8 Ottobre 2024
Società

Breviario suicida – Roberto Pecchioli

Mentre La Repubblica dedica pagine preoccupate alla “cultura di destra”, la compagnia di giro progressista continua a considerare Cosa Nostra (il riferimento è voluto) ogni spazio di divulgazione delle idee. Così al Salone del Libro di Torino, dopo la fibrillazione per la presenza di Alain De Benoist, è andata in scena la rumorosa contestazione a un ministro, Eugenia Roccella, colpevole del più imperdonabile dei peccati, l’eresia. Si tratta infatti di una femminista contraria all’aborto, pardon Interruzione Volontaria di Gravidanza, intangibile dogma para religioso della parrocchia fucsia e arcobaleno.

Intollerabile la reazione della signorina Schlein, che ha dato manforte al drappello contestatore, legittimando la sinistra pretesa di ridurre al silenzio ogni voce dissenziente all’egemonia dell’Impero del Bene. Proprio la misera reazione della responsabile del PD mostra l’impotenza e l’assenza di solidi argomenti di un mondo la cui principale occupazione è chiudere gli spazi di libertà con ogni mezzo, compreso l’attacco diretto. Elly Schlein è l’icona, la rappresentazione fisica della sterilità di pensiero e di vita che sta erodendo la società come sciami di termiti. Esprime perfettamente il pensiero nichilista che abbiamo rappresentato a proposito dell’ideologia antinatalista.

Vale la pena approfondire il tema per fornire armi dialettiche al dibattito. La punta estrema di un sistema di idee lugubre, mortuario è il filosofo sudafricano David Benatar, per il quale sarebbe auspicabile l’estinzione della specie umana. Poiché la vita è dolore, nascere è tutto fuorché un bene: teorie che sono valse a Benatar articoli celebrativi sulla stampa mainstream e fama internazionale. Gli esseri umani dovrebbero guardarsi bene dal generare “nuovi esseri senzienti”. Rivendica il diritto assoluto ad abortire e non procreare. In alto la chiamano “salute riproduttiva”, la solita inversione delle parole orwelliana. La novità di Benatar consiste in un altro capovolgimento: dare alla luce una nuova vita sarebbe un gesto egoistico, il peggiore che possa essere commesso. Meglio risparmiare al nascituro la sofferenza dell’esistere. Una posizione che sembra estrema e non lo è, giacché il pessimismo che corrode l’anima cancellando il futuro è una delle costanti del pensiero oggi dominante. Orrore del buio passato, sfiducia nel futuro, ripiegamento sull’attimo, un carpe diem disperato senza la lucida accettazione del destino di Orazio.

Benatar non è solo. Il breviario suicida conquista adepti e diventa “cultura”. La cilena pluripremiata Lina Meruane ritiene “irresponsabile” avere figli. Nel saggio Contro i figli scrive: “i figli, lungi dall’essere gli scudi biologici (???) dell’essere umano, sono parte dell’eccesso consumista e contaminante che la sta facendo finita con il pianeta”. Da parte sua, la psicanalista ed economista franco svizzera Corinne Maier in No kids, 40 ragioni per non avere figli, esprime analoghi concetti, assicurando che “ogni bambino nato nei paesi sviluppati è un disastro ecologico per l’intero pianeta”. L’argomento è risibile: la propensione al consumo è ben più grande nei soggetti privi di legami familiari. La Maier, che è madre, si dice pentita e, in contraddizione con se stessa, rimpiange la scelta: “se non li avessi avuti, avrei potuto girare il mondo con il denaro dei miei libri”. Alla faccia dell’ambientalismo: un’inquinatrice in meno e un’incoerente in più. Senza dimenticare i figli, a cui arriva il chiaro messaggio che non sono un dono, ma un onere fastidioso.

