Le popolazioni che – prima dell’irruzione dei Goti – si avvicendarono nell’area del Ponto appartenevano al ceppo iranico: i Cimmeri prima, gli Sciti poi, quindi i Sarmati. Erano irani delle steppe più selvaggi e nomadi. I più antichi ad apparire in furono i Cimmeri, che colpirono la fantasia dei Greci. Per Omero i Cimmeri vivevano “di nebbia e nube avvolti” nell’estremo settentrione. La loro terra senza Sole veniva considerata un tramite per comunicare col mondo dei morti. Per questo Ulisse nella Odissea si reca appunto in Cimmeria per praticare la “nekya”, l’evocazione dei morti, compiendo un sacrificio di sangue che attira le anime dei morti dall’Erebo. Il mondo culturale romano curiosamente attribuì ai Cimmeri una serie di località italiche, localizzandone le sedi nella zona del Lago d’Averno o di Lucrino o a Cuma (secondo un ragionamento etimologico che collegava Cuma e Kymmeri): in tutti questi casi era esplicito il riferimento alla contiguità tra il popolo dei Cimmeri e il Mondo dei Morti. Infatti il Lago d’Averno veniva considerato porta d’accesso all’Ade e Cuma era sede di una celebre Sibilla che appunto viveva sospesa tra il mondo dei vivi e l’aldilà per poter pronunciare i suoi enigmatici vaticini.
Ma questo è mito. Nella realtà storiografica i Cimmeri furono una antica popolazione indoeuropea del Caucaso. A un certo punto pressati dagli Sciti si spostarono a Ovest e Sud, dilagando nel Vicino Oriente, dove furono alla fine sconfitti dagli Assiri. Gli Assiri stessi si accorsero che tra Cimmeri e Sciti avveniva una guerra in famiglia dal momento che entrambi appartenevano alla genia degli irani delle steppe. Dei Cimmeri sono stati tramandati i nomi di tre re Teushpa, Tugdamme e Sandakshatra. Si noti soprattutto nel terzo nome la forte valenza indo-iranica (gli Kshatrya in India erano gli appartenenti alla casta guerriera). I Cimmeri diedero il primo nome alla penisola di Crimea in antico denominata appunto Cimmeria. A distanza di secoli fu Goethe a riprendere l’immagine omerica nella sua opera “Italienische Reise”, identificando con i Cimmeri i popoli del Nord immersi nelle nebbie, in contrapposizione al luminoso Mediterraneo. È cimmero il barbaro Conan partorito dalla fantasia dello scrittore americano del Novecento Robert E. Howard. Il secondo popolo ad apparire nell’area a nord del Mar Nero per effetto di uno spostamento in direzione est-ovest furono gli Sciti. I Greci li consideravano progenie di Eracle e del mostro serpentino Echidna. Anche la loro origine storica si riconduce alla famiglia iranica. Gli Sciti chiamavano sé stessi Scoloti (Skuta o Saka), dal nome del re Skules. Nel nome nazionale si riconosce la radice indoeuropea *skeud:”gettare, tirare (confronta con l’inglese To Shoot), nome adeguato a un popolo di arcieri e cacciatori.
Ma, tornando al mito, da Eracle ed Echidna nacquero tre figli e l’eroe li sottopose alla prova del tendere l’arco. Il terzogenito vinse la prova e divenne primo re di Scizia. Un altro mito narra che il primo uomo nato in Scizia fosse Targitao, figlio di Zeus e del fiume Boristene. Anche questi generò tre figli. Un giorno dal cielo scesero tre doni divini: una COPPA, un’ASCIA BIPENNE e un ARATRO. Anche in questo caso il terzogenito riuscì a impadronirsi dei doni e del regno. Evidenti in questi miti lo schema della tripartizione indoeuropea. La coppa è simbolo della funzione sacerdotale e della scienza divina, l’ascia bipenne rimanda alla funzione guerriera e l’aratro alla fecondità/ricchezza garantite dalla terza funzione sociale. La Coppa degli Sciti è il predecessore di ciò che nel Medio Evo celtico-germanico sarà la Coppa del Graal.
