Porta la data del 20 maggio 2015 l’inaugurazione di una mostra retrospettiva sulla figura poliedrica del romano Cipriano Efisio Oppo, ben chiuso nel baule della soffitta in compagnia d’altri fasci-in-arte fedeli Argo di quella che noi cantiamo sulla riva destra: l’Idea. Era trascorso oltre mezzo secolo dalla sua scesa nell’Ade delle ombre, Oppo, guarda caso, tornò a fare “capoccella” come si dice a Roma, in un luogo simbolo del Fascismo, Villa Torlonia nel Casino dei Principi. L’expo ricostruiva il suo percorso di artista “impegnato” in politica con ruoli istituzionali, un puzzle di documenti biografici e opere provenienti da fonti sicure come l’Archivio Oppo, miracolosamente scampato al caminetto degli yankees, il Museo della Scuola Romana, l’Archivio Storico del Teatro dell’Opera di Roma, un corpus di 50 dipinti, 20 disegni, 20 bozzetti scenografici e 4 costumi. Cipriano era nato a Roma il 2 luglio 1890 da Andrea Eugenio e Ottavia Sutto, entrambi d’ origine sarda, papà impiegato alle Poste, la mamma casalinga lo lascerà orfano a soli quattro anni. Proprio l’assenza della figura materna spingerà il papà a parcheggiare il ragazzino in collegio a Spoleto dal 1900 al 1904 anno del suo ritorno all’Urbe, dove frequentò il Reale Istituto di belle arti di Palazzo Camerale a via Ripetta, innamorandosi della pittura.
Nel 1907 si iscrisse alla storica scuola libera del nudo alla Real Accademia di Belle Arti romana. Lì conosce Mario Sironi, Umberto Boccioni prima della sua esperienza veneziana, quelli del circolo sulfureo dei prossimi futuristi da Balla a Severini. Datato 1910 è il suo triplice autoritratto in uno, tre pose della sua figura, trasognata, quasi timida nel sollevare il coperchio della sua anima lasciando campo al guardarci dentro, sintesi della voglia di scrutarsi in uno specchio di carta con un istintivo pudore.
Narrano di lui i biografi che fosse di carattere chiuso, a primo impatto scontroso, restio a lasciarsi bucare la corazza dai curiosi quanto capace, al contrario, di leggerti dentro con lo sguardo aprendoti come una scatoletta di sardine.
Sono anni di bottega nella galleria d’arte G. Sangiorgi, Cipriano da un lato svolge la mansione di decoratore, dall’altra si esercita nel disegno dal vero copiando pezzi classici da rivendere in negozio così acquistando maggiore simultaneità tra occhio e mano intelligente.
La sua “prima” avviene a Roma con un ritratto alla Mostra dell’Associazione artistica internazionale, quest’ opera non è stata ancora rintracciata nella ricostruzione del suo curriculum. E’ il 1912 anno l’ esordio della “Secessione romana” agape artistica antiaccademica, senza il vizio del manifesto perché libertaria negli stili di ciascun aderente, con un refrain comune: trasferire in Italia le esperienze postimpressioniste, futurismo escluso, troppo rivoluzionario nel deflagrare le forme. La sua pittura vaga come una farfalla, dal fiore divisionista, al simbolismo fino a poggiarsi brevemente sul solfureo futurismo. le sue epifanie del ’13 a Roma e poi a Napoli nelle mostre al Circolo artistico internazionale e alla II Esposizione nazionale di belle arti, raccontano questo con colori aspri, mordenti, eccessivi seguendo la lezione di H. Matisse. Scende in campo con la Secessione esponendo alla sua I mostra internazionale d’arte avvenuta a Roma sempre nel 1913 e affezionandosi all’evento che lo vedrà coinvolto anche nelle edizioni seguenti