8 Ottobre 2024
Filosofia Giuseppe A. De Falco Società Tradizione

Civiltà tradizionali e “società” moderne

Di G. Arminio De Falco

Bisogna anzitutto partire da questo, ovvero che vi è una differenza fondamentale di significato tra i termini “civiltà” e “società”, non essendo questi ultimi affatto sinonimi, come alcuni possono eventualmente essere portati a credere. Infatti non è errato affermare che, se da un lato una civiltà implica necessariamente un determinato ordinamento sociale ovvero una società, non è però vero l’inverso, potendo difatti esistere una società senza civiltà o comunque quasi priva di essa[1].
Ciò premettendo è di fondamentale importanza individuare esattamente quale sia l’elemento o il fattore determinante di una civiltà, ovvero ciò che rende una società degna di un tale appellativo. A seconda dei diversi punti di vista e delle diverse scuole di pensiero si è voluto vedere questo elemento ora nel cosiddetto “benessere” e in una ricchezza materiale più o meno equamente distribuita, ora nelle dinamiche socio-economiche di potere, ora nell’articolazione e nell’elaborazione di “scienze” più o meno esatte e più o meno analitiche. Secondo le tendenze positivistiche ottocentesche, ad esempio, in accordo con le teorie dell’evoluzionismo darwiniano, l’umanità era data percorrere un cammino pressoché deterministico, secondo un passaggio dalla semplicità (vista negativamente in quanto rozza e approssimativa) alla complessità (vista invece positivamente in quanto matura e “scientifica”). Ora, è opportuno notare come un simile modo di vedere, benché prevalente ai giorni nostri e da alcuni tenuto in considerazione alla stregua di un dogma inconfutabile, sia totalmente arbitrario e gratuito, in quanto non tenente conto che del punto di vista specificamente moderno, che è per definizione antitetico a quello “tradizionale”.

Quando diciamo “moderno” e parliamo di modernità in contrapposizione a un qualcosa di “tradizionale”, non è chiaramente a una mera differenza cronologica che ci riferiamo, bensì a un comune modo di sentire e a una determinata visione del mondo opposta a quella che, nonostante le innumerevoli differenze a loro interne, le civiltà definibili come “tradizionali” hanno sempre affermato e difeso. Tali civiltà hanno infatti sempre, seppur in modalità diverse, e qui si riscontra già la lontananza ideale che le separa dalla modernità propriamente detta, posto al vertice valori che possiamo a diritto chiamare “spirituali”, intendendo con tale termine tutto ciò che tende alla trascendenza nonché ad un ordine “metafisico” e che non trova giustificazione nella semplice esistenza fisiologicamente intesa. Vi è però ora da puntualizzare che i valori sopra menzionati sono effettivamente, per quanto ciò possa apparire paradossale agli alfieri del pensiero moderno, i veri cardini di ciò che si può legittimamente chiamare “civiltà” e che in loro assenza non vi può essere che una sorta di barbarie, per quanto economicamente “ricca” e intellettualmente “progredita”. Infatti, appare evidente già a una sommaria analisi come il mondo attuale, nella sua costituzione, manchi fortemente di un “Ordine” reale, e anzi ne difetti a tal punto da potersi definire come un contesto estremamente caotico e pressoché privo di principi di qualunque genere. Ci si può effettivamente render conto di ciò tenendo presente che i valori “positivi” legati ad un contesto-tipo che definiamo “tradizionale”[2]sono oggi stati sostituiti anzitutto da corrispettivi negativi, costituenti la loro semplice negazione, ovvero, successivamente, da vere e proprie inversioni degli stessi. A riguardo basti pensare a come oggi attitudini lascive, menzognere, superficiali, fiacche e disoneste si siano sostituite a tal punto alle loro corrispettive attitudini positive da sembrare persino “normali” se non addirittura buone e convenienti. Già da questi primi accenni risulta abbastanza chiaro come vi sia una sostanziale incompatibilità tra questi due tipi di società e che sia il tipo “tradizionale” a meritare la definizione di “civiltà”.

