Alla fine l’ha spuntata Urbano Cairo. L’editore alessandrino, dopo una lunga battaglia politica e finanziaria a colpi di OPA (offerta pubblica d’acquisto), contro-OPA del gruppo Bonomi, e OPS (offerta pubblica di scambio) ha in mano circa il 49% delle zioni di RCS-Corriere della Sera. Ha sconfitto il cosiddetto salotto buono dell’industria e della finanza italiana, che del controllo del quotidiano milanese avevano fatto un punto d’onore e persino una “linea del Piave”.
Dopo la graduale americanizzazione del gruppo Fiat, si dissolve il vecchio potere sull’asse Agnelli- Mediobanca (Enrico Cuccia), con attorno Pesenti, Pirelli, Assicurazioni Generali e gli altri pochi grandi, cui, nell’ultimo decennio, si era aggiunto il gruppo calzaturiero Della Valle. E’ anche la sconfitta dell’ex leone triestino, Generali, a proprietà diffusa di quelli che contano, ma diretto dai francesi del gruppo Vivendi e dal loro proconsole Bolloré, nonché del gruppo bancario Unicredit.
Il denaro necessario all’operazione proviene da Banca Intesa San Paolo, che è il vero vincitore del complesso risiko. Il presidente è uno sperimentato lupo della finanza, Gian Maria Gros-Pietro, l’amministratore delegato Carlo Messina, ma dietro le quinte dirigono ancora le danze due grandi vecchi del potere bancario italiano e milanese, Giovanni Bazoli e Alessandro Guzzetti (Fondazione Cariplo). Intesa San Paolo e Unicredit sono anche i due istituti che controllano la maggioranza di Banca d’Italia, ed hanno quindi un ruolo nell’Eurosistema, ovvero in Banca Centrale Europea. Tra le due, la meno “italiana” è senz’altro Unicredit, e non solo per la nazionalità francese del suo timoniere Jean Pierre Mustier. Partecipate entrambe dai colossi bancari del pianeta, nonché da fondi delle dimensioni di Black Rock, le due banche, all’interno del medesimo sistema di potere, sono in competizione. Pare il momento di Intesa, dove molte leve di comando sono ancora in mano a uomini come Bazoli, la cui antica alleanza con Prodi e con l’ala “finanziaria” della sinistra politica di ascendenza cattolica è nota e collaudata. Peraltro, sembra che l’anziano banchiere bresciano sia vittima della tenaglia Messina-Guzzetti.
Quanto a Cairo, l’ex dipendente di Berlusconi è ambizioso e capace, e la sua ascesa a Via Solferino, sede del Corriere della Sera, è stata discretamente sostenuta anche da Mediolanum, galassia Mediaset. Di lui si dice che, da buon piemontese, sia sparagnino e durissimo quando si tratta di mettere mano al portafogli. Tuttavia, da presidente del Torino Calcio ha il bilancio in attivo, ed è miracoloso in quel mondo; come proprietario della televisione La 7, già in profondo rosso ai tempi di Tronchetti Provera, ha rimesso i conti in regola puntando proprio sull’informazione, da Mentana alla Gruber. Sembra che non lo turbi neppure il passaggio al gruppo Discovery di Maurizio Crozza, che pure, con le sue trasmissioni tra il politico ed il comico, e le sue straordinarie imitazioni (Bersani è diventato l’imitazione di se stesso, dopo Crozza) è stato protagonista dell’ascesa della 7.
Le trasmissioni del comico genovese costerebbero troppo, Cairo ha un sacro rispetto per il (suo) denaro. Intanto, non c’è iniziativa editoriale, dai settimanali ai mensili fino all’enigmistica, che non sia stata coronata dal successo. Probabilmente, non ha ambizioni politiche personali, e si guarderà bene dal “disturbare” i manovratori, quanto meno quelli nell’orbita Bazoli/Guzzetti. La 7 ha visto diminuire, negli ultimi tempi, lo spazio di Santoro e Gad Lerner essenzialmente per gli elevati cachet dei gruppi di lavoro dei due. Quanto a Mentana, gli si attribuisce qualche simpatia per i 5 Stelle, ma dubitiamo che Cairo si esponga politicamente. E’ un editore puro, il suo mestiere è vendere giornali e aumentare gli ascolti per aumentare il prezzo degli spazi pubblicitari. Rimarrà dalla parte del potere, soprattutto di quello finanziario che lo sta sostenendo e delle sponde politiche da esso prescelte.