Un altro argomento privo di senso è “il bambino è un alleato oggettivo del capitalismo” e la maternità ne consente la riproduzione. Accade esattamente il contrario, perché solo chi non ha figli può essere il perfetto utente/ dipendente delle reti sociali, delle piattaforme digitali e del consumo modaiolo: madri e padri hanno altre priorità; la realtà immediata impedisce loro di diventare schiavi digitali e consumatori compulsivi. Inoltre, è soprattutto chi non ha famiglia a poter accettare condizioni di lavoro misere e precarie, che svalutano la dignità a tutto vantaggio del capitalismo, esecrato a parole, sostenuto nei fatti.

 L’ antinatalismo è talmente intriso di disumanità e gelido egoismo da non rendersi conto che i sacrifici e le rinunce che aborre sono fatti per amore, l’unico sentimento che rende bella e desiderabile la vita. Una ulteriore co0ntraddizione è l’immigrazionismo favorevole alla sostituzione etnica delle popolazioni occidentali con masse provenienti da altre aree geografiche ed etniche. Promuovono la denatalità, ma solo quella dei nostri popoli. Per la Meruane, l’immigrazione massiva “risolve il problema facendo spazio a tante persone strette in altri luoghi della geografia”. Pura malafede: o si è contro la crescita della popolazione o non lo si è: l’estinzione vale solo per i popoli bianchi. Invecchiati, siamo accuditi negli ultimi anni da popolazioni estranee: una sottile forma di dominio, l’ultima prima del rintocco finale.

Diciamola tutta: i progressisti “intersezionali” sono suprematisti della più bell’acqua: per loro chi ha figli fa parte di uno strato sociale e culturale arretrato. Le madri non avrebbero “coscienza” pur se “affermano di aver fatto tutto di loro spontanea volontà”. Al contrario, “con le loro decisioni di avere figli hanno influenzato il modello socio economico vigente ” in quanto “essere occupate [nel ruolo materno] è proprio ciò che impedisce loro di pensare in modo critico alla loro situazione e di fare qualcosa” (Meruane). Ancora più folle la tesi che “avere figli trasforma una donna in un nazionalista estremo che consegna carne alla Patria e al capitale. “

 Questo tipo di argomentazione disumanizza le madri e le consegna allo status di esseri inferiori, collaborazioniste del sistema “eteropatriracale”; alimenta la folle agenda della guerra dei sessi che ha sostituito la lotta di classe, con grande gioia del capitalismo che domina dividendo. L’antinatalismo diventa un’arma nell’attacco contro i padri e, in generale, contro gli uomini (preferiscono dire maschi, per animalizzare il “nemico”). Questa svolta è perfettamente filocapitalista e neoborghese, giacché impedisce un fronte comune contro il dominio, ma anche – nello stile dei più disumani amministratori delegati e dirigenti delle “risorse umane” – accoglie il meccanismo di riproduzione del sistema per cui se una donna vuole raggiungere il successo professionale è meglio che non abbia figli; averli dimostra che le mancano autocoscienza ed ambizione. Essere liberi/e coincide con l’assenza di figli. L’antinatalismo ha tratti di rivoltante meschinità, uniti a un’autentica volontà di apartheid contro bambini e adolescenti, una forma ulteriore di senilità della nostra società. Lina Meruane è indignata per il fatto che “il neonato della porta accanto interrompe il mio sonno, i minorenni del piano di sopra prendono a calci il mio tetto e il mio lavoro quotidiano”. Corinne Maier assicura che “l’innocenza del bambino, come diceva già Sant’Agostino, dipende dalla debolezza del suo corpo, non dalle sue intenzioni. Il bambino è come un cane: se fosse due o tre volte più grande sarebbe un animale feroce, il tuo peggior nemico. “Chi parla è madre… L’insigne studiosa si spinge a chiedere l’istituzione di quartieri senza bambini, come accade in Florida, e che le ferrovie “mettano in vendita biglietti no-kid.”

