11 Ottobre 2024
Punte di Freccia

Cercare se stesso nell’ombra – Mario Michele Merlino

Ne Al di là del bene e del male Nietzsche osserva come il parlare sovente di se stessi equivale a nascondersi. Io parlo e scrivo, anche qui su Ereticamente, quasi del tutto di me stesso – un argomento, lo confesso, che mi affascina. A giustificazione, modesta e inadeguata, ricordo come sempre il padre di Zarathustra ammettesse di avere messo nelle sue opere un qualcosa che avesse eco di sé. Così, accettando veritiera l’affermazione, le parole finiscono per divenire un insieme di possibili menzogne, un castello di carta, gioco di maschere, quando, tramite la memoria, si sostituiscono allo specchio. Anche qui a dimostrazione come il linguaggio del corpo può ingannare ma mai tradirci. Del resto, anche recentemente, riportavo una citazione dello storico tedesco Joachim Fest che riconosceva come ogni autobiografia, volgendosi al passato, si trasformi in improbabile e immaginario museo dei ricordi.

Richiama, l’affermazione di Nietzsche, ad uno dei più celebri – e in apparenza, oscuri – frammenti di Eraclito, il filosofo aristocratico di Efeso, in cui si dice come la natura ami nascondersi. Nel molteplice e nel cangiamento ci disperdiamo mentre l’essenza si sottrae alla comprensione. La rosa che colgo per donarla alla donna amata è ‘una’ rosa e non ‘la’ rosa. Di più, mediando dal teologo e mistico del secolo XVII Angelus Silesius, ‘Die Ros’ist ohm’ warum’ (La rosa è senza perché), arriviamo alla riflessione di Martin Heidegger quando afferma ‘l’uomo è veramente nel fondamento più nascosto della sua essenza soltanto quando, a suo modo, è come la rosa – senza perchè’ (e, qui, mi sottraggo – e sottraggo il possibile lettore – ad ulteriori vezzi da professore di filosofia in pensione).

Aggiungo solo che, nel pensiero greco, l’oggetto e il nome che lo indica sono la medesima cosa (l’essere è tale in quanto il pensarlo coincidono). Almeno così sembra suggerirci Aristotele. La distinzione tra sostanza e forma è funzionale non conflittuale. Non Eraclito, però. Questa sintonia viene progressivamente meno nel corso del filosofare fino alla sua disintegrazione. E così Nietzsche rende le opinioni nobili idee quando trovano la forza d’imporsi e non perché in possesso del principio di verità; le immagini del presunto reale visioni del soggetto, simili a ombre o fantasmi, appunto, e le parole la cortina fumogena… di un Sé che forse altro non è che il Nulla. Così – rapido – torno al principio, là dove ho dato vita a questo balbettio sconsiderato. E ne riprendo l’impervio e incerto cammino.

Vi confesso che stavo, qualche pomeriggio scorso, saltellando qua e là sulle pagine di FB in una sorta di viaggio a ritroso fra i numerosi alunni ed alunne della mia storia d’insegnante. Ed ecco, sul diario di Roberta G. (in quale anno spiccò, faticosamente, il volo dal banco dall’aula dai muri del liceo?) trovo una citazione di Céline che non conoscevo e di cui non so, dunque, da dove sia tratta. Mi piace m’intriga si dipana in rimandi assonanze fino a rotolare contro l’aforisma nietzschiano. Ci castello sopra. La trascrivo: ‘Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini!’.

Già, ma in che consiste questo essere in ombra del nostro vissuto? Eraclito Nietzsche e la torre di Babele di cui ci racconta l’argentino Borges tasselli dell’unica biblioteca e infinita simili a sfaccettature di diamante che, secondo la posizione rispetto al sole, sembrano appartenere ognuna ad altro fulgore. I nostri occhi avvertono il contrasto – il giorno e la notte, la luce ed il buio – e ne traggono stupide interpretazioni morali – il bene ed il male, il giusto e il reprobo, la via verso la salvezza contro la perdizione –. Il gatto nero. Lucifero, il re delle tenebre. Di notte si ridesta il conte Dracula. Paura di dormire al buio, ombre sulla parete disegnano mostri…

