8 Ottobre 2024
Cultura & Società

Colpevole di analogico – Lorenzo Merlo

La parabola del progresso. Quella nascosta.

 

La cultura del progresso ci ha portati qui. Progresso materiale. Il cui culmine è nell’accumulo e nell’apparire. Ma non nel semplice avere. O meglio, lo è nella misura in cui il suo primo significato sta nella separazione dall’essere. Il progresso ci ha portati a separarci dall’ente originario, dalla filosofia della natura e dall’essere infinito che siamo. Nessuno si sente latore della vita. Tutti se ne sentono proprietari.

 

“Non siamo esseri umani che vivono un’esperienza spirituale.

Siamo esseri spirituali che vivono un’esperienza umana” (1).

 

L’Uno è perito da Cartesio e Newton, che hanno ridotto il tutto a materia. Ai due scienziati ha fatto seguito l’industrializzazione, che ha celebrato la replicabilità materiale, ora anche modello spirituale. Infine l’ordoliberismo, che ha santificato l’individualismo e con esso, il senso della comunità.

Siamo in balia. L’abisso esistenziale è a un passo. Bulimia, abuso di farmaci, dipendenze, crescenti malattie degenerative, sempre più diffusi inconsulti atti familiari, psicopatologie e stragi di compagni di scuola lo raccontano. La disgregazione valoriale è compiuta, liquefatta: lo stemma dell’utero in affitto è sulla bandiera del cosiddetto transumanesimo.

Non c’è più nessun legame con il mistero della vita, con la sua dimensione spirituale, con la sua potenza creatrice e risanatrice. E anche nessun legame con ciò che siamo, al di là di ciò che appariamo. Il sé è sparito d’intorno. L’io lo ha coperto di opulenza e di gran pavesi di feste effimere.

Che altro sono sennò tutti i valori che ci permettono, o meglio impongono, il diritto commerciale di sopraffare l’altro, secondo la sola legge del mercato da rispettare per – ci dicono – una vita dignitosa?

 

La cultura del progresso, il suo scientismo ontologico, la sua idolatria nella tecnologia, il disinteresse per le dimensioni che esulano dal suo positivismo – in forma di ghigliottina per l’esubero umano che l’automatizzazione comporta e che la digitalizzazione prevede – ci ha portati qui.

Qui, a consumare una vita non più spesa per la bellezza di vivere, ma per i crediti. Il cui accumulo permetterà di sentirsi e venire considerati sopra chi li ha colpevolmente bruciati. La cui perdita ci ridurrà le libertà, secondo la sola logica del controllo.

 

“[…] the non-elite masses will be reduced to the level and behavior of controlled animals with no will of their own and easily regimented and controlled”.

[[Nda, “[…] le masse non elitarie verranno ridotte al rango di animali controllati senza volontà propria e facilmente amministrabili e manovrabili”]] (2).

 

Qui, dove la disoccupazione è pianificata e voluta, affinché il sussidio in forma di bromurico ricatto possa mantenere in vita chi ancora non si può apertamente eliminare e, soprattutto, tenere sotto controllo, nonché impiegare come esempio e strumento educativo.

Una fascia crescente di popolo si adeguerà di buon grado a sottoscrivere un contratto di vita a punti, secondo il quale, a mezzo di una tessera, guadagnerà bonus e sarà punita con il plauso fraterno per le mancanze commesse – infrazioni al REGOLAMENTO DELL’ESISTENZA –, in quanto tutta la fascia ne pagherà le conseguenze.

Una tessera che sarà fatta passare e promossa come comunitaria, attraverso la quale, “finalmente” ­– ci diranno –, le singole persone e il bene comune saranno un solo corpo. I delatori, senza alcun senso di colpa forniranno preziose informazioni ai distributori delle tessere, con la soddisfazione – la sola – di guadagnare punti da spendere in futilità rese preziose, come un vinile dei Beatles nella DDR.

 

“Grazie ai segnali digitali che monitorano e tracciano le attività quotidiane di una persona, l’azienda impara a gestire una tabella di rinforzi: ricompense, riconoscimenti, o complimenti che mettono in atto in modo affidabile determinati comportamenti dell’utente, selezionati dall’azienda per controllarlo” (4).

