La nuova edizione de La vista, l’udito, la memoria
Piero Buscaroli è stato uno dei «fratelli maggiori» che ha accompagnato, con i suoi scritti, la mia generazione, quella dei nati negli anni Cinquanta, lungo la strada, spesso accidentata ed impervia, della formazione civile. Gli dobbiamo molto. A differenza dell’ambiente politico di provenienza e, più in generale, dell’Italia del dopoguerra, caratterizzati da una disattenzione, a dir poco disarmante, nei confronti del sapere, la paideia di Buscaroli, riportava all’attenzione del più sprovveduto dei suoi lettori, la centralità della cultura intesa in senso latino, cultus reso alla vita, atto a manifestare uno stile. L’adesione a tale paradigma ideale ha connotato di sé la prosa di Buscaroli, rendendola immediatamente riconoscibile: complessa e lieve allo stesso tempo, vibrante di pathos, di slanci ironici ed autoironici, all’occorrenza forte e ridondante, sempre vivace, intellettualmente stimolante. Basta scorrere le pagine del suo memorabile, La vista, l’udito, la memoria, nelle librerie per Bietti, in seconda edizione, per averne contezza (per ordini: 02/29528929, euro 27,00, pp. 598).
Il libro uscì in prima edizione nel 1987 e nelle sue pagine è condensato l’intero mondo ideale del nostro autore: vista, udito e memoria sono le facoltà su cui si fondano l’arte, la musica e la storia. Tre facoltà che risultano fondative della Civiltà, e per ciò irrinunciabili. Esse sono state progressivamente negate dalla Zivilisation del mondo contemporaneo. Pertanto, questo volume, non è riducibile ad una semplice raccolta di saggi, in quanto gli scritti sono legati tra loro da un sottile e duplice fil rouge. Alcune delle sue pagine sono sostanziate dal nobile sentimento della nostalgia, innanzitutto per ciò che un tempo furono l’Italia e l’Europa, altre, al contrario, proprio perché alla nostalgia è connaturata, stante la lezione neoplatonica, la tensione erotica, sono innervate dalla certezza che, le rovine dell’oggi, sapranno suscitare un moto di sdegnata reazione, spirituale ed esistenziale, allo stato presente delle cose. La memoria di Buscorali non si riduce alla rancorosa deprecatio temporis, ma è aperta sul futuro, sempre possibile, della tradizione.
Lo ricorda, nella bella e accorata prefazione, Gennaro Malgieri. Buscaroli riesce ad intrattenere amabilmente il lettore, introducendolo, in alcuni dei saggi della silloge, nella tradizione musicale europea, in altri in quella artistica, soprattutto pittorica, soffermandosi, più in generale, sulla dimensione intellettuale del nostro esistere. Altri scritti, invece, descrivono la miseria spirituale del presente e sono mirati, per contrasto, a far emergere lo splendore, per molti inimmaginabile, del passato. Coglie, pertanto, nel segno Malgieri, nel sostenere che Buscaroli ha di mira la presentazione del Canone europeo. L’autore persegue questo obiettivo esplicitando un tratto esistenziale che, come stigma indelebile, lo accompagnò fin dalla prima giovinezza: egli si sentì, per usare un titolo di Prezzolini, un «italiano inutile», la cui unica certezza, dopo il 1945, fu quella di vivere in una «nazione in coma», in una nazione che aveva perso, assieme all’Europa, il senso del proprio destino nella storia del mondo, e che perseguiva un lento suicidio, attraverso l’esercizio dell’autodenigrazione. Nei medaglioni dedicati a scrittori, pittori, poeti e musicisti, Buscaroli: «ha tentato di rivitalizzare […] con l’intelligenza interpretativa appresa dai suoi maggiori […] l’esemplarità di un universo che nonostante tutto riesce a sopravvivere, sia pure nascosto […] al di là e al di sopra delle contingenze» (p. 13).
Sfilano davanti al lettore, tra le altre, le vive figure di Cardarelli, Longanesi, Paratore, Messina, Dürer, Praz. E’ proprio, a nostro parere, il saggio dedicato a quest’ultimo e al suo libro, La casa della vita, a segnare, in modo paradigmatico, il volume. Praz, erudito e collezionista di vaglia, insegnò a Buscaroli ad amare il bello, suscitando in lui la passione neoclassica e quella per i libri di emblemi. Ebbene, La Casa di Praz è il simbolo di ciò che Buscaroli desiderava, e di cui anelava il ritorno, è il simbolo del Canone europeo, della tradizione: «La vasta camera gli appariva una presenza visibile di cose, uno spettacolo…» (p. 157). La Civiltà di contro alla civilizzazione. Altro scritto significativo, che consente acconcio accesso alle intenzioni implicite de La vista, l’udito, la memoria è da individuarsi, a nostro modo di vedere, in Dürer e la natura. In esso, si discutono le opere del grande incisore del nord Europa dedicate agli animali e alle piante. Dal testo si evince come la creazione artistica poggi, necessariamente, sul canone: «ogni colpo di originalità, improvvisazione e novità, che si credon di solito frutti di bizzarria, poggia in realtà su muraglie secolari di esperienza e pensieri» (p. 48). Inoltre, l’esegesi de la Grande zolla di Dürer, mostra come l’artista, disegnando la folla delle minute erbe, delle umili graminacee, presenti ovunque nelle nostre campagne, faccia rilucere il senso sacro della physis. Dürer non pensava, come i moderni, che essa dovesse essere migliorata o, semplicemente, utilizzata, provocata, per dirla con Heidegger: «fu uno dei privilegiati che la credettero, e seppero restituire, perfetta» (p. 51). Eppure tutto ciò, è venuto meno.
Con la sconfitta del 1945, l’arte, nel mondo atomizzato dall’utilitarismo capitalista, ha diviso il proprio destino da quello della politica, dello Stato, della vita. La cosa è risultata particolarmente evidente nei paesi sconfitti: Italia e Germania. Emblematico il caso di Furtwängler, direttore d’orchestra di livello internazionale, sul quale si sofferma Malgieri, ricordando quanto, a suo riguardo, rilevò Buscaroli: «Quel che realmente lo strazia(va), è la perdita del carattere tedesco nei tedeschi […] il vinto che ringrazia il vincitore dopo essere stato annientato da lui» (p. 22). Più in generale, da allora, gli Europei, hanno sofferto della perdita d’anima, patologia connotante di sé il moderno, come osservò lo psicanalista e filosofo, James Hillman. Per riconquistare l’anima europea è necessario, come Buscaroli fece, contrastare in ogni modo: «il dogma dell’età» (p. 33). Porsi oltre la cultura dominante, lasciandosi alle spalle, nel nostro sporgerci ed aprirci al mondo, lo sterile specialismo della presuntuosa oggettività scientifica, quanto il pressappochismo dilettantesco. E’ la curiosità, in senso classico, che va recuperata. Se sostenuta da un approccio empatico al nostro passato, alla nostra storia, la tradizione può tornare a rivelarsi, come suggerito da Buscaroli, quale meta possibile.
Giovanni Sessa
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