di Mario M. Merlino
Se l’uomo è preda del tempo e delle circostanze, secondo quanto scrive l’Ecclesiaste (la mia ‘magna’ -e di pancia sono ben fornito- cultura e il mio spirito libertario mi consentono di spaziare -e dare sfoggio- oltre i ‘confini del nero’!), può trovarsi imprigionato nella gabbia di quella definizione di ‘destra’ di cui stiamo discettando, partendo da un intervento non da me condiviso ma stimolante e proficuo su EreticaMente. E, va da sé, dietro ogni definizione vi è un bagaglio di tematiche atteggiamenti scelte progetti e valori che danno corpo e confine ad uno spazio delineato. O dovrebbero esserci in quanto oramai le parole volteggiano nell’aria inconsistenti come piume e non più pietre… che consentivano, appunto, a quella straordinaria figura di Giorgio Gaber, guitto intelligente ironico e , soprattutto, libero da mode condizionamenti veti incrociati incrostazioni tardive di comoda ideologia, di chiedersi cosa fosse di destra, cosa fosse di sinistra.
Citazione, che troverà giustificata presenza – almeno, io credo – in quanto sto scrivendo. In un articolo sul Popolo d’Italia, in data 26 aprile 1926, a proposito delle elezioni e della partecipazione ai Blocchi Nazionali, che i Rappresentanti legionari su indicazione di D’Annunzio avevano rigettato, Mussolini scrive: Riserve sui Blocchi vengono anche dagli elementi che chiameremo i ‘puri’. Sono le più disinteressate. Ma la vita, per chi non voglia trascorrerla nella solita remota torre d’avorio, impone certi contatti, certe transazioni e, diciamola la parola terribile, certi compromessi. Pagine di compromesso sono nella vita di tutti i grandi uomini, dagli antichi ai recenti e non sono pagine di vergogna, sono pagine di saggezza. Un conto è fare del compromesso un sistema di politica e un conto è accettarlo quando si presenta come una necessità. In tal caso non si tratta di seguire o ripudiare dei ‘principi immortali’, ma si tratta di valutazioni di ordine pratico. Un anno dopo avveniva la marcia su Roma, non il traslocare del cognato a Montecarlo, anche se ogni paragone è perso negli abissi delle Fosse delle Marianne.
E il Fascismo dovette adattarsi a troppi e troppo vincolanti compromessi per costruire le basi del proprio consenso, conquistare il potere e farne un Regime per oltre un ventennio (Monarchia Vaticano spirito borghese ed altro ancora). Nel momento estremo e drammatico della sua storia e della storia d’Italia, i contraenti di quei compromessi furono i più lesti a tradire, mentre la parola d’ordine di coloro che di quei compromessi avevano sofferto, divenne: ‘ritornare alle origini’. I 18 punti di Verona si saldano idealmente, arcate di un medesimo ponte, con La Carta del Carnaro e San Sepolcro. E si videro uscire dall’ombra, dalla periferia ove erano relegati, i vecchi squadristi della prima ora accanto ai giovanissimi dell’ultima. Su questo tema si dovrà ritornare, magari in altra occasione, e su altro ancora. Così come – e questo ci riguarda da vicino – su ciò che si può e si deve e si vuole portare nello zaino in questo noi essere in cammino…
In esso non può esserci -non dobbiamo, non vogliamo- uno spazio per ciò che è ‘di destra’ – mio padre, liberale d’animo e di idee più che di storie e progetti, mi ammoniva che, in una cassetta di frutta, una mela sana non rende sane tutte le altre marce, ma basta una sola mela marcia a rendere le mele sane tutte marce. Non siamo prigionieri nella torre d’avorio, tanto per rafforzare la legittimità della citazione mussoliniana; siamo stati, al contrario, giovani inquieti e irrequieti, con i bastoni e le mani levate, dietro sbarre e chiavistelli, abbiamo conosciuto il gusto del sangue – nostro e dei nostri avversari – e, quando l’anagrafe ci ha sottratto al calpestio delle piazze, abbiamo preso la tavoletta e lo stilo, chiusi nella tenda e senza attendere il giorno a venire, e ci siamo chiesti se abbiamo partecipato alla ‘bella battaglia’ (riprendendo una bella immagine da Giulio Cesare). Nonostante tutto, sì, abbiamo speso bene il nostro giorno, soprattutto non ci siamo lasciati irretire dalle lusinghe dalle sirene dagli inganni dai trucchi e trabocchetti di coloro che si rivestirono, cornacchie e non pavoni, delle penne ‘di destra.
