Ante mare et terras et, quod tegit omnia, caelum,
unus erat toto naturae vultus in orbe,
quem dixere Chaos, rudis indigestaque moles
nec quicquam nisi pondus iners congestaque eodem
non bene junctarum discordia semina rerum. (21)
Massa informe e confusa, peso inerte, mucchio di semi scombinati: è il “chaos antiquum” in cui ritornerebbe l’universo qualora si confondessero mare, terra e cielo (22). È la materia informe, oscura e confusa (“aphanès kaì kechyméne amorfía”), che un Eros generato dal Principio (“he protospóros arché”), dopo averne estratto il tutto (“tò pân”) come da un sepolcro, costringe a rifugiarsi nei recessi del Tartaro (23). Mentre questo valore “principiale” di cháos è recuperato dai Pitagorici, i quali ne fanno un simbolo dell’unità (24), lo stoicismo antico fa derivare cháos da chéo, “versare, fare scorrere”, e gli attribuisce il significato di “acqua”: “Nam Zenon Citieus sic interpretatur, aquam cháos appellatum apò toû chéesthai” (25).
Stesso significato nel breve scritto plutarcheo Aquane an ignis sit utilior (26).opea che in greco ha prodotto anche i verbi chásko e cháino, “aprirsi, spalancarsi”; in latino ha prodotto hio e hi(a)sco, “aprirsi”; in sanscrito (vi)haya- “campo aperto”; in norreno gina; in alto tedesco gien, ginen; in lituano zhiòju, “apro”; in serbocroato zjam, “apro la bocca”; rimane nel verbo romeno a căsca, “aprire la bocca”. Alla medesima radice è riconducibile in sanscrito il sostantivo neutro kha, che riveste i seguenti significati: “cavità, buco, caverna, organo di senso, cielo, Brahma” (28); e ancora: “spazio, spazialità interna; il ‘cielo’ della pura coscienzialità, non condizionata dalle contingenze” (29). Nel Rg Veda, ad esempio, il termine kha designa “il buco del mozzo attraverso cui passa l’asse di una ruota” (30); secondo Ananda Coomaraswamy “il kha vedico (…) in origine era il chasma (‘apertura’, n.d.r.) rappresentato dalla Porta del Sole e dalla Porta del Mondo” (31). Nelle Upanishad viene chiamato kha lo spazio etereo primordiale che si identifica col brahman: “kham brahma, kham purânam, vâyuram kham” (32). Ma il brahman non è soltanto il vuoto, esso è anche il pieno (pûrna): “pûrnam adah, pûrnam idam, pûrnât pûrnam udacyate…” (33). Infatti l’opposizione tra il vuoto e il pieno “è meramente apparente, in quanto nel ‘vuoto’ di determinazioni e qualificazioni v’è infinita ‘pienezza’ di possibilità. Shûnya (altra parola per indicare il vuoto, n.d.r.) non è dunque un ‘nulla’ né esprime un carattere negativo o di annichilimento” (34). È detto shûnya anche il segno matematico indiano dello zero, che, identificato con l’akâsha (“spazio”, “etere”), “venne in origine concepito come simbolo del brahman e del nirvânam” (35). Lo zero viene dunque designato sia con le parole corrispondenti a “vuoto” (kha, shûnya) sia con quella corrispondente a “pieno” (pûrna); e questo perché “tutti i numeri sono virtualmente o potenzialmente presenti in ciò che è senza numero” (36), secondo quanto osserva Coomaraswamy. Il quale prosegue argomentando così: “Se si esprime questa idea con l’uguaglianza 0 = x – x, risulta evidente che lo zero è per il numero quello che la possibilità è per l’attualizzazione. L’impiego del termine ananta (“senza fine”, n.d.r.) col medesimo riferimento implica l’identificazione dello zero con l’infinito, sicché l’inizio di ogni serie si identifica con la sua fine” (37).
Altrettanto evidente è il valore principiale connesso al simbolo del punto – immagine dell’arché in cui “era il Logos” – se consideriamo che secondo un celebre detto dell’Imam Alì il Verbo divino è contenuto nel puntino diacritico della bâ’, la lettera araba con la quale comincia il primo versetto (la basmalah) della prima sura coranica (la Fâtihah): “Sappi – dice l’Imam – che tutti i segreti dei Libri celesti sono nel Corano; e tutto ciò che è nel Corano è nella Fâtihah; e tutto ciò che è nella Fatiha è nella basmalah; e tutto ciò che è nella basmalah è nella bâ’; e tutto ciò che è nella bâ’ è nel punto; e io sono il punto sotto la bâ'” (40).
Note:
1. Cfr. C. Mutti, La dottrina dell’unità divina nella tradizione ellenica (http://www.claudiomutti.com/index.php?url=6&imag=1&id_news=204).
3. Theophr., Fragm. 12 A 9 D.-K.
4. F. Solmsen, Chaos and Apeiron, in “Studi Italiani di Filologia Classica”, XXIV, 1950, pp. 235-248.
5. Hes., Theog. 116.
6. Plat., Symp. 178b.
7. Aristoph., Aves 693.
8. Aristot., Metaph. XIV, 4, 1091b6.
9. F. Montanari, Vocabolario della lingua greca, Torino 2004, s. v.
10. Bacchil., Epin. 5.27.
11. Aristoph., Nubes 424.
12. Aristoph., Aves 1218.
13. F. Montanari, ibide
m.
14. Plat., Axioch. 371.
15. Anth. Pal. 16, 91.
16. Apoll. Rh., Argon. IV, 1697.
17. Apollonios de Rhodes, Argonauthiques, tome III, Paris 1981, p. 142.
18. Verg., Aen. IV, 510.
19. Ov., Metam. XIV, 404.
20. Ov., Metam. X, 30.
21. Ov., Metam. I, 5-9.
22. Ov., Metam. II, 299.
23. Luc., Erotes, 32.
24. Ps. Iambl., Theolog. arithm., 6.
25. Zen. Cit., Stoic. Vet. Fragm., I, p. 29.
26. Plut., Aquane an ignis sit utilior, 955.
27. Ov., Fasti, I, 103.
28. Dizionario sanscrito-italiano, Milano 1993.
29. Asram Vidya, Glossario sanscrito, Roma 1988.
30. M. Williams, cit. in: A. K.Coomaraswamy, Kha and other words denoting “Zero” in Connection with the Indian metaphysics of space, “Oriens”, vol.VII, 7-9, Summer 2010, p. 1.
31. A. K. Coomaraswamy, Il grande brivido. Saggi di simbolica e arte, Milano 1987, p. 488.
32. Brihad. Up., V, 1.
33. Brihad. Up., ibidem; cfr. Ath. Veda, X, 8, 29.
34. Asram Vidya, Glossario sanscrito, cit.
35. B. Heimann, Facets of Indian Thought, London 1964, p. 24.
36. A. K.Coomaraswamy, Kha and other words denoting “Zero”, cit., p. 1.
37. A. K.Coomaraswamy, Kha and other words denoting “Zero”, ibidem.
38. R. Guénon, La metafisica del numero. Principi del calcolo infinitesimale, Carmagnola 1990, pp. 86-87.
39. R. Guénon, Gli stati molteplici dell’essere, Torino 1965, p. 41.
40. Al-Qandûzî al-Hanafî, Kitâbu yanâbî’i ‘l-mawadda, p. 79