nella doppia veste di autore e membro del Comitato organizzativo. Dentro il timido, introverso Cipriano dell’autoritratto c’era un fuoco violento che investiva le tele, lungi dall’equilibrio studiato di un ritorno all’ordine, d’altronde erano tempi di accesi dibattiti al Caffè Greco di via Condotti, poeti, letterati in erba, giovani artisti discutevano sì dei temi delle Muse ma anche di campagna di Libia, entrata in guerra contro l’alleata Austria, pacifismo o interventismo. E’ in questo clima di scelte che Cipriano abbraccia, nel ’14, il nazionalismo di Enrico Corradini e Luigi Federzoni, prestandosi volontario a disegnare caricature e vignette satiriche su L’idea nazionale integrate dai primi articoli di critica d’arte. Saranno queste esperienze prebelliche a proiettarlo ai vertici dell’organizzazione culturale del fascismo, divenendone un competente deus ex machina soprattutto per quella scelta intelligente di non trascinare le arti a serve del regime contrariamente alla politica del baffone georgiano e del baffetto austriaco furbo collezionista d’arte degenerata. Drammatica l’esperienza di Oppo nelle trincee militari, partito di sua sponte, viene spedito sul fronte friulano a Gorizia, ma in battaglia resta gravemente ferito dai colpi di una baionetta asburgica, sollevato dalla linea del fronte dopo lunga convalescenza viene rispedito a casa, i suoi amici Boccioni e Sant’Elia ci lasciano le penne. Riprende a disegnare per L’Idea nazionale con “macchiette comiche assolutamente italiane” come scrisse di lui Boccioni stesso nel ’16, poco dopo il suo cavallo lo sbalzerà a terra, un toc secco della testa su una pietra, ironia della sorte per chi dei ronzinanti al galoppo aveva fatto uno dei soggetti preferiti.
Pendant la guerre, standosene a Roma da esonerato dal moschetto, poté misurarsi nell’organizzare la quarta ultima mostra della Secessione romana alla quale partecipò con alcuni dipinti ancora carichi d’un acido espressionismo.
La Finis belli è per Oppo a new style, il disegno è accurato, la composizione iconografica studiata cercando l’equilibrio delle masse, la sintonia dei colori, armonizzando le linee, i pesi delle “cose” nella scenografia dei quadri, è il Cipriano acchetato della Casina Valadier nel 1918. Cresce la sua fama di art promoter organizzatore di eventi, dalla mostra del gruppo romano a Milano, Oppo passa alla prima Biennale di Roma inaugurata il 31 marzo del 1921, la sua pittura è diventata solida, guarda alla tradizione del Rinascimento in sintonia col movimento-rivista Valori plastici di Mario Broglio lo Zeusi esploratore della ricerca nell’arte con spirito europeo, “ Bisogna scoprire il demone in ogni cosa” come aveva suggerito De Chirico. Cipriano segue, in politica, i passi d’un fascista dem. l’amico Luigi Federzoni, bolognese uomo colto con due lauree: Lettere ( relatore G. Carducci) e Giurisprudenza, cofondatore de L’Idea nazionale, attivista del movimento nazionalista fusosi poi col PNF, siamo all’anno 0 di una nuova storia è il 1922. L’arte di Oppo perde di furore, la febbre giovanile passa con l’antibiotico a largo spettro degli impegni da manager di eventi, un suo dipinto Fanciulla dormiente viene stroncato da Margherita Sarfatti locomotiva milanese del neonato gruppo Novecento, né Cipriano viene chiamato, dalla Vergine rossa, a farne parte perché la sua pittura non è italiana, tecnica e stile rivelano contaminazioni galliche.
