7 Ottobre 2024
Punte di Freccia

Confini e Conflitti…

Carl Schmitt è stato fra i grandi, forse il più grande, giurista della prima metà del XX secolo. Per lunga data, dopo il 1945 e la fine della guerra, le sue opere, il suo stesso nome furono volutamente coperti da una cappa di silenzio, di oblio. La ‘damnatio memoriae’ che colpì tanti di coloro che si trovarono, scelsero la ‘parte sbagliata’. Pur arrivato tardivamente ad aderire al partito nazista (lo dimostra la sua tessera che porta il numero due milioni ed oltre) aveva ottenuto la cattedra di diritto pubblico all’università di Berlino partecipato a riunioni congressi studi con i vertici del partito ed elaborato, in qualità di esperto, le basi, le fondamenta giuridiche  per molte delle leggi del regime nazista. Luciferina la sua scelta e non lo si poteva assolvere nonostante che, già dal 1936, esprimesse il disagio verso  norme e atteggiamenti ufficiali. Solo verso la fine degli anni ’70 vi sarà in Italia – e non solo, va da sé – una riscoperta  una novella attenzione un approfondimento scevro da veti ideologici e tirannie politiche. L’esigenza di cogliere nelle sue ‘categorie del politico’, nella sua analisi lucida e spietata, la possibile risposta alla crisi e al senso stesso della politica delle istituzioni e della classe dirigente. Qui, però, vale solo come premessa.

Mi è venuto a mente ascoltando la presentazione del libro Confini e Conflitti, Eclettica edizioni, di Marco Valle – libro che ho qui davanti a me e che sto leggendo e, suo tramite, ritrovando il gusto perduto per la storia, un’altra storia, dove la stupidità i luoghi comuni la dimenticanza voluta e il fraintendimento frutto dell’ignoranza e della malafede, sono rigorosamente proibiti. Nello specifico là dove Carl Schmitt scrive, Il nodo di Gordio, dialogo a distanza con Ernst Juenger:

‘Il porto non è affatto la porta di una casa, secondo la definizione romana di portus, bensì un’uscita verso il mare’.

(Quando l’Inghilterra comprese che essere una isola equivaleva rendersi simile a una nave a solcare gli oceani e, dominando le acque, conquistare le terre). E il riferimento nasceva perché il giornalista Gian Micalessin, autore dell’introduzione, ricordava alla platea, numerosi i giovani, come egli e l’autore fossero triestini, città che del confine e del mare ha segnato la sua storia e, ciò che più conta, l’animo dei suoi cittadini (dal libro citato Juenger annota ‘non da fiumi, mari o montagne ma da un potere spirituale’ è tracciato ogni confine).

Trieste, città a me cara e a quelli della mia famiglia (mio nonno, interventista, prosciugò capitale e buoni del tesoro nel prestito nazionale per finanziare le fasi belliche; mio padre, a dieci anni nel 1915, era delegato in casa a collocare le bandierine sulla carta geografica del fronte; mio figlio fa parte del Comitato 10 febbraio e si fa carico di portare incontri di parole e musica legati alle terre d’Istria e Dalmazia). Trieste città di confine e, al contempo, città di mare dove coabitano i sentimenti forti dell’italianità – l’irredentismo della Grande Guerra, le ‘mule’ che di nascosto ricamano il tricolore da sventolare all’arrivo del cacciatorpediniere Ardito, i cinquantacinque giorni dell’occupazione delle bande comuniste slave, la foiba di Basovizza a monito della sofferenza e del martirio delle genti italiche, il Territorio libero per circa dieci anni, i ragazzi uccisi dalla polizia al servizio degli inglesi nel novembre ’53 e tanta storia ancora – e il sogno ardito – si osservi come è configurata piazza dell’Unità con un lato aperto a confondere in lontananza mare e cielo – di travalicare quell’orizzonte perché ovunque si navighi sempre a nuove terre si troverà approdo. (Fisicamente sembra quasi realizzarsi quella linea di demarcazione, a difesa e al superamento, quel meridiano zero ove l’età del nichilismo trova il suo massimo compimento e dove già la mente ed il cuore guardano al di là, quell’Oltre la linea, opera epocale, che Ernst Juenger e Martin Heidegger hanno indicato).

