scintillanti centri commerciali di qualche catena multinazionale; uguale solo per la miseria delle loro paghe rese uguali; uguale per l’assenza di un’identità peculiare e diversa tra gli uomini.
Parlano di guerra fra poveri e di chi su di essa ne fa il proprio consenso politico, ma non scendono alla radice del problema. Non comprendono che è proprio l’immigrazione a creare povertà sia per gli allogeni che per gli autoctoni e che questo, insieme alla coabitazione forzata, crea conflitto sociale. Conflitto sociale ingrandito a causa del diverso trattamento usato tra immigrati e cittadini, con lo sperpero di soldi e mezzi pubblici per i primi ed un “nulla di fattivo” per i secondi. Anzi con una presenza opprimente dello Stato che pretende il pagamento delle tasse anche dai più poveri, parte delle quali vengono utilizzate, come beffa, per la realizzazione di centri di accoglienza per i clandestini, mentre le “case popolari” restano incompiute o non assegnate. Ciò crea diseguaglianza. Una diseguaglianza che colpisce i tanti volti dei nostri connazionali che diventano il volto di nostra madre, di nostro padre, dei nostri figli. Perché, si comprenda, che Tor di Sapienza non è solo un malfamato quartiere romano, ma potrebbe essere, ed è, tutta l’Italia.
Ma queste incommensurabili problematiche non si evincono nei servizi dei buon talk-show televisivi, negli articoli delle testate giornalistiche, nella sapiente retorica dei soloni dell’antirazzismo.
“Antirazzismo”! Se questo termine vuol dire lotta a chi sostiene la diversità, essi sono paradossalmente dei campioni di predicazione discriminatoria. Più subdola perché si annuncia con parole che potrebbero essere la sua antitesi, più sostanziale perché quando si trova nei “posti di comando” crea dei mostri e discrimina i più invisibili, i nostri compatrioti più poveri, i nostri fratelli più disgraziati.
Borghesi, nient’altro che borghesi!
Federico Pulcinelli
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