Un momento Importante sarà quello della nomina del nuovo direttore del quotidiano di riferimento della grande borghesia lombarda: se, come si vocifera, c’è in lizza anche l’ex De Bortoli, sarebbe un segnale che una parte della gente che “comanda” ha mollato Renzi. E’ noto l’attacco di De Bortoli al fiorentino nell’ultima fase della sua direzione del Corriere della Sera, nel 2015. Al di là di chiacchiere o pettegolezzi, comunque, la vicenda ha una serie di ricadute molto importanti: innanzitutto, il fatto che un grande giornale torni, finalmente, in mano ad un editore, il che non significa che cessi di essere strumento privilegiato di battaglie economiche, finanziarie e politiche, è una novità positiva.
Poi c’è la sconfitta dei precedenti azionisti di riferimento, il cui patto di sindacato non è più in grado di determinare le sorti del gruppo, e che potrebbe rompersi, o dissolversi, tanto per interessi economici che per nuove alleanze politiche. Infine, ed è probabilmente la questione centrale, la sconfitta di Unicredit –Generali è una novità non da poco: potrebbe profilarsi un contrattacco con al centro la controllata Pioneer e le contrastate “nozze” con Banco Santander, o addirittura una fusione Unicredit-Mediobanca.
Sicuramente, la battaglia si sposterà nel neonato fondo Atlante, lo strumento finanziario messo in piedi, con partecipazione proprio di Unicredit e Intesa, per il salvataggio del disastrato sistema bancario nazionale, a partire da Monte dei Paschi con il suo carico di debiti, vergogne politiche, legami indicibili con il peggio del sistema Italia. Atlante ha una capitalizzazione del tutto insufficiente a tenere in piedi anche solo il gruppo senese, mentre le somme necessarie a dare fiato al sistema sono valutate da osservatori indipendenti come il grande economista francese Jacques Sapir in almeno il 4,5 per cento del PIL. Questa è la grande partita dei prossimi mesi, protagonisti Bruxelles, la Francoforte di Draghi, la Berlino politica, comprimari e comparse il governo italiano ed il mondo finanziario nostrano.
Lì si giocheranno il futuro dell’Unione, quello a medio termine della nostra nazione, forse persino la permanenza o meno dell’euro. Da noi, il successo di Cairo cambia il posizionamento di alcuni giocatori, e determina un certo rimescolamento di carte nell’assetto generale del potere, di cui il presidente del Toro diviene a pieno titolo esponente; il salotto buono è tanto impolverato da ricordare le vecchie cose di pessimo gusto care a Guido Gozzano.
I grandi giochi, tuttavia, si faranno altrove, ed il tema è la capacità di del sistema bancario, italiano, tedesco ed europeo, di non crollare come un castello di carte trascinandosi dietro l’economia reale ed i conti statali. Quel che dirà il Corriere, quello che tacerà, chi sosterrà e chi avverserà sarà comunque importante, e farà capire da che parte gira il vento del potere. E’ già avvenuto, dicono, un contatto tra Cairo e il fiduciario di Renzi per l’editoria, il giovane rampante sottosegretario Luca Lotti.
Per ora, dobbiamo limitarci ad osservare. Ma da oggi, l’Italia ha un nuovo protagonista, l’editore alessandrino di fede granata Urbano Cairo, ed alcuni sconfitti, dalle parti di Via Filodrammatici (Mediobanca), di Trieste, e, forse, qualcun altro non è più il centro di tutto, almeno in Italia (Fiat/FCA).