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1 Maggio 2025
Società

Chiamare le cose con il loro nome – Roberto Pecchioli

Siamo alla frutta, o forse al momento del conto, se dobbiamo registrare con soddisfazione che il massimo tribunale britannico abbia stabilito che un uomo è un uomo e una donna è una donna e così devono essere chiamati. La follia del mondo capovolto è tanto avanzata che credere ai propri occhi diventa un atto di coraggio, o, come scrisse George Orwell, che in tempo di inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario. Non possiamo dire altrettanto della corte costituzionale italiana – un sinedrio di ottimati fedeli al sistema – che ha recentemente aperto la strada alle adozioni gay e ad altri spropositi affermando che le parole padre e madre nei documenti sono discriminatorie e vanno sostituite dal neutro “genitore”. Il commento più impressionante del mondo invertito è venuto da Laura Boldrini che, a proposito della dicitura padre e madre, ha parlato di bullismo politico. Giove toglie il senno a chi vuol rovinare.

La guerra delle parole – su cui abbiamo scritto un libro – è uno dei principali campi di battaglia della rivoluzione cognitiva voluta dai padroni del disgraziato occidente. Il pronunciamento inglese, in questo senso, è assai importante nel mondo in cui i pazzi guidano i ciechi. Confucio disse che il suo primo atto di governo sarebbe stato rettificare le denominazioni, poiché solo nella chiarezza si persegue il bene comune. Viceversa, la confusione verbale è il primo segnale della decadenza civile. Distorcere il dizionario significa distorcere la nostra vita. Il giudice britannico ha semplicemente creduto alla natura e ai suoi occhi, ristabilendo una verità elementare, chiarissima agli uomini di ogni tempo e civiltà tranne la nostra. È semplice e primordiale definire le cose con il loro nome:  donna a una donna, rosa a una rosa.

La sentenza della Corte Suprema del Regno Unito si basa su una qualificazione semantica che mira a ripristinare il rigore delle parole, giacché senza rigore non c’è giustizia. E nemmeno un’etica coerente. Dare un nome sbagliato a un oggetto, sosteneva Albert Camus, aumenta l’infelicità del mondo. Poche cose dovrebbero preoccuparci più dell’arbitraria imposizione di significato alle parole. “La decisione unanime di questa corte è che i termini donna e sesso nell’Equality Act del 2010 (la legge britannica sull’uguaglianza N.d.R.)  si riferiscono a una donna biologica e al suo sesso biologico”, ha affermato Patrick Hodge, vicepresidente del tribunale, annunciando la sentenza.

Alla fine, non è che un fondamentale monito dello stesso Sigmund Freud: l’anatomia è un destino. Esattamente ciò a cui vuole sfuggire la folle ideologia postmoderna (e post umana). Dall’amor fati, amore, accettazione del destino, all’odium fati, il suo contrario. La legge – e con essa la logica e il senso comune – deve attenersi al criterio imposto dal destino: definire e classificare ciò che è e sarà per sempre. Il lessico, fotografia della realtà, classifica le configurazioni genitali, ossia i destini. Il testo giuridico inglese li chiama “sesso biologico”. In termini clinici, il nome proprio è anatomia. Il giudice Hodge ha precisato ciò che avrebbe dovuto essere superfluo. Ma è giusto che lo abbia fatto, data l’estrema confusione che un dibattito contaminato dall’ideologia sta imponendo all’opinione pubblica.

La precisazione lessicale della corte britannica non lede i diritti di alcuno. “Sconsigliamo di interpretare questa sentenza come un trionfo di uno o più gruppi della nostra società a scapito di un altro: non è così. La sentenza non crea alcuno svantaggio per le persone trans, protette dalle leggi antidiscriminazione e dalle norme che tutelano l’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini. “Verità e realtà contro autopercezione, capriccio, volontà soggettiva. Chiamare ogni cosa con il suo nome ci protegge dal trivializzarla. E di mettere la tragedia al posto della commedia, col pretesto che entrambe, come insegna Aristotele, sono scritte con le stesse lettere.. Chiamare “riassegnazione autodeterminativa” l’amputazione di organi o la pretesa di essere per legge ciò che non si è per natura significa giocare con l’inferno. Occorre proteggere da se stesse – e da interessati stregoni – personalità fragili e innanzitutto ripristinare il primato della natura sul desiderio di negarla, oltrepassarla o relativizzarla. L’uomo e uomo, la donna è donna. Una mela è una mela e chi non ci crede esca dall’aula, diceva agli studenti della Sorbona Tommaso d’Aquino. Il monito di Camus non è mai stato tanto convincente: dare un cattivo nome a qualcosa aumenta l’infelicità.

 

 

2 Comments

  • Claudio Antonelli 22 Aprile 2025

    In certi paesi l’essere umano ha ormai il diritto di dichiararsi uomo o donna a prescindere dal sesso biologico in cui è nato. E se noi facciamo un uso sbagliato del vocabolario rivolgendoci o riferendoci a una tale creatura rischiamo di incorrere nel reato di transfobia. In Canada un tribunale ha stabilito che è contro la legge il “riferirsi a qualcuno (soprattutto se questi è transgender ossia transessuale) usando parole, pronomi o appellativi che non riflettono il genere nel quale la persona si identifica. L’azione può essere volontaria o accidentale”. Nella Columbia Britannica i proprietari di un ristorante (italiano) sono stati condannati a pagare 30.000 dollari di risarcimento perché i colleghi di una cameriera transgender usavano talvolta i termini sbagliati (parole, pronomi, appellativi), parlandole/gli. Rivolgersi a chi si sente maschio, ma è nato femmina, usando il pronome femminile è “offensivo, degradante, e riduttivo” ha stabilito il tribunale.
    Vi è ormai una crescente opposizione anche alla regola grammaticale che vuole che il maschile prevalga sul femminile. Ma non è tutto. Il termine “donna” è mal visto dai guardiani della “political correctness” che giudicano un tale termine restrittivo poiché trascura la varietà e la fluidità dei “generi”. La British Medical Association suggerisce di dire “persone incinte” invece di “donne incinte”. In uno scritto scientifico si è parlato del diritto delle “persone” (“people”) all’aborto. La rivista Lancet ha voluto significare che si può essere donna anche senza avere la vagina, ed è pertanto ricorso all’espressione “Bodies with vagina” al posto di “Women”, termine giudicato sessista. Ci si può, infatti, sentire donna senza essere donna… Io non credo di aver ben capito una tale logica. Ma evidentemente sono un maschilista, condizione che io temo costituirà ben presto un reato, qui in Canada, paese già post-nazionale grazie al suo multiculturalismo e dove trionfa un catechismo progressista che ci fa progredire verso il Nulla.

  • Marco 24 Aprile 2025

    Scusate sto cercando nel sito il libro a cui avete fatto vago riferimento: cit “La guerra delle parole – su cui abbiamo scritto un libro – è uno dei principali campi di battaglia della rivoluzione cognitiva voluta dai padroni del disgraziato occidente.”… Potreste darmi titolo e autori? Grazie mille

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