Un aspetto importante da tener presente è che le civiltà che abbiamo definito “tradizionali” si attengono a un punto di vista essenzialmente qualitativo anziché quantitativo come accade per le società moderne[3], in ogni ambito a loro proprio, e che per questa stessa ragione vi predomina un concetto organico nonché gerarchico dell’ordinamento sociale, in opposto a quello disorganico e quindi egualitario delle moderne autoproclamate “democrazie”, la vita umana stessa assumendo un significato e una dignità pressoché assenti e sconosciuti nelle società moderne, per le quali “tutti gli uomini sono creati uguali”. Ora, è facilmente comprensibile che uno dei punti cardini della odierna decadenza sia individuabile proprio nella fase storica nota come “illuminismo”, che, a voler dire le cose come stanno, ha avuto ben poco di “illuminato”, e nelle successive rivoluzioni, le quali, per quanto motivate e persino talvolta comprensibili, sono sostanzialmente errate, in quanto basate sulla sovversione dell’ordine legittimo[4]. Requisito infatti fondamentale a che una civiltà sia realmente tale, e non soltanto per un qualche criterio più o meno arbitrario, è che essa abbia, in maggiore o minore misura, un pur qu
alche collegamento con i principi del mondo celeste, che potremmo anche chiamare “sovramondo”. L’opulenza e la ricchezza materiale, quand’anche siano inserite in un contesto che ad esse non sia limitato, sono infatti da considerare come assolutamente secondarie e prive di una portata reale nella discriminazione di ciò che è “civile” da ciò che non lo è. Innanzi tutto sta infatti quel patrimonio di Valori, Credenze, Dottrine, Miti, Simboli e Riti che va sotto il nome di Tradizione[5], e che solo è il costituente effettivo ed essenziale di ciò che, a ragione o a torto, si suole chiamare civiltà.


Ragione fondamentale dell’odierno sbandamento, nonché della carenza pressoché totale di punti di riferimento e di verità, è appunto l’approccio relativistico e nichilistico che ha stregato l’uomo moderno sin dagli albori del secolo ventesimo, attraverso il quale quest’ultimo si è accecato a tal punto da alienarsi completamente dal mondo stesso che un tempo riconosceva come proprio e a cui era in grado di aprirsi e conoscere realmente, un mondo che ad oggi non gli appare se non come un gigantesco contenuto e contenitore di massa e grigia materia inerte. Tale è il tetro spettacolo che si para dinanzi agli occhi dell’uomo odierno, che pure è curiosamente convinto di essersi finalmente fatto padrone della natura e di averla ridotta in suo potere, non rendendosi davvero minimamente conto di non esserne mai stato più schiavo di ora. A radice di tutto ciò sta il fatto che l’uomo moderno non vede più, non sente più, ovvero non riconosce più la Realtà[6]per ciò che essa è, ma solo nel migliore dei casi se ne fa un’immagine ad personam, a puro uso e consumo, come un quadro tranquillo e rassicurante, un oppiaceo ideologico a tutti gli effetti. Praticamente inconcepibile rimane dunque per l’uomo odierno che vi possa essere un modo alternativo, più profondo e più autentico di Sentire, Agire e Conoscere, il tutto essendo ottusamente relegato nel mondo fantasioso di un idealismo sfrenato quanto illusorio. Tuttavia, proprio come il cieco non può vedere a un passo da sé, l’uomo moderno non vede null’altro che esuli dalle sue astratte costruzioni mentali ed ha tuttavia la stoltezza e l’assurda presunzione di dichiararsi libero e conoscitore e, per giunta, di classificare qualunque altra modalità di conoscenza che vada al di là di quella sensoriale e dell’empirismo più becero come arbitraria e dogmatica. Volendo fare un paragone si potrebbe dire che tale cecità assomiglia molto a quella di chi, vedendo null’altro che oscurità, pretendesse che la luce non esista affatto. È proprio in fondo seguendo gli ideali di una vana quanto fallace e chimerica libertà e di un’insensata indipendenza dal divino, cosa che null’altro significa in realtà che l’impoverimento interiore e in definitiva lo svilimento e annichilimento dell’uomo stesso, che l’uomo moderno si è man mano costruito il suo mondo vuoto, privo di Vita, privo di Gioia, privo di Verità, di certo ottenendo il risultato opposto a quello ingenuamente desiderato. Il risultato avutosi è quello di una caduta rovinosa e continua da condizioni più o meno sane e “normali” ad altre sempre meno ordinate e sempre più caotiche[7], questo potendosi facilmente costatare in tutti i settori del pensiero e dell’azione umana, a cominciare dalla caricatura cui si è oggi tristemente ridotta la religione per la quasi totalità delle masse, vuoi per l’incapacità della stessa di reagire adeguatamente alla modernità e alle sue idee, in tal caso tradendo un’effettiva debolezza, vuoi per i limiti costitutivi propri alle summenzionate masse, ormai sempre più prive di volto e identità, incarnanti alla perfezione l’ideale di “spersonalizzazione” e di anonimato tanto caro all’ideologia egualitaria moderna. In definitiva si può affermare a ragione che in effetti tutto, nello stile di vita moderno, tenda all’appiattimento, all’uniformità, alla standardizzazione, finanche allo svilimento e alla banalizzazione di ogni aspetto della vita.