confini-e-conflitti

E, nel libro di Marco Valle, trovo – siamo alla fine delle prime cento pagine (l’immagine, però, mi è balzata avanti gli occhi mentre Confini e Conflitti, ignaro, mi attendeva sotto il gazebo della casa editrice) – il nome inevitabile per coloro – e furono più generazioni – che si nutrirono d’avventure pane  burro esotiche terre calzoncini corti e ginocchia sbucciate attraverso la penna inesausta di Emilio Salgari. (Ho ancora copia di alcuni suoi romanzi stampati inizio ‘900, rilegati scarabocchiati le figure ripassate con la matita colorata). E gli occhi rimandano alla memoria lo sceneggiato, seconda metà anni ’70, prodotto dalla Rai per la regia di Sergio Sollima con la musica – ritmo reiterato e incalzante – dei fratelli De Angelis, trasmesso in sei puntate. Scena finale: Sandokan Yanez e pochi fedelissimi navigano in alto mare su una barca di fortuna. La sorte sembra ormai essere loro avversa e donare la vittoria all’odiatissimo Lord James Brooke, ‘il Rajah Bianco di Sarawak’. Ecco che, però, all’orizzonte apparire un centinaio di vele bianche, di piccole imbarcazioni in cui malesi male armati ma animati dalla speranza infusa loro dall’eroe di Mompracem vengono in loro soccorso chiedono di non abbandonare la lotta. Sandokan fa levare alta sul pennone della barca la rossa bandiera con la testa di tigre. ‘Inghilterra, la tigre è ancora viva!’… La speranza, appunto, che mi sembra essere filo sotterraneo e solido di questo libro dove vengono descritti uomini di ieri ed oggi capaci di riscattare tante vicende tragiche e, soprattutto, penose della nostra storia nazionale e non solo. E – non credo sia casuale – fra costoro non figura, non emerge un britannico… (Se l’entroterra triestino ha dovuto fare i conti con i reticolati della Cortina di ferro, con gli aspetti più odiosi e miseri del comunismo, sul mare ha conosciuto l’arroganza e lo strapotere inglese).

E’ il DNA del nostro paese non essere un popolo sovrano, sovente dominato e facilmente prono alle logiche della potenza altrui, manchevole di solidarietà nazionale e della dignità che si necessita (sovente i ‘miti’ che si edificano per  educare le nuove generazioni e consentire a vecchi tromboni di fare passerella, tronfi e sul petto patacche fasulle, le celebrazioni gli anniversari ricorrenti le feste comandate non reggono alla prova dei fatti, ad una ricostruzione documentata e a un sano revisionismo. Dalla guerra ai briganti del generale Cialdini alla guerra civile degli anni 1943 e ’45… Da Custoza, determinata da rivalità e ambizioni fra generali, e Lissa in Adriatico dove, per l’inettitudine dell’ammiraglio Persano,  andarono a fondo navi e marinai, alla ritirata di Caporetto (segretati gli atti del processo ove compariva il nome del generale Badoglio), passando per Adua, fino all’estremo ‘confine’ del tradimento e della viltà e dell’ignavia di quell’ otto di settembre del ’43, ad alcuni di noi noto come ‘ignobil’ secondo  il verso di un inno a noi caro…).

Eppure, proprio in nome della speranza, il libro di Marco Valle non cade nel gioco imbelle e sgradevole della denigrazione  del piagnisteo (‘Uno schianto, non una lagna,/ per costruire la città di Dioce che ha terrazze color delle stelle’, Canto LXXIV da i Pisan Cantos), non fa parte del suo carattere dell’eredità della mente e del cuore. Non è un professore che avverte l’esigenza di commentare per fornire chiavi di lettura ai propri alunni, ignari e disattenti (con il rischio o l’intento di farli cadere nelle trappole ideologiche), è uno scrittore un giornalista – e non è, anche qui, casuale il contributo di Gian Micalassin –, appassionato e coinvolto, ma pur sempre un uomo intellettualmente libero e onesto che descrive propone dispiega su una ideale carta storico-geografica (geopolitica?) … i versi di Charles Baudelaire, gli ultimi versi tratti dalla poesia Il viaggio ‘lo sguardo fisso al largo, il vento nei capelli’. Ne abbiamo fatta di strada, infranto muri scardinato porte e accettato sempre e ovunque la sfida di nuovi orizzonti. Forse più che viaggiatori, viandanti come insegnava Nietzsche, ma portando nello zaino una identità che non si smerciava sotto alcun porticato o mercato, che, senza vane metafore e metanoie, ci preservava lo stupore del fanciullo, quello stupore che per Platone è di origine divina… Quel medesimo stupore che vorremmo cogliere nello sguardo dei giovani d’oggi.

