9 Ottobre 2024
Attualità

C’è stupro e stupro – Enrico Marino

Lo stupro di Viterbo ha occupato per giorni pagine di giornali e link degli esponenti progressisti tutti terribilmente indignati, ma non tanto per la violenza in sé quanto per il fatto che come responsabili sono stati indicati due esponenti di Casa Pound. Se la vittima, invece che bianca, fosse stata un’immigrata, meglio se nera, o se i due violentatori le avessero detto “Taci, tanto non ti crederanno sporca ebrea”, al Corriere e a Repubblica avrebbero festeggiato per settimane con caviale e champagne.

Poter fare di tutta l’erba un fascio e poter finalmente trovare un responsabile “fascista” per un crimine tanto spregevole, finora largamente praticato dagli immigrati irregolari, è parso ai democratici quasi un dono divino. E, infatti, non si sono lasciati sfuggire la ghiotta opportunità di inveire contro Casa Pound e chiederne la messa al bando, di vomitare tutto il loro livore contro il fascismo e i suoi valori, ovvero di scaricare la loro rabbia contro il ministro dell’Interno, considerato un fiancheggiatore del movimento sovranista.

Non si vuole con ciò sminuire la gravità di un crimine odioso né attenuare le responsabilità degli accusati, responsabilità anzi maggiori se il colpevole aderisce a un’area identitaria social nazionale che, come tale, rifiuta e aborrisce tali comportamenti radicalmente antitetici alla propria etica.

Ma non si può neppure sottacere la sporca manovra propagandistica messa in atto dall’establishment per demonizzare e perseguire un’intera comunità, per cercare di imporle, con questo pretesto, la gogna di tutte le crudeltà e le nefandezze immaginabili ed escluderla da ogni spazio sociale.

A questo punto, risulta totalmente inutile ragionare in termini di logica o di numeri, contrapporre l’eccezionalità del caso singolo all’abitualità dei crimini altrui, chiedere ragione delle differenti reazioni manifestate tra un caso e gli altri, ricordare l’efferatezza della criminalità straniera ovvero andare a rinfacciare identiche responsabilità nei comportamenti di rappresentanti politici della sinistra, in particolare del PD, come nel caso dello stupratore seriale Luca Bianchini, coordinatore del circolo PD del Torrino, vicino Roma.

Occorre prendere atto dell’ipocrisia di chi sfrutta l’episodio solo per stilare liste di proscrizione, per richiedere l’inasprimento di divieti e sanzioni, per rinnovare la criminale pratica dell’antifascismo militante ovvero per censurare, epurare e ridurre al silenzio chiunque non si accodi pedissequamente alle imposizioni del pensiero unico.

L’abbiamo visto di recente con quanto è accaduto al salone del libro di Torino, dove la presenza di una casa editrice non conforme ha suscitato una marea di reazioni esasperate e scomposte da parte dei democratici che hanno deciso di disertare l’appuntamento culturale. Anzi dal numero delle defezioni si rileva come anche quel comparto sia divenuto il ricettacolo del più rancido e bieco ideologismo progressista.

Un ideologismo infetto che ci propone una “democrazia militante” ovvero una democrazia che non sia un neutro esercizio dei poteri dietro mandato popolare, ma sia invece un esercizio costante, militante appunto, di sistematica esclusione dall’agone dello spazio culturale e fisico di tutte le istanze che metterebbero in pericolo l’egemonia di quei potentati che si sono autoeletti garanti e rappresentanti unici della democrazia stessa. Quali siano poi i metri di giudizio che stabiliscano chi e cosa sia pericoloso non è, ovviamente, dato saperlo, essendo i giudici schierati su un unico fronte e la definizione di “fascista” estremamente aleatoria.

