Con la copertura di oltre undicimila aerei fra caccia e bombardieri, una flotta mai vista prima nella storia dà vita all’operazione Overland. E’ l’assalto alla Fortezza Europa o, meglio conosciuta, come Vallo Atlantico. Il secondo fronte, tanto auspicato da Stalin, il secondo braccio della tenaglia si va stringendo, sicuro ormai di stritolare il Terzo Reich, annientare con la Germania, devastata dalle bombe, rasa al suolo ogni traccia di centro abitato, il sogno di realizzare un Nuovo Ordine Europeo. Ben più di mille anni prima il cinese Lao-tse, padre del Taoismo, ebbe a dire come ‘vede chiaro chi guarda da lontano e nebuloso chi vi partecipa (in qualche misura Nietzsche riprenderà il monito, quando suggerisce ‘prendere le distanze’). S’è scritto molto ma, forse, manca ancora quella visione della distanza che ci permetterà di comprendere fino in fondo la tragicità degli eventi e il perdurare delle loro conseguenze (il rinnovarsi del numero 6, ad esempio, nella data dell’invasione, per chi traduce in significati altri il senso cronologico, la scansione del tempo). E una parola in più, non dico di verità (concetto di cui diffido), si avrà quando si saprà scindere la ragione dalla morale, distinguere la potenza dell’oro e dell’acciaio dal valore del sangue o, per dirla con il Clausewitz ‘le forze materiali costituiscono il fodero di legno; le forze morali sono il metallo nobile, la spada ben forgiata e rilucente’.
Con lo sbarco degli alleati in Normandia, 6 giugno 1944, ha inizio la caccia. Facile rancorosa spietata. Contro i presunti traditori, verso tutti coloro che si sono prestati all’ambiguo gioco della collaborazione, in buona fede o illusi di montare il cavallo vincente, alle giovani donne, ora puttane (come è facile puntare il dito quando il branco accerchia la debole preda!) che si sono concesse al tedesco invasore. Esecuzioni sommarie il palo dei condannati a morte sparizioni lo stupro e il dileggio delle ‘rapate’ offerte al ludibrio della folla. Ad esempio Il 22 giugno i maquisards suonano alla porta di Philippe Henriot, responsabile dell’informazione e della propaganda del governo di Vichy, presieduto dall’anziano maresciallo Pétain. E’ egli stesso ad aprire, lo abbattono a colpi di revolver. Dieci giorni dopo, per reazione, la milizia consegna ai tedeschi Georges Mandel, già ministro degli interni durante il Fronte Popolare, che viene fucilato.
Liste di proscrizione vengono compilate. Vi si trova di tutto: i politici della destra estrema gli uomini delle formazioni paramilitari gli scrittori e i giornalisti (Drieu la Rochelle e Robert Brasillach, fra i più noti) artisti (si pensi allo chansonnier Maurice Chevalier all’attrice Mistinguett al cantante corso Tom Rossi all’autore di teatro Sacha Guitry). E’ la guerra sporca, strisciante, il cui epilogo si trasforma in resa dei conti. Ovviamente dei vincitori sui vinti, alibi per molti a mascherare compromessi e ammiccamenti immediatamente dopo la sconfitta del giugno 1940. Non si stava poi tanto male, nonostante i tedeschi occupassero vaste aree del paese e Parigi. I caffè erano aperti fino a tardi, si ballava nei locali notturni, cinema e teatri pieni, Jean-Paul Sartre rappresentava i suoi drammi, ad esempio. Certo, quando il vento turbinoso della storia si volse loro contro, quando le armate dalla croce uncinata si impantanarono a Stalingrado e nel deserto di El Alamein, molti francesi riscoprirono la secolare inimicizia verso la Germania, il fiume Reno quale ferita aperta fra i due popoli. Di nuovo trovarono fiato idee di comunismo democrazia libertà. Il generale Charles de Gaulle, riparato in Inghilterra, divenne il simbolo della ‘France libre’.
