Avviso ai naviganti: questo pezzo è altamente divisivo. Se gli stomaci democratici e tolleranti non lo reggono, basta interrompere la lettura. In caso di insulti, capitate male: non frequento le reti sociali e comunque me ne frego. Ahi, ahi, l’ho detta grossa. Ma sono un troglodita, un abitatore delle caverne. Come Flintstone nel cartone animato Gli Antenati, incido lettere su un blocco di pietra a colpi di scalpello. Ringrazio chi, con immeritata comprensione, ha trascritto in formato Word e trasmesso in modalità telematica la presente intemerata.
Troglodita: è la gentile espressione utilizzata nei confronti di Lorenzo Fontana, neo presidente della Camera, dal sovrano del Sacro Campano Impero Vincenzo De Luca, noto per la sua classe, l’avanzata modernità e altissima civiltà impressa al regno. Fontana è colpevole di una serie di misfatti per i quali io chiamo me stesso in correità: non è abortista, non è favorevole all’invasione da parte di immigrati clandestini, non è progressista e, udite udite, crede in Dio e ha l’abitudine di pregare. Peggio: usa recitare il Rosario.
Tutte caratteristiche da cavernicoli, estranei alle meraviglie della tolleranza, dell’inclusività, della società liquida, del genere fluido, prigionieri di antiquate superstizioni. Peraltro, cavernicolo fu anche Gesù, nato in una grotta, che, diventato adulto, si permise di affermare: io sono la via, la verità e la vita. Uno smargiasso convinto di essere il figlio di Dio.
Anche nel rozzo diritto dei trogloditi vanno concesse le attenuanti generiche all’imperatore campano (un immigrato, giacché è originario di Muro Lucano). Da buon napoletano ha il teatro nel sangue e non si perderebbe mai una battuta e l’applauso del pubblico pagante dei tifosi. Peggio di lui hanno fatto i giornalai – pardon, giornalisti: nelle caverne abbiamo un lessico impreciso – che accusano La Russa, assurto alla presidenza del Senato, di chiamarsi Ignazio Benito Maria.
Lo hanno fatto con lo sguardo allucinato dal livore e il volto terreo, segno di pessima digestione e problemi biliari. Noi trogloditi non facciamo questione di nomi: la mia amichetta d’infanzia si chiamava Palmira Giuseppina, in onore di Palmiro Togliatti e di Giuseppe Stalin. Più interessato ai giochi che alle questioni ideologiche, non le ho mai rinfacciato i nomi imposti dai genitori, comunisti e bravissime persone.
Valeva la pena che le elezioni fossero vinte dall’innocuo centrodestra moderato, atlantista e liberale, per godersi, dal fondo della caverna, lo spettacolo dei suoi avversari. Quasi quasi, pentito di non aver votato per Ignazio Benito Maria o per Fontana. Il mite deputato veronese subisce anche volgari insulti alla moglie. Oltre a De Luca, che i compagni salernitani chiamavano Pol Pot per la sua pacatezza, una giornalaia accusa la signora di “accoppiarsi” con l’orribile coniuge. Lorsignori fanno l’amore o fanno sesso, dall’alto della civiltà superiore, mentre i trogloditi si accoppiano. Per lo meno, tra soggetti di sesso diverso.
Tolto qualche sassolino dai rozzi calzari, passiamo oltre e, con i trogloditi al potere, buttiamo giù un breviario troglodita. Scegliamo le parole per far imbestialire i Buoni, i Giusti, le Anime Belle. Il breviario, infatti, è un libro religioso, roba da cavernicoli, puzza di incenso, parole del passato più oscuro. “Già usato nel linguaggio teologico, amministrativo, giuridico, in liturgia significò dapprima un elenco delle regole per la celebrazione delle messe e degli uffici divini.” Aumentiamo la gastrite di lorsignori: la definizione è una sintesi tratta dall’Enciclopedia Italiana fondata nel 1925 sotto il governo di un altro Benito, insegnante romagnolo.
Il breviario è una sinossi di ciò che vorremmo facessero i trogloditi di governo. Scartata l’ipotesi della rivendicazione di sovranità nazionale e popolare, monetaria e finanziaria; tramontata l’ipotesi di agire per la pace e non per la guerra; messa nel libro dei sogni la difesa dei diritti sociali; nascosta in soffitta la possibilità di non genuflettersi a Big Pharma, Washington, Bruxelles, Francoforte e persino Kiev, ci resta un’ unica speranza, forse un miraggio: che i trogloditi si comportino come tali sulle questioni ( i “diritti”) che turbano il carro di Tespi fucsia ed arcobaleno.