Nel fisico gli Sciti erano tipicamente europei, come confermano gli studi mitocondriali del 2002: spiccata la somiglianza con gli attuali abitatori dell’Europa dell’Est (con la diffusione dell’aplogruppo R1a1-M17). Secondo uno studio genetico del 2009, gli Sciti presentavano occhi blu o verdi, pelle e capelli chiari. I sovrani venivano scelti in base a criteri eugenetici, così stabilmente i corpi riesumati dei re presentano altezza di 1,80 m, spiccatamente superiore a quella della media degli sciti. Provenendo dall’area compresa tra il Mar Caspio e i Monti Altaj a ridosso della Siberia, gli Sciti si stanziarono nella vasta area tra il Don e il Danubio nel X secolo avanti Cristo. Da quell’area scacciarono i Cimmeri che erano precedentemente stanziati lì. Avanzando gli Sciti, i Cimmeri si diedero alla fuga.
Una suddivisione interna dell’etnia attestata dai Greci era tra gli Sciti dell’Ovest, più dediti all’agricoltura e quelli dell’Est fieri cacciatori nomadi. Nella loro fase di furore espansionista gli Sciti sconfinarono in Medio Oriente, sottomisero Assiri e Medi, entrarono in Palestina nel 700 avanti Cristo. L’impero mediorientale degli Sciti durò trenta anni e manifestò le sue intemperanze. Racconta Erodoto che gli Sciti depredarono la città di Ascalona in Siria; un gruppo di loro saccheggiò il santuario di Afrodite Urania. La Divinità sdegnata per l’affronto punì i saccheggiatori e la loro discendenza con una “malattia femminile”: li rese impotenti e androgini: i loro figli andarono a formare la classe degli indovini androgini degli Enarei. Ricacciati a Nord da una coalizione di Medi e Babilonesi, gli Sciti subirono l’invasione persiana di Dario I. Intanto da Est avanzavano i Sarmati che spinsero gli Sciti a spostarsi più a Ovest. Il Regno Scita fu definitivamente estinto dai Goti nel II secolo dopo Cristo.
L’arte scita si trasmise nell’area ucraina alle successive popolazioni slave: un’arte fatta di vivaci decorazioni con scene di animali in movimento: il cervo, in particolare. L’elemento delle corna – simbolo di fecondità e rigenerazione – fu oggetto di miriadi di raffigurazioni. Gli Sciti ritenevano che il cervo conducesse anche gli uomini nell’aldilà. Le raffigurazioni degli uccelli rapaci lasciarono traccia nella successiva arte dei Goti e dei Franchi. Tipici degli Sciti furono i KURGAN: tumuli funerari risalenti alla più alta preistoria indoeuropea. I capitribù venivano seppelliti nei Kurgan insieme a gioielli e suppellettili, con grane sfarzo. Ma le dimore stabili erano più per i morti che per i vivi, essi non avevano città strutturate preferendo la vita nomade.
Lo stile di vita era nomade e poligamo, ma gli sciti erano anche decisamente xenofobi: punivano con la morte chi si ellenizzava nei costumi. Come iniziazione guerriera ogni scita doveva bere il sangue del primo nemico ucciso. Alla fine di ogni battaglia il guerriero portava al re almeno una testa recisa, per guadagnarsi il diritto alla spartizione del bottino. Chi non ne aveva era escluso con disprezzo. Praticavano anche lo scalpo e lo scuoiamento del nemico, pelli e chiome diventando ornamenti.
A parte questa barbarie profonda, si ravvisa nei culti degli Sciti una somiglianza con quelli dei civilizzati Persiani nella loro fase pre-zoroastriana: il culto del fuoco, il culto di Mitra, lo sciamanesimo, l’uso di bevande inebrianti durante i riti, il sacrificio di cavalli, il giuramento presso il focolare del sovrano. Elementi tipici della cultura aryo-iranica e altri più generalmente indoeuropei (il sacrificio del cavallo è un caposaldo rituale dell’India e di Roma). Alcuni studiosi sottolineano l’importanza fondamentale del culto di una Grande Dea dal corpo femminile e serpentiforme. Questo culto spiegherebbe anche il mito della origine degli Sciti da Erakle e dal mostro serpentiforme Echidna. Però solo al Dio della Guerra gli Sciti ergevano un tempio.