E’ in questi primi anni che viaggia molto tra Francia, Germania, Olanda per arricchire il suo bagaglio di conoscenze, carpire cosa c’è di nuovo nella fucina artistica d’oltralpe, dopo gli sfasci della guerra si legge ovunque un filo conduttore “le retour à l’ordre”, quasi un revival di nuovo classicismo sul quale gemmano movimenti votati alla resurrezione del bello razionale; il sublime del futurismo e dell’anarchico dadaismo vivono cheti sotto coperta. Di questo nuovo clima si nutrono le Biennali romane del 1923 e del 1925 delle quali Oppo fu l’anfitrione, soprattutto la terza fu una mostra aperta al panorama artistico nazionale senza esclusione ideologica, presenti artisti d’ogni tendenza, un quadro dello stato dell’arte in Italia, compresa una retrospettiva sull’opera del fu Umberto Boccioni. Cipriano aveva condiviso, fatta sua la dichiarazione di Mussolini alla prima vernissage del gruppo sarfattiano alla Galleria Pesaro nel ‘23: “In un Paese come l’Italia sarebbe deficiente un Governo che si disinteressasse dell’arte e degli artisti. Dichiaro che è lungi da me l’idea di incoraggiare qualche cosa che possa assomigliare all’arte di Stato” e fu di parola. Attenzione qui c’è un passaggio ancora tutto da esplorare, la posizione di Mussolini verso l’arte dopo anni e anni di corbellerie preconfezionate. Il fascismo, almeno fino alla guerra d’Etiopia, fu un regime (brutto termine) liberale aperto a tutte le espressioni artistiche tanto che respiravano a pieni polmoni persino gli astrattisti, accanto alla seconda generazione futurista, ai neorinascimentali del gruppo Novecento italiano, al Morandi del realismo magico, ai metafisici in declino, ecc…Punta di assoluto diamante fu in architettura il MIAR che trasformò la decrepita ars aedificatoria eclettica in un movimento d’avanguardia internazionale: il Razionalismo, finestra spalancata all’esperienza europea . Post Corno d’Africa la scelta cadde sul neoclassicismo almeno come teatro scenografico del resuscitato Impero trovando in Piacentini e Farinacci i suoi aedi. Mussolini aspirava in realtà a cogliere un unico obiettivo che l’arte italiana salisse nuovamente sul podio più alto, quello che le spettava per storia, tradizione, a prescindere da stili e movimenti, andava benissimo anche l’espressionismo acido dell’anarco-fascista Lorenzo Viani che lui protesse sempre da estimatore e amico. Oppo fu fedele a questo progetto, l’arte italiana ovunque fino alla Grande Mela facendo scalo sull’antenna della Torre Eiffel.
Dicevamo che la sua pittura aveva subito una metamorfosi, spogliatasi degli eccessi violenti giovanili, era diventata una bella signora pacata, elegante, colta e ben vestita priva della frivolezza scintillante dei colori. Questo posarsi sul ramo del Quattrocento tanto esaltato da Roberto Longhi con le sue monografie sul grande Piero di S. Sepolcro, gli permisero la partecipazione alle mostre del gruppo Novecento italiano andate in onda nel ’26 e nel ’29. In parallelo continuava la sua attività di vignettista satirico per i giornali, in particolare collaborava fisso a Roma fascista, memorabile la sua campagna contro la Massoneria del GOI. E’ del 1926 il suo primo sbarco alla XV Biennale di Venezia con un’opera singola La casta Susanna rivisitazione d’un tema biblico già affrontato da un eccelso della pittura veneta Jacopo Robusti detto il Tintoretto. Entra nello staff della rivista 900 di Massimo Bontempelli in qualità di critico d’arte catturato in questa funzione anche da Giuseppe Bottai per Critica fascista. Oppo condivide la concezione dell’arte-azione del gerarca suo concittadino difensore della libertà degli artisti nella ricerca organica di nuove strade con una finalità guida senza discutere ““di questo o quel prodotto, non di questo o quel produttore, non di questo o quel gruppo, ma della Nazione produttrice nella sua unità e singolarità […]” quella di Bottai e Oppo era l’autostrada della cultura d’un Paese, quella di Farinacci una strada vicinale mutuata dall’onanismo ariano dal piccolo uomo di Braunau am Inn. La verità storica dice che nel ventennio si moltiplicarono le manifestazioni artistiche, nascono la Triennale di Milano e la Quadriennale di Roma voluta fortemente dal duo Oppo-Bottai, nasce anche un sindacato degli artisti con relative esposizioni, del quale Cipriano è Segretario del Direttorio oltre che membro del Consiglio superiore delle Belle Arti e del Consiglio direttivo della Biennale veneziana, un marea di impegni compreso il ruolo di deputato in Parlamento per il PNF alle elezioni del 1929. Con gli anni ’30 Margherita Sarfatti conosce l’eclissi, il suo vate ed amante Mussolini ne scansa l’invadente presenza protrattasi fino alla residenza romana del Duce a villa Torlonia, la stella di Oppo adesso brilla di luce propria come Sirio, la carta della scommessa è vinta nel ’31 con l’inaugurazione della I Quadriennale di Roma ideata ma soprattutto da lui organizzata, è l’evento principe della sua carriera di top manager delle Arti, il motivo al quale legherà il suo nome.