A riprova di ciò basti considerare l’estremo degrado morale in cui versa la gran parte delle generazioni odierne, lo stato di remissiva stanchezza e di “ipnosi collettiva”, il vuoto interiore, l’estrema confusione e ignoranza, anche e spesso soprattutto presso coloro che si credono “dotti”, l’artificiosità nelle relazioni e l’inane conformismo nonché l’individualismo e l’egoismo al livello più grottesco e ci si potrà rendere conto che le considerazioni precedentemente fatte sono ben lungi dall’essere assurde, immotivate o anche solo esagerate. Se ci si appresta infatti a considerare lo stile di vita propriamente moderno non si può prescindere dal riconoscervi un sostanziale appiattimento attitudinale e una vuotezza di significato davvero disarmante, nefasti risultati della graduale banalizzazione del Reale effettuatasi in ogni ambito, a cominciare da quello del pensiero “filosofico”, dovuta a sua volta alla perdita progressiva del contatto effettivo col Sacro, ovvero all’oscurarsi di quella coscienza che si potrebbe dire “mitico-simbolica”, garante esclusiva di tale contatto. In ogni caso bisogna chiarire che tali contatti non hanno niente a che fare con la semplice sfera psichica, e ancor meno con una sorta di suggestione, spiegazione tanto ingenua quanto cara all’esegesi moderna, ma che essi sono parte di facoltà assolutamente reali, che oltrepassano ambedue le sfere fisiche e psichiche propriamente dette, e che tali facoltà sono a loro volta parte di ciò che vi è di più alto e nobile nell’essere umano, ovvero lo Spirito[8]. Infine lo stile di vita moderno, vera mortificazione dell’essere umano e della sua natura, abbrutendolo e sovvertendone le tendenze naturali, sia nel privato che nel pubblico, costituisce difatti l’opposto di ciò che ci si dovrebbe aspettare in un contesto sano e normale, ovvero un complesso di attività volte in ultima istanza a portare l’uomo più vicino alla piena coscienza di Sé e dunque alla sua nobilitazione ed elevazione, ciascuno secondo i propri mezzi e le proprie capacità. Tale svilimento dell’essere umano e del Reale sul piano teoretico, che si è venuto a verificare successivamente alla graduale perdita di contatto summenzionata, ha fatto sì che si presentasse la possibilità di un’ulteriore depauperazione della coscienza e della visione del mondo, avutasi con la stagione illuminista prim
a e materialista-evoluzionista poi.


Riguardo all’evoluzionismo crediamo lo si possa a buon diritto considerare come uno dei massimi stravolgimenti del Reale avvenuti in seno al pensiero moderno, in quanto esso presuppone la derivazione del superiore dall’inferiore, mentre è unicamente concepibile il contrario. Ci preme infatti mettere in chiaro come non si possa in alcun modo conciliare una visione del mondo spirituale e religiosa con una tale credenza circa le origini umane. Appare infatti chiaro che, se si considera l’uomo essenzialmente derivante per “evoluzione” da una specie animale, lo si depriva in tal modo di tutte le sue caratteristiche spirituali, essendo la coscienza spirituale propria solo degli esseri superiori e non delle bestie, e perciò, allo stesso modo in cui il più non deriva dal meno e la luce non viene dalle tenebre, l’uomo non può derivare dall’animale[9]. Proprio riguardo quest’ultimo punto si assiste, nelle società moderne, al fenomeno della democratizzazione di ogni cosa, ovvero all’abbassamento di tutto a uno “standard” facilmente raggiungibile da chiunque, a discapito di tutti coloro abbiano capacità superiori[10].

