C’era d’aspettarselo, non poteva che essere prevedibile il comportamento femminista che pesa e misura gli omicidi di donne per opera di uomini bianchi, ma non neri, e men che meno islamici, tutti atti di sadismo di genere.
Al di fuori di quanto emergerà dalle indagini in corso e di quale sarà l’entità della punizione inflitta ai nigeriani assassini da parte del giudice – e qui gli italiani che non ci stanno al compromesso polcor, filoimmigrazionista, temono una risoluzione penale piuttosto blanda – sembra proprio che la sventurata Pamela sarà trattata come una donna declassata a vittima comune e non elevata agli onori del femminicidio: categoria elitaria che attiene solo a determinate donne, secondo la vulgata intransigente delle compagne che vogliono la distruzione socio-antropologica del maschio e di tutto il nazifascismo che, secondo il loro strabismo etico-legale, essere virili comporta.
A Macerata, per Pamela, hanno disertato i gruppi progender, le boldriniane, persino l’Anpi che invece ha pensato bene di dedicarsi alle “sparate razziste” di Baglioni sui cori alpini in quei di San Remo, inventandosi, come citeremo a breve, cori ben più razzisti.
A Macerata, per Pamela, hanno ceduto il passo tutte le sinistre e a nulla è valso l’aiuto mediatico nazionale e internazionale scagliatosi contro l’episodio vendicativo del Traini, che voleva, ma non ha potuto ribaltare le sorti elettorali del prossimo 4 marzo.
Non ha funzionato il lasciate in pace Macerata o il parossismo della minimizzazione di un omicidio dai risvolti sempre più inquietanti, emersi dopo la seconda autopsia e, certamente, non è stato possibile convincere i maceratesi e la maggioranza degli italiani, dell’indiscussa bontà della categoria generale rousseauiana del povero buon selvaggio immigrato richiedente asilo, ma sicuramente esperto in chirurgia post mortem.
Altro che solidarietà femminile!
Altro che indignazione!
Pamela è morta due volte: una, per mano della subcultura violenta e retriva d’importazione voluta per legge da chi pensa di avere lo scettro dell’uguaglianza e della libertà selettiva; l’altra, per silenzio assenso delle paladine della giustizia rosa le cui quote salgono in proporzione ai finanziamenti occulti alle coop o alle onlus da parte di Soros e sodali.
E allora, nella graduatoria delle libere, uguali e protette dal sistema che premia alcune a danno di altre, ci sono le signorine che defecano davanti ai banchetti di CasaPound; le giovani urlanti che usano il crocefisso come un fallo, ma lo stesso non farebbero con un’icona di Maometto davanti a una moschea; le serpi che strisciano ai piedi della Palestina per 364 giorni l’anno e il 27 gennaio chiedono giustizia per Israele; le stesse che piangono sui monumenti ai caduti della resistenza rossa e se ne infischiano delle infoibate e che ieri, 10 febbraio, sempre a Macerata, insieme all’Anpi, Emergency, Libera, Fiom, Arci, Rifondazione comunista, Potere al popolo e di alcune associazioni di migranti, hanno cantato: “Ma che belle son le foibe da Trieste in giù”
E giù, sempre più in basso tra le immondizie sociali, dimenticandosi anche di quelle disgraziate che affittano i loro uteri per l’egoismo materno delle italiche, e non solo, radical chic.
Pamela è stata scaricata dalla Guardia Nazionale della violenza sulle donne, come è stata scaricata a pezzi, pigiata in due trolley.
Ecco la vera violenza selettiva sulle donne perpetrata da donne: una mostruosità partorita dalla parità di genere e opportunità.
E allora non sarebbe stato opportuno scendere in piazza veramente libere da pregiudizi morali e da reconditi scopi elettorali?
Quanto vale veramente per voi, vendicative “maschicide” di professione, la vita di una donna che non è rappresentativa delle vostre istanze ideologiche e politiche che aspirano a una “pacifica” guerra arcobaleno tra tutti i sessi possibili e inventati, e all’annientamento del maschio in sostituzione della lotta di classe comunista dalla quale vi siete mosse, e per la quale si eliminavano tutte le donne e tutti gli uomini che non fossero servi del partito e del popolo?
Nessun striscione abbiamo visto nelle piazze con scritto “IO SONO PAMELA”, in quanto, le donne come lei, che si fanno uccidere dalla razza di uomini che state proteggendo senza se e senza ma – perché così vuole l’agenda mondialista che vi paga – sono indifendibili, un errore nel sentiero luminoso del meticciato, una disgrazia politica, uno scacco matto alle infruttuose politiche mangiasoldi pubblici di reintegrazione dei tossicodipendenti e d’integrazione degli immigrati.
Forte Immagine
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