La nostra forma di Governo, delineata dalla Parte II della Costituzione repubblicana vigente, è una repubblica parlamentare a “debole razionalizzazione”, ove è centrale il ruolo del Parlamento che accorda la fiducia al Governo ai sensi dell’art. 94 del Testo fondamentale, oltre che a svolgere una funzione ispettiva e di controllo sul suo operato.
Il decreto legislativo delegato 02 gennaio 2018, n. 1 (Codice della Protezione civile), come modificato dal d. lgs. 06 febbraio 2020, n. 4, stabilisce che la dichiarazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale (ex art. 24 d. lgs. n. 1/2018) avvenga con deliberazione del Consiglio dei Ministri da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale senza alcun controllo preventivo di legittimità (resta possibile unicamente quello successivo in sede giurisdizionale).
È certamente vero che, da un lato, il nostro ordinamento costituzionale non ha costituzionalizzato lo stato di emergenza (per scelta dell’Assemblea Costituente visto il precedente dell’art. 48 della Costituzione di Weimar del 1919, ossia per il pericolo di derive autoritarie), disciplinando solo lo stato di guerra nell’art. 78, ma è anche vero, dall’altro lato, che l’esclusione dei due rami del Parlamento potrebbe suscitare profili di presunta illegittimità costituzionale in relazione al modello di forma di Governo accolta dai costituenti. Ricordo che il Codice della Protezione civile è stato adottato dal Governo Gentiloni, sostenuto da una maggioranza parlamentare di centro-sinistra, in esecuzione della legge di delegazione 16 marzo 2017, n. 30.
Prof. Daniele Trabucco (Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato e Dottrina dello Stato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera) – Centro Studi superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche “Erich Fromm”) e Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico.
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