 

I manovratori della cultura del progresso si danno da fare. Sanno che la generazione che conta sarà quella che verrà. Gli altri, quelli già qui, non sono che carburante di un rodaggio necessario affinché i nascituri – ovvero coloro che ancora non hanno messo a fuoco cosa significhi essere colpevoli di analogico – passino dalla vagina direttamente al mondo confezionato a misura di chi se ne è impossessato, di chi ha il potere di acquistare stati, politiche e leggi. Di chi può fare di ogni individuo vergine un soldato idoneo a difenderlo.

Non a caso la scuola, prima tralasciata, poi resa tecnica, ora è cullata dai generatori del pensiero unico necessario. Ma anche dai loro complici, gli individui allevati a misura dell’ordoliberalismo, educati a non creare problemi, a ritenersi soddisfatti di quanto sarà loro dato, “in cambio di poco”, ci diranno. E lo faranno elargendo il vantaggio del lavoro da remoto, nascondendo la definitiva precarietà e la lotta al ribasso dei compensi e la pervasiva penetrazione del sistema nei nostri pensieri.

 

“Straordinario. Straordinario tutto, ma in particolare laddove si dice che il vuoto pneumatico, lo spazio ormai totalmente sterilizzato, smaterializzato e devitalizzato, favorirebbe «l’interazione sociale tra studenti e docenti». Capolavoro di bipensiero” (3).

 

Oltre alla detenzione della comunicazione, per la quale l’informazione si è fatta zerbino, e a quella del su domanda, superba fonte per comprendere il pensiero e il sentimento delle persone, la digitalizzazione è in grado di creare nei divanisti i loro complici migliori. Quelli che radunati danno vita al branco. Un essere capace di mandare a morte chiunque abbia scelto di non farsi iniettare nulla, di delegare la proprietà del proprio corpo. Branco, sinonimo di massa critica. Quell’entità acefala e tsunamica, che nessuna nicchia di apoti – come direbbe un convinto prodiano di mia conoscenza – è in grado di deviare.

Ma non è tutto. Vi sono anche i dispositivi individuali e i cosiddetti social. Con questi, la maglia della rete formativa – o deformativa? – diviene capillare dentro e metanebulizzata fuori. Questa è a misura di ogni possessore/utente tanto del generico internet, quanto degli specializzati canali virtuali. La fuga dal metamondo non solo diviene impossibile. Essa non è desiderata, perché il metamondo ha preso posto dove c’era il mondo.

Il capitalismo della sorveglianza ha capito da molto tempo dove avrebbe dovuto andare a parare se non voleva soccombere sotto varie frane socio-economiche e anche geopolitiche. La sua Agenda 2030, il suo Great Reset, il suo fremere digitalizzatorio, i suoi esperimenti pandemici, il suo terrore demografico, la sua promozione insettivora, il suo farsi carico del problema ambientale, la sua campagna di attribuzione di responsabilità a tutti noi per i danni commessi da loro, sono solo alcuni sintomi conclamati del progetto progressista il cui culmine è il controllo sempre più raffinato, consensualmente informato e condiviso. Voluto, per essere precisi.

 

“In questa fase dell’evoluzione del capitalismo della sorveglianza, i mezzi di produzione sono subordinati a ‘mezzi di modifica del comportamento’” (4).

“I capitalisti della sorveglianza sanno tutto di noi, mentre per noi è impossibile sapere quello che fanno. Accumulano un’infinità di nuove conoscenze da noi, ma non per noi. Predicono il nostro futuro perché qualcun altro ci guadagni, ma non noi” (4).

 

La logica del capitalismo della sorveglianza è imperativa. La impongono i potentati economici del pianeta. È la logica della sopravvivenza, quella dove è in gioco tutto, perfino l’onore atlantico. Perdere lo scontro sarebbe esiziale, sarebbe finire nella brace cinese&soci Brics (5). Un’eventualità che il destino manifesto, per ontologia e antonomasia, da un lato non si può permettere di ipotizzare, dall’altro obbliga a qualunque machiavellica strategia per eluderlo. Servisse, anche una guerra per interposto stato.

Quei poteri sanno e quel timore impone loro che, a questo punto del progresso, il controllo individuale è necessario e va raffinato.

 

“Le tecniche convenzionali di soft-power non sono più sufficienti, occorre una guerra cognitiva, cioè relativa alla mente” (6).