Confini e Conflitti, un libro da leggere per capire tanto del passato e del presente ed anche, per noi ormai dai capelli bianchi, ritrovare nelle pagine, ad esempio, de ‘i centurioni perduti d’Algeria’ oppure là dove scrive di Jean Schramme, la ventura del leopardo bianco’,  quelli che furono uomini ideali vicende che ci formarono, di cui conoscemmo spesso alcuni dei protagonisti, e che, pur lontani nel tempo e dalla nostra riflessione, non abbandoniamo alla stupida e vile dimenticanza. Siamo riusciti ad evitare che il deserto ci crescesse dentro… (E voglio ricordare l’amico Girolamo Simonetti con cui andai ad iscrivermi alla Giovane Italia, 15 ottobre 1960, che se ne andò mercenario in Congo con nel sacco ‘solo una bottiglia e un oncia di tabacco’ e che decise di andare, solitario e fiero, incontro alla morte ‘ad occhi aperti’ in terra d’Argentina).     Un piccolo aneddoto personale con l’autore del libro.

Seconda metà anni ‘80 , corso Garibaldi, Milano, afosa sera d’estate. Marco Gian ed io siamo ospiti a cena, birra e panini, al pub 1888 di Pietro Valpreda. Gli avventori, rigorosamente tutti di sinistra, sgranano  gli occhi si fanno attenti e curiosi quando ci riconoscono si stupiscono che noi si sia là, al medesimo tavolo di Pietro a sfotterci magari ma liberi di guardarci negli occhi e di ridere da uomini consapevoli e seri. Questo è per me lo stupendo modo di essere ‘anarco-fascisti’… In ogni caso, pur nel minimalismo dell’episodio, s’è trasmutato un ‘confine’ e un ‘conflitto’ nel valore di un incontro.

Mario M. Merlino

8 Comments

  • Giorgio Andretta 22 Settembre 2014

    Sig. Merlino,
    lei scrive: “E’ il DNA del nostro paese non essere un popolo sovrano, sovente dominato e facilmente prono alle logiche della potenza altrui, manchevole di solidarietà nazionale e della dignità che si necessita…”.
    Sono nato nel suolo definito italico ma non m’identifico con il “popolo” che ne prende il nome perché mi ritengo individuo, prova ne sia che mi riconosco nell’anarchismo sincretico.
    Se fosse così gentile da indicarmi una guerra promossa da un anarchico e non da un popolo gliene sarei eternamente grato.

    Più sotto continua a scrivere:”….al pub 1888 di Pietro Valpreda. Gli avventori, rigorosamente tutti di sinistra, sgranano gli occhi si fanno attenti e curiosi quando ci riconoscono si stupiscono che noi si sia là, al medesimo tavolo di Pietro a sfotterci magari ma liberi di guardarci negli occhi e di ridere da uomini consapevoli e seri.”
    Gli anarchici aborrano oltre che il comunismo il fascismo e la democrazia e comunque tutto ciò che può rifarsi ad una collettività.
    Quando si trattano certi argomenti-leggi anarchia-si ha l’obbligo di averne un minimo di conoscenza.
    Tanto le dovevo.