Il 10 dello stesso mese di giugno si ha la rappresaglia, conseguenza dell’uccisione del Sturmbannfuehrer Helmut Kaempfe ad opera del solito gruppetto di partigiani. Il borgo di Oradour-sur-Glane (oggi trasformato in museo all’aperto contro i crimini di guerra, con la chiesa e le case annerite dal fuoco) viene incendiato dagli uomini della 2° divisione corazzata SS Das Reich, oltre seicento le vittime civili (vale la pena ricordare come Robert Brasillach fu fra i pochi a recarsi all’ambasciata germanica di Parigi a protestare, risoluto e veemente). La strategia del ‘mordi e fuggi’ ha i suoi effetti. La storia della guerra (in)civile in Italia non è da meno. Basti ricordare l’attentato di via Rasella, il bando germanico perché gli autori si presentassero, il conseguente eccidio alle Fosse Ardeatine, lo strascico di menzogne, ormai icone da dogma, fino alla vicenda del capitano Erich Priebke…
Pur non avendo particolare simpatia l’uno per l’altro (alcune annotazioni di Drieu nel Diario 1939-1945, Il Mulino 1995, su Brasillach ne sono conferma), scrittori difformi per stile e contenuto, entrambi si trovano alla vigilia del crollo finale in posizione critica verso quell’idea dell’amicizia franco-tedesca e disincantati verso la rivoluzione nazionale, progetto lanciato dal maresciallo Pétain e presto abortito. A differenza di altri intellettuali, che sceglieranno di seguire i tedeschi in ritirata, entrambi decideranno però di restare in Francia (nonostante la possibilità per Drieu di rifugiarsi nella neutrale Svizzera). Paradossalmente sono i primi a pagare le conseguenze: Robert Brasillach verrà fucilato il 6 febbraio del 1945; Pierre Drieu la Rochelle si suicida il 15 marzo, dopo aver appreso d’essere ricercato da mandato di cattura. In rue Saint-Ferdinand, in un appartamento messogli a disposizione dalla prima moglie, Colette Jéramec, con il gardenal e aprendo il rubinetto del gas. Sul tavolo, la traduzione delle Upanishad quale ponte a saldare la distanza tra il mondo, a cui ormai è estraneo ed ostile, e quella ricerca dell’Essere, nell’impegno in lui prioritario di ‘diventare sempre più mistico’.
Di Robert Brasillach s’è scritto. Si attarda a Parigi, scrive ancora degli articoli, va a teatro e, in bicicletta, si reca a Sens dove alloggiano la madre la sorella i nipotini. Solo il 26 agosto (il 24 gli alleati, con in testa una unità francese, comandata dal generale Leclerc, sono entrati in città) comprende che necessita di un rifugio. L’amica Marguerite Cravoisier gli ha riservato una stanza nel proprio appartamento di rue de Tournon 16, le chiavi sono da sempre dalla portinaia. Il 9 di settembre viene a sapere dell’arresto di tutta la sua famiglia, atto vile per stanarlo. Il 14, alle quattro del pomeriggio, prende la decisione di consegnarsi. Su di lui pende un mandato di cattura. E’giovedì. Esce, portandosi una valigetta con pochi effetti personali, qualche ricordo caro, si dirige verso la Senna dove c’è un commissariato. La via è tranquilla, rari i passanti, fa caldo, le acque del fiume scorrono pigre e indifferenti. Forse si intrattiene a guardare le vecchie pietre le antiche mura di quella città, che gli è entrata subito nel cuore fin da quando, da adolescente orfano di un ufficiale, caduto in combattimento in Marocco, vi è venuto a studiare al prestigioso collegio Luigi XIV. Sono gli ultimi istanti di libertà, le ultime visioni prima di racchiudere la sua giovane esistenza fra sbarre e chiavistelli. Prima che, condotto al forte di Montrouge, vedrà dodici bocche da fuoco avide del suo sangue.