Nel mondo, disse Eraclito, tutto scorre: occorrono dunque punti fermi. E poiché “pòlemos”, il conflitto, è “il padre di tutte le cose”, il breviario troglodita rivendica principi antichi e sempreverdi. La famiglia, innanzitutto. Da ricostruire a partire dalla figura del padre, il grande assente della modernità. Telemaco, figlio di Ulisse, cercava il genitore assente; anche noi dobbiamo orientare il futuro sulla famiglia naturale, formata da padri, madri e figli, aperta alla trascendenza, impegnata a trasmettere il lascito dei nonni, di cui le generazioni successive faranno – come sempre è accaduto – quel che vorranno. Ma non possiamo recidere i legami e rifiutare l’eredità. Nudi, si finisce sotto i ponti ad aspettare la fine. In questo senso, ci piace che al ministero della famiglia sia stata aggiunta la delega alla natalità. Applaudiamo l’articolato del senatore Romeo “Disposizioni per la tutela della famiglia e della vita nascente”.
Primum vivere. Il popolo italiano si sta estinguendo biologicamente, oltreché per colonizzazione culturale ed eccesso di popolazioni estranee. E’ il più grande dei problemi, come sanno i demografi, ma ad esso gli italiani devoti al culto antico del “particulare” sono sovranamente indifferenti Al progressista non importa nulla: gli uomini sono tutti uguali, fungibili, non è interessato alla sopravvivenza del popolo, della cultura e della razza (un’altra parolaccia…) alla quale egli stesso appartiene. Ma come sarà possibile mantenere ed estendere la civiltà nostra – che l’oligarca europeo Josep Borrell considera “un giardino” – senza chi di quel giardino è erede e custode?
Le civiltà muoiono come gli uomini; ad esse sono dedicati appositi musei, in cui si espongono le vestigia. Oggetti, mummie, cose: nulla di vivo. La nostra civiltà sta diventando il triste museo di se stessa, senza figli, senza volontà, con una paura soffocante provocata ad arte che disarma e uccide lo spirito. Chi ci sostituirà non sarà come noi e, legittimamente, si disferà di idee, costumi, cultura, lingua, credenze estranee. Non ci importa nulla, poiché “dopo di me il diluvio”. La nostra fine come visione del mondo e popolazione– dal troglodita all’abitante di grattacieli da cui guarda solo verso il basso – è meritata e andrà accolta come una liberazione da una malattia dell’anima.
Per il corpo, a comprendere il degrado basta l’orrore contemporaneo per la morte e insieme la fascinazione per essa, attraverso dipendenze che uccidono, l’applauso per l’eutanasia, la distruzione dei cadaveri umani, a sottolineare la volontà di cancellare ogni traccia. I trogloditi rendevano culto ai morti; non erano “civili”, ma, temiamo, più umani. Il numero forse non è potenza, come pensava l’altro Benito (Amilcare Andrea), ma certo la scarsità di popolazione per l’assenza dei figli è impotenza e sterilità. Segnale di egoismo, mancanza di senso di responsabilità e sfiducia nel futuro. Chi pensa solo al presente ha i giorni contati. Chi si oppone al consumismo dilagante sappia che il calo demografico è tra le cause della compulsione consumista: il sistema preme l’acceleratore sui desideri per compensare la penuria di clienti. Lo ha spiegato con ineccepibili argomentazioni macroeconomiche Ettore Gotti Tedeschi, il cui torto è di essere cattolico.
Sostenere la natalità significa attivare misure economiche e fiscali, rendere prioritari gli investimenti per quanto riguarda scuole e asili di prossimità, cambiare ritmi e modalità del lavoro, revocare in dubbio le sacre leggi del mercato, ma soprattutto riattivare la cultura di sempre, quella che considerava i figli un bene e una gioia, non un fastidio. I trogloditi hanno tenuto duro in condizioni difficili sin dal giorno in cui hanno guardato in alto e si sono resi conto di non essere animali della selva. Hanno amato e protetto figli e compagne – diventate mogli per dare un senso pubblico ed etico all’unione – e se noi siamo qui è perché non hanno pensato all’aborto come diritto universale e mai immaginato che la relazione fisica e affettiva tra persone dello stesso sesso fosse il matrimonio omo “egualitario”.