Erodoto attesta presso gli Sciti una straordinaria fascinazione per l’oro, metallo di valenza magica: l’oro era fondamento del potere, era ponte tra l’umano e il divino. Il re era il custode dell’oro sacro. Un altro elemento fondamentale della vita di questi barbari era – per ovvie considerazioni – il cavallo: compagno in vita e nell’oltretomba. Dal suo latte ricavavano una bevanda particolare: il kumys. A ridosso del crepuscolo dell’impero zarista e della rivoluzione bolscevica, in Russia si sviluppò un revival del mito scita. Il fiero barbaro scita dell’Est fu interpretato come figura libera e indomita e contrapposta al sedentario borghese occidentalizzato. Dello scita si fece l’archetipo dell’identità russa profonda. È del 1914 la suite scita di Sergej Sergeevič Prokof’ev.
La terza popolazione della famiglia iranica-indoeuropea ad avvicendarsi nella vasta regione a Ovest del Caucaso sul Mar Nero fu quella dei Sarmati. Erano divisi in quattro grandi tribù, la più importante delle quali era quella degli Alani.
Anche il movimento originario degli Alani fu da Est a Ovest: dalle regioni degli Urali meridionali (dove si scontravano con Battriani e Parti), i Sarmati si proiettarono verso la Russia meridionale europea ponendo fine al dominio degli Sciti sulla regione. I Romani li percepirono principalmente come grandi allevatori di cavalli. Con l’Impero i Sarmati ebbero rapporti periodici di pace e guerra: schierandosi con i Daci al tempo di Traiano subirono una netta sconfitta nel momento della massima espansione di Roma. Ma fu il crollo dell’Urbe che espose i Sarmati ai movimenti di popoli da Nord e da Est: furono dominati prima dai Goti e poi dagli Unni.
Ma gruppi consistenti di Alani furono inglobati nell’impero e giocarono a suo favore. Già Marco Aurelio impiegò in Britannia gli eccellenti cavalieri alani. Nella battaglia di Pollenzo i cavalieri Sarmati fronteggiarono i Visigoti nelle file delle truppe dell’estenuato Impero. Come premio per questi servizi gli Alani ottennero di stanziarsi in alcuni centri nell’Italia Settentrionale sul Tanaro creando Sarmatorium.
La valenza guerriera dei Sarmati era tutta concentrata sulla Cavalleria: si dividevano in cavalieri leggeri (arcieri a cavallo) e cavalieri catafratti: la cavalleria pesante dotata di armature formate da squame metalliche e di una lunga lancia d’impatto. Alcuni storici e lo stesso Pio Filippani-Ronconi vedono nella cavalleria catafratta degli Alani-Sarmati addirittura la premessa logistica a quella che sarà la Cavalleria feudale dell’Europa Medievale. Poco dopo i Variaghi della Rus’ anche i Sarmati si convertirono al Cristianesimo Ortodosso. Subirono l’onda d’urto dei Mongoli e ne divennero popolo tributario. Poi dovettero subire l’espansionismo turco e generalmente islamico: assimilarono alcuni tratti di quelle culture, ma mantennero salda la fede ortodossa. Curiosamente i Sarmati esistono ancora e rappresentarono una delizia per le orecchie di Georges Dumezil: sono gli Osseti delle due repubbliche settentrionale e meridionale.
Alfonso Piscitelli
BIBLIOGRAFIA
FONTI CLASSICHE
Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, libro LI
Erodoto, Le Storie, libro IV
Omero, Odissea, cap. X e XI.
Plinio, Naturalis Historia, libro III
Strabone, Geografia, libro V
FONTI MODERNE
Enciclopedia Italiana Treccani, I Sarmati, consultabile on-line
Georges Dumézil, Storie degli Sciti, Milano, Rizzoli, 1980.
Villar F., Gli indoeuropei e le origini dell’Europa, Bologna, Il mulino, 1997.
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