Il 19 Maggio del 1898, esattamente 122 anni fa, nacque una personalità singolare, spesso scomoda della cultura e dell’esoterismo italiani, Giulio Cesare Andrea Evola, in arte Julius. Barone, per alcuni finto Barone, artista dadaista, filosofo nell’accezione arcaica e non certamente moderna del termine, sicuramente un ermetista, un mago, per alcuni un cattivo maestro della destra politica, per altri addirittura un antifascista che rigettò le concezioni zoologiche della razza di Alfred Roserberg o le deviazioni da gangster di un certo squadrismo, grande amatore, per alcuni con tendenze omosessuali, alpinista fino a quando la sorte gli privò dell’uso degli arti inferiori, combattente di retroguardia per alcuni, in prima linea e oltre le linee nemiche per altri: certamente un uomo non semplice da classificare, tirato spesso per la giacchetta da una parte e dell’altra. Tanti testi, tanti articoli pubblicati, diverse interviste in più lingue e pure ci scontra tra i presunti continuatori: tra cattolici che affermano che fosse “un credente a sua insaputa” (fu cremato, con un funerale non cristiano per sua espressa richiesta testamentaria), tra pagani che rivendicano l’imprimatur a rifondare l’antico culto degli Avi (in più articoli anche prima del trapasso espresse chiaramente quanto, dal suo punto di vista, fosse insensata una tale idea) e massoni che (nonostante la notoria avversione del nostro alla libera muratoria) addirittura intitolano una loggia a suo nome, la lotta è davvero aspra e spesso quasi divertente. Poi vi è chi si spaccia esser stato suo segretario personale a 500 km di distanza oppure benevolmente chi, in occasione della deposizione delle sue ceneri, scambia un campo base in montagna con un crepaccio (oppure spera che ci possano credere gli altri) oppure vi sono tutti i discepoli di un Maestro che non è mai esistito (Evola ha sempre rigettato tale definizione e non ha mai avuto una linea tradizionale da trasmettere ad una catena di continuità) per esser stati 2/3 volte nella sua abitazione a fargli visita o semplicemente per esser transitati qualche volta dinanzi al marciapiede sottostante la sua casa romana; e le fantasmagorie potrebbero continuare per pagine e pagine, fino a giungere a coloro che dal Maestro ricevettero l’iniziazione all’Alta Magia … che, per ammissione dello stesso Evola, neanche egli stesso possedeva.
Ma cari lettori di EreticaMente tutto ciò è disquisire su Evola? E’ in realtà perder tempo con l’evolismo o col post-evolismo, perché, come è di moda nella Repubblica degli ipocondriaci e dei delatori, vi sono sempre i pentiti di turno, coloro che osannavanoo il filosofo da vivo, per poi dichiararlo superato un istante dopo la sua morte … ovviamente superato da cosa, da chi, non è dato sapere, come non è dato sapere se vi sia un termometro di tradizionalità o un ufficio del Comune che possa certificare l’ortodossia o meno di Tizio, di Caio e di Evola. Ma questo è, lo ripetiamo, evolismo (a favore e di parte contraria), e non credo appassioni ormai tanti onesti studiosi.
Di Evola si dovrebbe – esprimiamo i nostri convincimenti e quelli della Redazione di EreticaMente, senza la pretesa che siano verità rivelate – analizzare il pensiero, analizzarlo, perché per conoscerlo non reputiamo servano ancora saggi su saggi, è sufficiente leggere lo stesso Evola. Analizzarlo per comprendere quanto esso abbia influito sulla cultura italiana e quanto esso sia in potenza ancora estendibile di successive ricerche, proprio come da egli stesso auspicato. Notiamo che, da questo punto di vista, al di là dell’esemplare opera di Gianfranco De Turris, esempio di galantuomo e di dedizione all’Idea, al di là di qualche esplicitazione nell’arte e nella filosofia sapienziale, si è ancora al “ il Maestro ha detto..”. Evola non ha espresso un pensiero suo ed originale, ha vivificato nel ‘900 le Idee che liberamente scelse di difendere, quelle della Tradizione Indoeuropea, quelle della Sapienza, quelle dello Spirito che aspirano alla sublimazione dell’Uomo dalla sua condizione caduca. Esageriamo se paragoniamo Evola, nato e vissuto nella fase ultima dell’Età Oscura, con Platone che visse e tradusse la crisi della Grecia del V secolo a. C.? Forse … ma al contempo potrebbe rendere l’idea di chi riallacciò il filo della Sapienza (come scrisse il buon Lebano…) in un’epoca di profonda decadenza. E allora, un filosofo morto invalido, paranazista cosa pretendete che possa ancora contare?
Allora la nostra è una rievocazione triste e pessimista di Evola? Assolutamente NO, perché rimane della sua esperienza storica ed umana l’essenziale, ciò che realmente conta, l’impeto antico verso il Sacro (spesso occultato nelle sue opere più esoteriche, quelle che sono più innominabili rispetto persino ai testi dedicati alla dottrina della razza), il resto sono appunto foglie secche, che possiamo affidare agli spazzini. In un articolo intitolato “Il Sacro” pubblicato sul Corriere Padano (ora ristampato per le Edizioni di Ar) e dedicato al commento dell’opera “La Religione antica nelle sue linee fondamentali” di C. Kerényi evidenziò come “Per il Romano, l’uomo stesso potè essere simbolo e mito, tanto da poter avere la stessa parte e funzione delle immagini mitiche di altre religioni”.
Cosa ci resta di Evola? Ci resta questo, l’Idea … e vi sembra poco?
Luca Valentini