Nel momento in cui si riconosce ostile verso ogni forma di bellezza Mishima Yukio si ritrova prossimo al sangue alla morte alla notte. E lo scrittore giapponese conosce il gioco dei chiaroscuri, quella linea di confine (arbitraria come quella che ci appare ad ogni orizzonte) così affascinante come un vecchio noir francese. E, quando si colora – pensate al classico Casablanca – diviene una sorta di clown da circo o tanto simile alla vecchia signora che si imbelletta cadendo nel ridicolo e nel patetico, di cui Luigi Pirandello ne ha tratto il senso dell’ironia sulla scena e nella vita – la quale, in fondo, è un palcoscenico a cielo aperto, a cui, se si dà serietà, non merita pagare il biglietto. Ci hanno buttato dentro (la Geworfenheit), come dadi in un bussolotto. Ed Eraclito – sempre in quei luoghi antichi torna doverosamente il pensiero riflettente – immagina il tempo un bimbetto che gioca, ‘il regno di un fanciullo’.

Rimane inevasa la domanda. Come delineare i contorni ove nell’ombra l’essenziale accade? ‘Tre fiammiferi accesi nella notte, uno ad uno – il primo per vedere tutto il tuo viso – il secondo per vedere i tuoi occhi – l’ultimo per vedere la tua bocca – e l’oscurità intera per ricordarmi di tutto ciò – mentre ti stringo tra le mie braccia’ (dalle poesie d’amore di Jacques Prévert).

Non è sufficiente se non si vuole scadere in tentazioni perverse da lettino o divano psicanalista. Il linguaggio del corpo, certo, ma da solo non riempie lo spazio delle ombre quale mistero del vissuto con i suoi segreti. Domina, in quello spazio, anche la mente con le sue tentazioni. E quel dimesso reiterato esperire nel quotidiano, insignificante all’apparenza, eppure capace di un gesto una parola un lampo che trasfigura e si trasmuta. Cercherò di chiarirmi con un esempio, un momento di quella ‘eresia’ che mi consente di definirmi, magari con un eccesso di vezzo, anarchico e fascista.

Mishima vi ha scritto Sole e Acciaio – l’istante estremo in cui lo spirito ed il corpo si congiungono tramite la lama affilata della spada –; a Torino quel ‘franco tiratore’ che catturato armi in pugno lesto si posiziona per il plotone d’esecuzione aggiustandosi la giacchetta e dando un tocco ai capelli – così racconta uno dei partigiani accorsi ad arrestarlo. E lo annota nel suo diario con dovuto rispetto, quasi ammirazione. Non ricordo l’origine del conversare, della discussione, a pranzo nel grottino che Claudio sta ristrutturando. Porto quest’ultimo esempio e lo metto a confronto – non mi si accusi di blasfemia (!) – con il Duce catturato, in quei medesimi giorni di fine aprile ’45, con addosso un pastrano tedesco. E non mi pento d’aver aggiunto come ‘sono qui’ per il gesto di quell’anonimo in camicia nera, vissuto in anni e mesi ‘in ombra’, per quel gesto di perfezione e di estetica, più ed oltre quanto e come Mussolini ha affrontato l’estremo confine della sua esistenza (certo egli rimane il Capo di una storia che mi è cara e che non rinnego).

La risposta rimane, lo so, tuttora inevasa. ‘Tutto quello che è interessante accade nell’ombra’. Ha bisogno, però, della luce per divenire storia oppure rimane in sé come perle in uno scrigno serrato. Quale la cifra? Nascondersi è la sua misura? Senza perché (come la rosa di Angelo Silesio; come l’uomo per Heidegger) ma tanto basta… Eppure con l’inchiostro e con il sangue ci raccontiamo, raccontiamo di come v’è altro. Ed altro ancora. Ignari se sia a fondo l’Essere o il Nulla ma, a ben vedere, conta poco, rimane patrimonio del proprio gusto personale. In ombra… ‘Curiosità! Curiosità!’

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