‘Da ragazzo ho giurato a me stesso di restar fedele alla mia giovinezza: un giorno ho cercato di mantenere la parola’, così si apre Racconto segreto, fra le più lucide confessioni di uno scrittore che parla del suicidio, della propria incessante ricerca desiderata e ripetutamente tentata della morte. Forse con qualche accento di narcisismo verso quell’atto di cui prese coscienza già all’età di sei-sette anni spingendo al petto la punta di un sottile coltello da dessert. La goccia di sangue provocata si trasforma in una sorta di preludio ad una vita vissuta in attesa di darsi la morte (il filosofo Albert Camus, contemporaneo a Drieu, non avrà dubbi nel riconoscere come l’unica libertà possibile concessaci ormai è il suicidio. Anche se sarà vittima di un banale incidente d’automobile), simile al ticchettio sul davanzale della finestra ad annunciare l’arrivo della pioggia, il grigio di una lunga giornata uggiosa…
Solitudine e curiosità i suoi pilastri. Che, a ben riflettere, sono alla base d’ogni pensiero resosi alto ed altro – ed uso i termini evidenziati da Drieu -, dove solitudine non è l’alienazione, che ci prende quando siamo schiacciati in metropolitana da una folla anonima, e curiosità da non confondersi con visioni da adolescente su youporno o, come nel film Malizia, il guardare dal buco della serratura. La solitudine in Drieu pur in una esistenza ricca di donne di amicizie di coinvolgimenti di fama letteraria di avversioni politiche; la curiosità verso l’andare oltre, varcare la soglia, collocarsi ove non vi è altro che se stessi, superare il conflitto tra le esigenze del corpo e le domande dello spirito inquieto.
(Cosa farò da grande e di grande? E se la domanda s’impone nonostante i capelli e la barba bianca, essa è simile a quella dello scrittore francese ‘oggi, a che punto sono?’ con cui conclude il suo breve scritto edito solo nel 1961 da Gallimard e di cui conosciamo la risposta data il 15 marzo del ’45. Quando muore ha 52 anni, ‘mi ero messo in testa che dovevo morire non oltre i cinquant’anni’. Venticinque anni dopo, in altra estrema parte del mondo lo scrittore giapponese Mishima Yukio condividerà la medesima idea, lo stesso epilogo).
Con Drieu ci si inoltra nella complessità della esistenza umana e nell’inquietudine del ‘900 fra le due guerre mondiali. Si ri-legga Socialismo fascista le molte pagine, forse le migliori, di Gilles, il suo romanzo più compiuto, sulla notte del 6 febbraio del ’34 e sulla guerra civile spagnola, la sua adesione al partito di Jacques Doriot… Aveva intitolato il secondo capitolo de Il giovane europeo ‘il sangue e l’inchiostro’, la richiesta tutta nietzscheana di trovare il punto d’incontro tra un più-vita (‘scrivi con il tuo sangue, scoprirai che il sangue è Spirito’) e l’impegno di tradurre in parole uomini donne vicende emozioni pensieri arditi. Solo quando i due elementi si fonderanno in un crogiolo purificatore, si potrà volgere lo sguardo al di là del contingente dell’effimero dell’anagrafe, solo allora il suicidio sarà una sorta d’atto liberatorio, metafisico e, al contempo ‘umano, troppo umano’ (anche in questo Mishima gli sarà tanto simile, quando scrive Sole e Acciaio). ‘Esigo la morte’, in Perorazione, ai possibili carnefici della guerra civile, ma in fondo l’ordine parte da se medesimo e per se stesso…
Brasillach muore rimpiangendo la vita; Drieu attraverso la morte alla ricerca del divino. Entrambi, in fondo, bisognosi, illusi, della felicità possibile. A settant’anni dalla loro morte, noi esseri in cammino…
Mario Michele Merlino