Alla base di ciò vi è la chimera dell’egualitarismo, idea tanto assurda e illogica quanto fondamentale per la costituzione e il mantenimento del mondo moderno, secondo cui tutti gli esseri umani sono creati uguali e hanno pari dignità, cosa contraria non solo alla ragione ma persino al più comune buon senso[11]. Proprio come vi è diversità di natura, infatti, così vi è pure diversità di qualità e perciò stesso di dignità, e quindi a diversi oneri spetterebbero, di norma, diversi onori; ma in un mondo che a ragione può definirsi plutocratico, ovvero in cui tutto è subordinato al fattore economico-produttivo, obbediente solo ed esclusivamente a una delirante logica illogica di produzione e consumo, quale senso possono mai avere concetti come Onore e Dignità? In un mondo in cui l’unico senso della vita umana pare essere il semplice sopravvivere quale utilità potrebbero mai avere?

[1]In tedesco si ha una simile contrapposizione tra i concetti di Gemeinschaft (comunità) e Gesellschaft (società). Similmente O. Spengler, nel suo Il tramonto dell’Occidente parlava appunto di Zivilisation e di Kultur, indicando con la prima una forma marcescente e senile di civiltà e con la seconda una cultura comunitaria viva e pulsante, i cui principi fondanti sono fortemente sentiti al suo interno.   
[2]Diamo al termine “tradizionale” la medesima accezione data ad esso dalla maggior parte degli autori “tradizionalisti”, quali, ad esempio, J. Evola o R. Guènon.
[3]Corrispondono all’aspetto qualitativo e a quello quantitativo rispettivamente, secondo il linguaggio aristotelico, l’ eidwV(eidos) e la ulh” (yle), l’uno elemento formatore attivo, l’altro elemento formato passivo. Similmente la scolastica medievale parlava di Forma e Materia.
[4]“Fare una rivoluzione significa sovvertire l’antico ordinamento del proprio paese; e non si può ricorrere a ragioni comuni per giustificare un così violento procedimento” E. Burke, Riflessioni sulla rivoluzione in Francia, 1790.
[5]Quando diciamo Tradizione con la T maiuscola è per definire il concetto precedentemente esplicato di “tradizionale” in senso completo e universale e non limitato ad alcun contesto particolare o specifico; in definitiva ci riferiamo perciò a quella corrente ideale di spirito che attraversa, malgrado tutte le variazioni esteriori, e sebbene in misura qualitativamente diversa, le più disparate civiltà umane storiche e preistoriche.
[6]Realtà in senso pieno ed eminente, infatti la radice etimologica di realtà e reale è *Re-, tra i cui significati primitivi vi è quello di “luce”, ovvero realtà positiva, essendo la Realtà un qualcosa di positivo e “vivo” per antonomasia, in opposizione all’ombra vista come realtà negativa e cioè irreale e inconsistente in sé stessa e definita proprio in quanto deficitaria e manchevole.
[7]La fisica stessa riconosce che di norma determinati “sistemi” tendono a passare da stati più ordinati a stati meno ordinati e non viceversa.
[8]Lo Spirito propriamente detto corrisponde al principio “intellettuale” o , per dirla alla greca, “noetico” nell’uomo, avente corrispondenza fisiologica col cuore. Tale principio è di fatto ciò che solo consente la comunicazione dell’uomo con gli “stati” o modalità di esistenza a lui superiori. Appare qui già la costituzione fondamentale dell’essere umano secondo tutte le dottrine tradizionali: Corpo, Anima, Spirito. Per gli antichi l’intelletto razionale era una delle parti della sfera “animica”, ma non l’esclusiva, come si intende generalmente oggi quando si parla di “psiche”, venendo questo termine dal greco antico “yuch” (psychè), che significava appunto “Anima” nel senso pieno ed integrale del termine.
[9]Non è un caso che, presso gli antichi, la scimmia fu percepita non come un improbabile antenato dell’uomo, bensì come una brutta copia dell’uomo in guisa animalesca. Secondo tutte le tradizioni antiche l’uomo è infatti un essere derivato dal divino, creato da Dio ovvero un dio egli stesso.
[10]“… bisogna insistere ancora su di una conseguenza immediata dell’idea “democratica” in generale, e in particolare di quella “collettivista”: è la negazione dell’elite intesa nella sua accezione legittima. Non per nulla “democrazia” si oppone ad “aristocrazia”, questa seconda parola, almeno quando è intesa nel suo senso etimologico, designando precisamente il potere dell’elite. La quale, per quasi definizione, non può essere che una minoranza, e la sua potenza o, per dir meglio, la sua autorità, procedente dalla sua superiorità intellettuale, non può avere nulla in comune con la forza numerica su cui poggia la “democrazia”, il carattere essenziale della quale è di sacrificare la minoranza alla maggioranza epperò, come dicevamo poco fa, la qualità alla quantità e l’elite alla massa.” R. Guènon, La crisi del mondo moderno.
[11]“Proprio a questo tendono, particolarmente dal punto di vista sociale, le concezioni “democratiche” ed “egualitarie” secondo cui tutti gli individui si equivalgono, supposizione assurda la quale induce a ritenere che tutti debbano essere ugualmente adatti a non importa cosa; questa “uguaglianza” non trova alcun esempio in natura, proprio per le ragioni da noi indicate, perché non rappresenterebbe altro che una similitudine completa fra gli individui; ma è evidente che, in nome di questa pretesa “uguaglianza”, uno degli “ideali” alla rovescia più cari al mondo moderno, si cerca effettivamente di rendere gli individui tanto simili tra loro quanto la natura lo permette, e questo in primo luogo pretendendo di imporre a tutti una educazione uniforme.” R. Guènon, Il regno della quantità e i segni dei tempi.