Quanto fin qui scritto nasce, come la gran parte dei miei interventi e dei miei libri, di notte o, se si vuole, nelle prime ore del mattino… anche se avrei preferito quelle del tramonto per identificarmi, nella modestia mia congeniale, con l’uccello di Minerva di cui, in rari momenti ‘poetici’, parla l’ombroso arrogante presuntuoso grande e ben più di un ‘cane morto’ il filosofo Hegel. E, dunque, ancora ignaro della pregevole risposta di Cassandra del Greco (se è uno pseudonimo quale ironia di classica eco, ove l’inascoltata – e, qui, simile alle mia vanità – si afferma parte di quel mondo a cui dobbiamo tanto e tante intuizioni, a volte così discordanti fra loro, da rendere perfetto il cerchio della nostra esistenza!).
E già il titolo ariostesco mi piace… Sì, io scrivo, lo confesso, monologhi essendo da tempo prossimo ad Omero e simile a Beethoven. Poi non mi interessa molto la disputa ‘intorno ai massimi sistemi’, ma con il poeta Gottfried Benn mi dichiaro inossidabilmente tolemaico. Nego, però, la presunzione di possedere la risposta ultima e definitiva su ciò che sia ‘destra’, affidandomi solo a riferimenti di critica storica e di cronaca nera (va da sé, la mia). E dico questo perché concordo con Cassandra (in fondo Nietzsche non si sarebbe dovuto innamorare di Arianna, ma avrebbe potuto sentirsi in sintonia con la figlia di Priamo. A parte l’estetica che Cosima Wagner era decisamente bruttina con il naso lungo e il fisico da scanna grilli) quando pretende un rapporto equo tra la parola che indica l’oggetto e l’oggetto stesso.
Allora qualche riferimento. Destra è economia liberista che abbiamo sempre rigettato nella convinzione che la società non è un lago dove ognuno può pescare come e quanto vuole; destra furono e sono le democrazie che il Fascismo definiva ‘plutocratiche giudaiche massoniche’, equivalenti di quei poteri forti di quel mondialismo e globalizzazione che rifiutiamo in nome di principi identitari e comunitari; destra è ‘vinca il migliore’ a nascondere l’egoismo e griglie di partenza di censo che negano quella ‘quantità di sacrificio e di amore’ di cui parlava davanti ai suoi accusatori il capitano Corneliu Zelea Codreanu; destra è lavoro contro usura, per dirla con Pound, o la guerra de
l sangue contro l’oro, che poi è la medesima cosa.
l sangue contro l’oro, che poi è la medesima cosa.
Ai monologhi si aggiungono, sempre nel titolo, i ‘monolochi’ e, sembra, doversi intendere al Barone Julius Evola (suo il saggio Il Fascismo visto dalla destra), di cui si fregiava, simile ad uno Junker prussiano. Del mio unico incontro con lui, propiziato da Adriano Romualdi, ho scritto e detto così sovente da essermi venuto a noia. Riconosco che pensare a ritroso e scoprire un modo nuovo di leggere il mondo e il divenire del mondo ha un fascino sottile intrigante e di certo capace d’essere antidoto contro facili e inconsapevoli cedimenti.
Ed io non assassino i miei Maestri, anche quando posso allontanarmene e prendere le distanze. Però, per semplificare, io sono ormai salito sul BL18 in compagnia dello squadrismo, magari un po’ becero ma verace (nostalgia del randello e dell’olio di ricino), avrei scelto di girare tutto nudo (spettacolo, lo so, poco edificante per i canoni della bellezza virile) in compagnia di Guido Keller nella Fiume dannunziana; avrei messo a disposizione il gusto dello scrivere nelle mani di Berto Ricci e sulle pagine dell’Universale; mi sarei fatto piccolo piccolo (sì, proprio io) per ascoltare Niccolò Giani e scegliere con lui la prima linea della mistica e del fronte; avrei lasciato tutto per andare, dopo l’8 di settembre, ‘senza alcuna certezza di vittoria e poche speranze’… insomma, avrei aderito a quanto non soltanto era nobile nella sconfitta ma era soprattutto non-di-destra.
Infine: maghi, errore perché ve n’è uno solo che merita questo titolo ed è – come dubitare? – Merlino. Non quello delle saghe, meglio quello de La spada nella roccia che se ne va, a cavalcioni di un missile, con camicia a fiori in vacanza alle Hawaii (le Hawaii di Pearl Harbor e del campo per non cooperatori, si badi bene) o il Merlino che, consapevole dell’inganno, si lascia irretire e imprigionare in nome dell’amore comunque e nonostante tutt. Un’ultima noterella: abbandona, ti prego, l’ironico Lei, semmai dammi del Voi, meglio del Tu e dico ciò – non è nella mia natura essere permaloso e rancoroso – perché concordo anche qui forse siamo più in sintonia di quanto le parole lascino supporre…
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