Chi oggi si oppone alla mitologia progressista, alla retorica resistenziale e al globalismo è sempre fascista e anche fobico di qualcosa: omofobo, xenofobo, islamofobo ecc. Ma è difficile accusare chi propone tesi efficaci, corroborate magari da lunghi studi, di essere un semplice picchiatore brutale, ovvero un impaurito borghese, oppure un vecchio nostalgico. Agli spaventati prima o poi la paura passa, ai nostalgici prima o poi subentreranno le generazioni che accetteranno il fatto compiuto, ma se a queste categorie vengono date forme pensiero, narrazioni e strumenti intellettuali in grado di spezzare la catena artefatta di ineluttabilità che preannunciano il “sol dell’avvenire”, ecco che cominciano i problemi per gli ideologi del potere.

Questa è la vera ossessione del sistema di potere, cioè che una lunga storia di infiltrazioni gramsciane condotte in tutti i settori della società, dal pubblico al privato, che non si è fatta remore di usare sindacati, polisportive, parrocchie, logge, circoli ricreativi, pur di arrivare ad una colonizzazione totale di ogni settore della vita pubblica, e finanche privata, possa essere surclassata da un movimento nazionale, patriottico e identitario che demolisca logori schemi politici e ammuffiti assetti istituzionali.
Una rivoluzione che, sul piano culturale, faccia il paio con quella avvenuta, in pratica, nelle periferie e nelle borgate popolari, dalle quali la sinistra è stata estromessa dall’attiva presenza di un’alternativa sociale e identitaria.

Per scongiurare tutto questo ogni mezzo è lecito. Si passa dalle chiavi inglesi al politicamente corretto e alla psicopolizia. Ecco allora che la democrazia militante si mostra nell’uso fazioso dell’informazione per distorcere o nascondere la verità che, altrimenti, col suo carico di indiscutibilità, condannerebbe il mondo delle astrazioni e della falsità ad adeguarsi.

Come affermava Hannah Arendt “Ogni verità esige perentoriamente di essere riconosciuta e rifiuta la discussione, mentre la discussione costituisce l’essenza stessa della vita politica“.

La religione olocaustica, ad esempio, non prevede la discussione.

Ma gli stessi dogmi mondialisti e immigrazionisti non tollerano un contradditorio.

Lo si capisce quando Federico Fubini, editorialista del Corriere della Sera, ammette sfrontatamente di aver evitato di diffondere la notizia della morte di oltre settecento bambini greci a causa degli stenti generati dalle misure europee di austerità economica e Fubini, con una lucido cinismo, sostiene che tale notizia doveva essere passata sotto silenzio in quanto potenzialmente in grado di fornire argomenti ai sovranisti.

Perciò possiamo anche tranquillamente affermare che c’è stupro e stupro.

C’è quello odioso, personale e individuale, che va giustamente condannato, ma poi viene faziosamente elevato a paradigma di una Idea osteggiata e demonizzata. E poi c’è lo stupro collettivo, di una intera comunità, che si consuma più o meno brutalmente nel quotidiano e poi ritualmente una volta ogni anno, il 25 aprile, col suo rancido carico d’odio, di menzogne, di divisione e di infame bestialità. Uno stupro feroce e ipocrita, ma che è esaltato come una festa nazionale che si vorrebbe imporre a tutti. Uno stupro osceno della verità e della memoria, una violenza spregevole e insensata su cui si vorrebbe fondare la convivenza nazionale e che rappresenta, invece, una irriducibile demarcazione antropologica fra attitudini, comportamenti, ideali e principi non negoziabili.

Per questo non si possono accettare lezioni da questo ‘regime’, neppure quando dalle nostre fila possano provenire esecrabili comportamenti. Noi sappiamo condannare i gravi errori, ma saremo sempre in credito nei confronti di chi contempla nella propria legislazione fondante il diritto a distruggere ea considerare fuori legge chi non è conforme a questo sistema. E li vorrebbe proni e consenzienti. Ma c’è chi è differente.

Enrico Marino

 

Fonte immagine: Rainews

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