8 Comments

  • Anonymous 30 Dicembre 2013

    Giovani e preparati ragazzi crescono…bravo Giuseppe! Luca V.

  • Anonymous 30 Dicembre 2013

    Giovani e preparati ragazzi crescono…bravo Giuseppe! Luca V.

  • Anonymous 31 Dicembre 2013

    Ottimo scritto. Stile piacevole che arricchisce la lettura. Faccio i miei complimenti a Giuseppe. Steno Lamonica.

  • Anonymous 31 Dicembre 2013

    Ottimo scritto. Stile piacevole che arricchisce la lettura. Faccio i miei complimenti a Giuseppe. Steno Lamonica.

  • Anacronista 22 Dicembre 2014

    Esattamente così! Per inciso, quanti vogliono conciliare la teoria dell’evoluzione con la religione probabilmente non sanno di cosa parlano: l’evoluzione afferma che tutto è frutto del caso, quindi ovviamente incompatibile con un progetto superiore.
    Umberto Bartocci, nel suo libro “Una rotta templare alle origini del mondo moderno”, evidenzia bene come fin dai suoi esordi rinascimentali lo scientismo fosse mosso, più che da considerazioni oggettive, dal desiderio di sovvertire l’ordine sociale esistente. La modernità ha quindi un movente politico ben preciso.

  • Anacronista 22 Dicembre 2014

    Esattamente così! Per inciso, quanti vogliono conciliare la teoria dell’evoluzione con la religione probabilmente non sanno di cosa parlano: l’evoluzione afferma che tutto è frutto del caso, quindi ovviamente incompatibile con un progetto superiore.
    Umberto Bartocci, nel suo libro “Una rotta templare alle origini del mondo moderno”, evidenzia bene come fin dai suoi esordi rinascimentali lo scientismo fosse mosso, più che da considerazioni oggettive, dal desiderio di sovvertire l’ordine sociale esistente. La modernità ha quindi un movente politico ben preciso.

  • Loredana Cantarella 26 Marzo 2020

    ma un riassunto

  • Loredana Cantarella 26 Marzo 2020

    ma un riassunto

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