Oppo adesso aveva davvero il suo fiore all’occhiello, quel prestigio che gli permetteva di portare l’arte italiana nel mondo perché quella Quadriennale fu un successo di critica anche internazionale. C’era tutta l’Italia che contava con scalpello o setole di cinghiale, dall’espressionismo della Scuola romana di Mafai e Scipione fino ad artisti figurativi legati al ‘400 come Casorati e Donghi e quel grande artista magico che fu Fausto Pirandello figlio del Fu Mattia Pascal. Sull’onda della standing ovation decise di impacchettare per benino una selezione accurata delle opere esposte e trasferirle in tre mostre oltre oceano, la prima a Baltimora le altre due a Cleveland nell’Ohio, non senza far tappa nella Ville lumière, era il 1932. Nello stesso anno si dimette da Segretario del Sindacato fascista di belle arti a motivo secco dei contrasti interni tra l’ala liberal e internazionalista da lui rappresentata e quella autarchica neoclassicista del Caifa Farinacci che già allora bollava di bolscevismo l’arte d’un genio come Mario Sironi. Ma il cocchio della Quadriennale rimase saldamente nelle sue mani. La seconda edizione del ’35 fu ancor più d’ avanguardia, esposero i già noti Severini, Sironi, De Chirico, Fontana accanto al gruppo degli astrattisti della famosa Galleria il Milione di Milano (Soldati, Rho, Radice, Reggiani, Bogliardi e Ghiringhelli) e giovani di belle speranze quali Afro, M. Basaldella, Cagli, Fazzini e pensate un po’ Renato Guttuso. A Basaldella, divenuto nel ’43 partigiano, Oppo fu debitore della vita nel ’45, catturato da una brigata rischiò la fucilazione come fascista della RSI se non si fosse interposto, all’esecuzione, proprio quel giovane artista al quale lui aveva aperto le porte della Quadriennale del ‘35, una storia copia-incolla con quella di Sironi.
Ancor più in questa edizione della Quadriennale Cipriano piegò i suoi personali convincimenti artistici facendo della mostra una libera informazione al pubblico ed alla critica del variegato stato dell’arte nel Paese, senza steccati. Curerà altre due mostre della Quadriennale quelle del ’39 e del ’43 entrambe di tono minore rispetto alle prime sia perché i contrasti con l’ala filonazista s’erano acuiti sia perché s’era alla vigilia della guerra, poi con gli anfibi dentro il fango. Dal’36 al ’42 il suo impegno di manager s’era profuso anche nell’organizzazione dell’ evento cult: l’E42, un’apoteosi delle conquiste del fascismo raccontate in una nuova Roma, l’EUR, purtroppo il precipitare delle sorti belliche lo trasformò in un sogno bruscamente interrotto. Ebbe modo di salire sulla cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma, titolo che conserverà poi nel dopoguerra a Venezia dove s’era rifugiato dopo la caduta del fascismo. La sua Roma l’aveva dovuta lasciare in fretta e furia, la sua casa sull’Aventino, con dentro un patrimonio di libri, circa ottocento, oltre i carteggi, documenti, quadri, disegni, venne occupata dallo zio Sam Era ancora freddo e la soldataglia ignorante prese ad accendere la stufa con cornici, gambe di sedie e carta strappata ai libri, fu solo per puro caso che l’archivio si salvò dal fuoco per intercessione d’ un caro amico di Cipriano che passava di là. Tornò alla Quadriennale ma solo come ospite nel ’48 con tre suoi dipinti, poi ancora in quella del’51-’52. Si spense lentamente la sua fama, animula vagula blandula, fiammella che scioglie la candela, chiusa solitaria in una stanza, fino a spegnersi il 10 gennaio del 1962.
Emanuele Casalena
Bibliografia
- E.Oppo, Un legislatore per l’arte, a cura di Francesca R. Morelli, De Luca Ed. Roma 2000
- Giuseppe Bottai, Vent’anni e un giorno, Rizzoli, 2008
- Francesca R. Morelli, Oppo : Gli anni di Villa Strohl-Fern,a cura dell’Associazione Amici di Villa Strohl.Fern, Roma 2010.
- ppo,Cipriano, a cura di Mattia Patti, Dizionario biografico degli italiani, vol. 79, Enciclopedia Treccani, 2013
- Francesca R.Morelli, Valerio Rivosecchi, Oppo : pittura, disegno scenografia,Artemide, Roma 2015