Un figlio, lamenta la madre pentita di successo, “costa una fortuna. È uno degli acquisti più cari che un consumatore medio si può permettere nella vita. Dal punto di vista monetario, è più caro di un’auto di lusso ultimo modello o di un appartamento a Parigi. E il peggio è che il costo totale minaccia di aumentare nel tempo.” Argomenti tipici della peggiore sottocultura individualistica, postborghese, consumista, egocentrica: puro distillato del liberismo/libertarismo ultimo, più la volontà di non assumere responsabilità: un’insidiosa variante della sindrome di Peter Pan. Generazioni che non vogliono crescere, disinteressate al futuro, chiuse in sé stesse. L’antinatalismo è il migliore alleato della transizione dal neoliberismo al capitalismo digitale che crea una a-società di individui isolati senza legami di appartenenza e di affetti, consegnati al consumo, unica fonte di felicità. È anche il punto di partenza di un conflitto sociale che legittima la divisione “etica” tra chi non ha figli e chi ne ha, giustificando la riproduzione… dello sfruttamento. I salari che prima erano destinati alla riproduzione sociale attraverso la famiglia sono gli stessi che ora consentono ai solitari di accumulare una certa quantità di reddito, mentre le famiglie sono condannate a una vita a debito. Anche per questo, sono ridicole le professioni di anticapitalismo di chi ne è il migliore alleato “oggettivo” (il termine è marxista).

Dobbiamo avere figli e nipoti per lo stesso motivo per cui li hanno avuti i nostri padri: non soltanto per riprodurci, quanto per affrontare con garanzie etiche il nostro destino di esseri finiti ma trascendenti. Per chi ha figli è motivo di serenità l’idea di morire prima di loro, sapendoli adulti e indipendenti. È altresì una forma di preparazione ed accettazione della fine, sperimentata da tutte le generazioni precedenti. Le correnti antiumane possono essere sconfitte solo anteponendo alla loro corsa frenetica di distruzione mascherata da progresso le esigenze primarie ma urgenti di ogni bambino, unico quanto universale. Il breviario suicida conta genitori pentiti di avere avuto figli a causa del “cambiamento climatico”. Vere o no che siano le statistiche (spesso la domanda, la sua forma, predeterminano la risposta) è un fatto che esistono movimenti, come Birth Strike (sciopero delle nascite) una comunità di donne che rinunciano alla maternità affinché nuovi esseri umani non partecipino all’imminente “crollo della civiltà”. Crollo certissimo in caso di estinzione della specie umana, ma l’argomento, chissà perché, non fa presa. In uno studio pubblicato sulla rivista climatica Change, alcuni intervistati dichiarano di essere dispiaciuti di aver messo al mondo figli “per motivi ambientali.”, una percentuale in aumento tra i più giovani: la propaganda catastrofista antiumana fa proseliti anche per assenza di contraddittorio. Gli studi dei circoli ecologisti non hanno dubbi: la più grande riduzione di impronta di carbonio è non avere progenie, poiché le persone e l’attività umana sarebbero la principale causa del riscaldamento globale. Trombettieri suicidi delle oligarchie antiumane.

Contraddittorio anche il pessimismo generalizzato rispetto al presente e al futuro. Il cortocircuito riguarda l’incapacità di cogliere le ragioni della crisi nell’allontanamento dai valori umani naturali – come la vita e la sua trasmissione – nell’esclusione dei principi spirituali dall’orizzonte esistenziale, nel sistema sociale ed economico violento, individualista, predatorio, disumano. Turba l’incapacità di lottare per un vero cambiamento, promosso da generazioni vive, vitali, capaci di antagonismo, non opache figurine atterrite dalla narrativa del catastrofismo climatico, dalle responsabilità, dal rifiuto dei figli sino a ritenere desiderabile l’interruzione del ciclo della vita. Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito. La luna sono la vita e l’uomo; il dito le difficoltà. Nessuna generazione ha mai pensato di risolvere i problemi abolendo la vita. A nessuna tuttavia, era stato proposto dalla cultura dominante il suicidio della specie. L’uomo d’occidente muore perché portato a odiare se stesso. Crede a un pugno di misantropi psicotici che, alla fine, vogliono il mondo tutto per sé. Presto domineranno sul nulla. Il deserto cresce; guai a chi in sé cela deserti, ammoniva Zarathustra.

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