 

“La NATO vorrebbe confondere i potenziali oppositori nel modo più completo possibile per ‘dettare’ il loro comportamento” (6).

 

Algoritmi di generazione progressivamente più raffinata forniranno informazioni via via più funzionali, affinché ogni utente si attenga al regolamento della vita, per la produzione, la disponibilità, il tempo libero, la procreazione, ma non per il cibo. Nonostante con la digitalizzazione si possa fare tutto, non saranno diffuse le informazioni per mantenere la salute, per evitare l’indebolimento del sistema immunitario. Anzi, c’è da scommetterci.

Le nanotecnologie iniettate, imposte in pillole o in esse nascoste per aiutarci a monitorare la salute, saranno invece utili per controllare il comportamento e valutarlo in funzione del mantenimento del sussidio o della sua riduzione. Ma anche per eliminare fisicamente dalla faccia della terra le già definite persone che non contano niente. Il progresso lo richiede. Se la nanotecnologia permetterà di controllare il comportamento delle persone, le medicine ne controlleranno lo stato di salute/malattia e ne potranno decretare la morte.

“[…] l’utilizzo strumentale della politica (una sorta di vera e propria criptopolitica), così magistralmente descritto dal politico e premio Nobel per la pace Nicholas Murray Butler, per cui il mondo si dividerebbe in tre categorie: ‘un piccolissimo numero di persone che fanno produrre gli avvenimenti, un gruppo un po’ più importante che veglia sulla loro esecuzione e assiste al loro compimento e una vasta maggioranza che giammai saprà ciò che in realtà è accaduto’”. (7).

La tessera a punti, il criterio Cfp, quello dei Crediti formativi professionali e il Cfu, scolastico-universitario, sono dunque già nel metabolismo in corso, in funzione dell’anno Zero. Momento che cadrà nel 2030, in cui la Quarta Rivoluzione Industriale entrerà ufficialmente in vigore e con essa il nuovo regolamento del mondo e della vita. Del passato, gettato via con l’acqua sporca, se ne occuperanno soltanto i fascisti, come i fautori progressisti del Nuovo ordine mondiale chiamano chi la pensa diversamente da loro.

La tessera a punti sarà integrata al nostro corpo, ormai loro e smart. Non si potrà essere proprietari di un’auto analogica. A chi verrà colto ad usare un telefono non aggiornato saranno sottratti punti e libertà. Perché sarà un reato penale. Una volta di più l’uomo avrà compresso l’infinito che siamo entro le sue regole, le sue leggi suoi giochi. Una volta di più il legame con ciò che ci ha generato sarà andato perduto in favore del progresso.

La concezione analogica del mondo, nel bene e nel male, ci permetteva di relazionarci a qualunque momento della storia e del mondo. Ci permetteva di intendere anche una guerra per una calunniosa provetta di antrace o la distruzione di Hiroshima e Nagasaki. Ci permetteva di sentire la trascendenza. Perfino l’esportazione della democrazia aveva il necessario per riconoscerne la legittimazione.

Quella digitale ci strappa e separa dall’origine profonda dei nostri pensieri. Ci impedisce di relazionarci al mondo reale. Ci taglia le radici e ci rompe la bussola secondo natura.

 

  • Hai mai contemplato la perfezione funzionale di un pesce, di un felino, di un uccello?
  • No
  • Hai mai ascoltato il respiro della terra?
  • No
  • Sei mai stato rapito da una poesia?
  • Ho studiato materie tecniche.

 

Note

  1. Pierre Teilhard de Chardin, citato in Altea Rosemary, Una lunga scala fino al cielo, Milano, Sperling & Kupfer, 1996.
  2. Coleman John, Conspirators’ Hierarchy: The Story of the Committee of 300, Carson City, Bridger House Publishers, 1992, p. 163.
  3. ricognizioni.it.
  4. Zuboff Shoshana, Il capitalismo della sorveglianza, Bologna, Luiss University Press, 2020, pp. 18, 21, 312-13.
  5. Paesi BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa.
  6. sinistrainrete.info/politica.
  7. Perucchietti Enrica, Marletta Gianluca, Governo Globale. La storia segreta del Nuovo Ordine Mondiale, Cesena, Arianna Editrice, 2017, p. 13.

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