11 Ottobre 2024
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Cattabiani e i simboli: la nuova edizione del ‘Bestiario’ – Giovanni Sessa

Segnaliamo, con queste brevi note, l’uscita per la casa editrice Iduna, di un libro che ebbi la fortuna di leggere, in prima edizione, nel 1984. Mi riferisco a Bestiario di Alfredo Cattabiani (per ordini: associazione.iduna@gmail.com, euro 18,00, pp. 195). Lo trovai un volume di grande rilievo culturale e spirituale, in quanto nelle sue pagine, il mondo animale veniva presentato quale simbolo di potestates agenti nella natura. La physis è letta da Cattabiani, come si evince da altre sue opere, animata da un principio che la rende manifestazione, espressione avrebbe detto Colli, dell’Origine. Per coglierne il senso riposto è necessario far riferimento alla conoscenza simbolico-t

radizionale: «che è una, indivisibile e non può esistere se non grazie all’intuizione di quell’altro termine che essa significa e occulta nello stesso tempo» (p. 29). L’intellettuale torinese, in un momento nel quale si celebrava in Italia la marcia trionfale della cultura neo-illuminista, lanciava ai suoi lettori un appello accorato: la ratio non è l’unica modalità di approccio al reale e la natura non è riducibile a rapporti meccanicistico-quantitativi. Quella di Cattabiani fu un’esistenza controcorrente. Lo sottolinea opportunamente, nell’informata prefazione al testo, Gennaro Malgieri, curatore della nuova edizione. Scelse, come argomento di tesi di laurea, nell’Università della sua città, De Maistre. Incontrò, in qualità di correlatore, l’azionista Bobbio che, stizzito, ancor prima che la tesi venisse discussa, la gettò a terra, sostenendo incompatibili le sue posizioni con quelle del teorico savoiardo, ritenuto un «difensore della schiavitù». Solo l’intervento del relatore, Luigi Firpo, pensatore davvero aperto e colloquiante, nonché del Presidente di commissione, Alessandro Passerin d’Entreves, sbloccarono la situazione. Nel 1962 il giovane studioso poté così fare il suo ingresso nel mondo editoriale, fondando con la collaborazione di un gruppo di intellettuali che gravitava attorno ad Augusto Del Noce, eminente filosofo cattolico, le Edizioni Dell’Albero. Dell’iniziativa furono partecipi Fausto Gianfranceschi, Giano Accame, Gianni Baget Bozzo, Giovanni Cantoni. Quest’ultimo, animatore del gruppo tradizionalista «Alleanza Cattolica» e della sua rivista Cristianità, ebbe il merito di introdurre per primo nel nostro paese l’opera del raffinato scrittore reazionario colombiano Nicolás Gómez Dávila.

Nel 1966 Cattabiani lasciò le Edizioni dell’Albero ed iniziò la breve collaborazione con Borla, durata un solo anno, ma molto significativa sotto il profilo del lascito culturale: creò la collana Documenti di cultura moderna, affidandola alla cura di Del Noce e Zolla, nella quale trovò spazio il libro del filosofo austro-tedesco Eric Voegelin, La nuova scienza politica, essenziale per la comprensione del neo-gnosticismo. Altre aperture editoriali significative vanno rintracciate nella pubblicazione di opere del tradizionalista Hans Sedlmayer, dello storico delle religioni Mircea Eliade e di Simone Weil. Nel 1969 si registrò l’approdo di Cattabiani alla Rusconi, la sua esperienza più rilevante e di maggior peso, se è vero, come ricorda Malgieri che: «La sinistra arrivò ad invocare un ‘cordone sanitario’ attorno alla Rusconi a difesa del progresso e della democrazia» (p. 18). Quello della Rusconi fu un catalogo in cui compariva il meglio della cultura tradizionale, e rivoluzionario-conservatrice: da de Maistre a Donoso Cortés, da Simone Weil a Del Noce, da Florenskij a Eliade, da Spirito a Ceronetti, Guénon e Cristina Campo, in una parola un catalogo, per usare un’espressione coniata proprio dalla scrittrice fiorentina, di «imperdonabili», pensatori capaci di mettere in scacco il senso comune affermatosi con la modernità.

Zolla convinse Cattabiani a pubblicare Tolkien e il suo monumentale Signore degli Anelli. Fu un successo straordinario che ri-orientò, in senso mitico, l’immaginario delle nuove generazioni, o di parte di esse. Diciamolo con chiarezza! Grazie a Cattabiani la “destra”, con l’esperienza editoriale della Rusconi, mise in atto l’unico tentativo serio di conquistare, nel dopoguerra, l’egemonia culturale. Il pensatore torinese comprese che piangersi addosso per l’egemonia esercitata da altri, certo, anche attraverso procedure ostracizzanti, non serviva a nulla, non cambiava i rapporti di forza. Al contrario, bisognava agire per modificare lo stato delle cose e i rapporti di forza nel mondo della comunicazione e della diffusione delle idee. Ciò produsse due risultati: ben presto Cattabiani fu costretto a lasciare la Rusconi, e ciò lo indusse a collaborare alle pagine culturali di diverse testate giornalistiche; al contempo, certi ambienti intellettuali tradizionalisti e conservatori, dopo la sua morte avvenuta nel 2003, lo hanno relegato nel dimenticatoio (il che rende ancor più apprezzabile l’iniziativa di Iduna!), chiusi ormai nelle sterili lamentazioni sul dominio di altre culture.

Ma torniamo all’importanza di Bestiario. In esso gli animali che incontriamo nella nostra esperienza quotidiana, che ci accompagnano nella nostra vita, sono incarnazioni di «energie cosmiche», ci invitano a recuperare un rapporto metessico con il reale. L’autore scopre in ogni animale, le attitudini più profonde che essi condividono con gli umani. Così, il confronto-incontro con loro diviene occasione per conoscere in profondità noi stessi. Una sorta di «teatro da camera», è quello approntato in queste pagine da Cattabiani, dove il lettore sarà tentato: «di trasformarsi negli attimi di un gioco di illuminazioni reciproche» (p. 22). Non viene mai trascurato dall’autore che ogni animale, ben lo insegna Hillman, indica una precisa esperienza psichica. E’ il contesto esistenziale nel quale avviene l’incontro con un determinato «spirito animale» a indicare la sua particolare significatività, tra le tante valenze simboliche cui allude. Il simbolo è, per definizione, polimorfico. Lo spunto biografico da cui partano, in queste pagine, le narrazioni dialogiche, è occasione che propizia l’esplorazione di tali valenze, sotto il profilo spirituale e religioso.

Ci è parsa dirimente, tra le altre, la lettura de L’ape di Montalcinio. In questo dialogo l’ape è presentata quale messaggera del Verbo. L’autore ricorda che Platone, da poco venuto al mondo, si svegliò con un favo di miele posto sulle sue labbra. In questo senso: «Il miele che ci offrono le api è l’emblema mistico della soavità del Verbo» (p. 151), tanto che nella ritualità copta si fa assaggiare il miele ai battezzati. Ecco, le pagine di Cattabiani, esercitano una funzione simile a quella mitica del miele, una funzione pontificale ed anagogica, ci sospingono in direzione dell’Origine attraverso il bello.

Giovanni Sessa

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