Nelle scuole neo-troglodite non si dovrà insegnare la bellezza della fluidità di genere o la masturbazione – come avviene nell’avvizzito giardino d’Occidente – ma coltivare la meraviglia del dimorfismo sessuale, premessa dell’incontro tra uomo e donna. Usciti da poco dalle caverne e immaginata una cosmogonia, gli umani dissero “maschio e femmina li creò”, dando per scontato che dal nulla o dal caso non sorge l’universo. La fisica più recente pensa le stesse cose.
La nostra libertà è l’indifferenza verso gli altri, lo scioglimento dai vincoli. Per gli antichi che avevano costruito dimore e templi al posto delle caverne, era la possibilità di partecipare alla polis, la dimensione comunitaria, l’assunzione di responsabilità. I cavalieri del progresso odiano gli impegni. Ciò che contrasta la corsa forsennata con destinazione il nulla genera ansia, paura, senso di sconfitta in chi è impegnato a “realizzarsi” e sperimentare ogni “piacere”. Esausti, invecchiati, atterriti dalla malattia e corrosi dalla depressione, benedicono la “buona” morte, convinti di essere troppi sulla terra.
I trogloditi no: difendevano accanitamente la loro vita e quella del gruppo, nonostante fosse dura, carica di rischi e niente affatto comoda. Amavano la vita: noi imploriamo chi sta assumendo responsabilità di governo di avere lo stesso amore, esteso al nostro popolo, alla sua storia, ai suoi valori e principi. Chi cancella, chi decostruisce rimane con un pugno di mosche. Sradicato, tende a sradicare gli altri, a odiarli sino a definire cavernicoli coloro che non condividono il suo nichilismo. L’uomo occidentale odia la caverna perché gli ricorda chi era. Denaturato, senza vincoli ed eredi di sangue, diventa un OGM, un organismo geneticamente (e culturalmente) modificato: l’uomo Monsanto.
La famiglia è per lui/lei un luogo pericoloso, la sentina di ogni nefandezza. La spregia chiamandola “tradizionale”, parola bellissima che richiama la trasmissione, la connessione tra ieri e domani. Tuttavia, noi trogloditi dovremmo imparare a usare l’aggettivo “naturale”. La famiglia con figli e genitori (incredibile ripetere: un uomo e una donna) è infatti naturale, non tradizionale. Lo afferma perfino la costituzione “più bella del mondo” livre de chevet degli avanzati, tolleranti e illuminati: “società naturale fondata sul matrimonio”.
A proposito di tolleranza, valore chiave del pensiero debole anti troglodita: si tollera qualcosa o qualcuno per necessità, perché non si ha la forza o la capacità di sconfiggerlo, ma resta il giudizio negativo. Tollerare significa accettare qualcosa che non piace, non astenersi dal giudizio di valore. Gli iper tolleranti diventano terribili con gli avversari: è il paradosso della tolleranza, buco nero dei paladini della “società aperta”. Scrisse Karl Popper che la società da perseguire è inclusiva, libertaria, aperta, ma non perta agli “intolleranti”, categoria in cui si entra a insindacabile giudizio dei tolleranti. Scusi il lettore il gioco di parole, essenziale per capire il rancore verso Ignazio in quanto Benito all’anagrafe, per Fontana e la moglie – che non ama, sentimento riservato ai Buoni, ma con cui si accoppia – e per chiunque dissenta dal paradiso arcobaleno.
I trogloditi avranno vita dura. A loro chiediamo di restare tali, nell’accezione dei loro nemici. Un’agenda per la vita è un’agenda per la famiglia, per la comunità, la civiltà, il futuro e la libertà. Non è troglodita, bensì avanzato, civilissimo, infatti, l’esproprio del corpo attraverso gli obblighi sanitari e i passaporti che hanno escluso dai luoghi del lavoro e dall’esistenza. I trogloditi conquistavano lo spazio con la forza e la determinazione. Escludiamo la prima, se non come legittima difesa, ma la risolutezza, l’inflessibile volontà di andare all’attacco e abbattere il castello di sabbia e follie di una cultura di menzogne, nichilismo odio di sé, questo lo pretendiamo da chi è tacciato di cavernicolo perché crede nell’uomo, nella civiltà ereditata, in Dio e nella famiglia.
Trogloditi di tutti i paesi, uniamoci e scacciamo i mercanti dal tempio. Ci riuscì, duemila anni fa, un uomo solo e inerme. Possiamo farcela anche noi: vince sempre chi più crede.
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