    • Mario Michele Merlino 22 Settembre 2014

      Intanto grazie per la sua precisazione e per aver trovato comunque significativo il mio articolo tanto di sentirsi in obbligo d’intervenire… che lei sia anarchico ‘sincretico’(?) – perdoni l’ignoranza mia del suo significato – nulla toglie a quanto da me scritto. ognuno nasce da qualche parte e di quel suolo della sua storia lingua e costumi ne fa l’uso che crede… (filippo corridoni era in carcere per manifestazioni antimilitariste quando i suoi compagni decidono per l’intervento e parte volontario per farsi ammazzare sotto monte san michele…). so bene che nessun anarchico promuove la guerra perchè nessun anarchico esercita il potere per promuoverla, sarebbe contraddizione in sè, credo che si possa entrambi convenire. in quanto all’incontro con pietro non era la subdola arte dello scrittore per trascinare qualcuno là dove egli non intende andare (valpreda mi fu amico ma ognuno di noi conosceva dell’altro le differenze). comunismo fascismo democrazia qui non c’entrano niente e, mi perdoni, neppure l’anarchia. trovo solo ‘inelegante’ e un po’ biliosa l’ultima sua frase oltre tutto fuori dal contesto dell’articolo. forse la mia conoscenza dell’anarchia sarà mediocre e scorretto il mio definirmi ‘anarco-fascista’… forse o forse è lei che s’è incatenato ad un personalissimo patibolo d’ombre. tanto non le dovevo, ma mi andava rispondere…

      • Giorgio Andretta 22 Settembre 2014

        Ricevo il suo “patibolo d’ombre” e ciò mi assimila al suo anarco-fascismo, non per polemica ma per semantica.
        In quale altro modo potremmo comunicare oltre avvalersi di lemmi?
        Se lo ritiene opportuno l’alternativa è la telepatia.
        Se da se stessi non ci si fa riconoscere comunque gli altri ti appiccicano un’etichetta e questa sede ne è capofila, onde agevolare il prossimo e spianarli la strada faccio da solo, soprattutto per facilità espressiva.

        Ossequi.

  • Giorgio Andretta 22 Settembre 2014

    Sig. Merlino,
    lei scrive: “E’ il DNA del nostro paese non essere un popolo sovrano, sovente dominato e facilmente prono alle logiche della potenza altrui, manchevole di solidarietà nazionale e della dignità che si necessita…”.
    Sono nato nel suolo definito italico ma non m’identifico con il “popolo” che ne prende il nome perché mi ritengo individuo, prova ne sia che mi riconosco nell’anarchismo sincretico.
    Se fosse così gentile da indicarmi una guerra promossa da un anarchico e non da un popolo gliene sarei eternamente grato.

    Più sotto continua a scrivere:”….al pub 1888 di Pietro Valpreda. Gli avventori, rigorosamente tutti di sinistra, sgranano gli occhi si fanno attenti e curiosi quando ci riconoscono si stupiscono che noi si sia là, al medesimo tavolo di Pietro a sfotterci magari ma liberi di guardarci negli occhi e di ridere da uomini consapevoli e seri.”
    Gli anarchici aborrano oltre che il comunismo il fascismo e la democrazia e comunque tutto ciò che può rifarsi ad una collettività.
    Quando si trattano certi argomenti-leggi anarchia-si ha l’obbligo di averne un minimo di conoscenza.
    Tanto le dovevo.

    • Mario Michele Merlino 22 Settembre 2014

      Intanto grazie per la sua precisazione e per aver trovato comunque significativo il mio articolo tanto di sentirsi in obbligo d’intervenire… che lei sia anarchico ‘sincretico’(?) – perdoni l’ignoranza mia del suo significato – nulla toglie a quanto da me scritto. ognuno nasce da qualche parte e di quel suolo della sua storia lingua e costumi ne fa l’uso che crede… (filippo corridoni era in carcere per manifestazioni antimilitariste quando i suoi compagni decidono per l’intervento e parte volontario per farsi ammazzare sotto monte san michele…). so bene che nessun anarchico promuove la guerra perchè nessun anarchico esercita il potere per promuoverla, sarebbe contraddizione in sè, credo che si possa entrambi convenire. in quanto all’incontro con pietro non era la subdola arte dello scrittore per trascinare qualcuno là dove egli non intende andare (valpreda mi fu amico ma ognuno di noi conosceva dell’altro le differenze). comunismo fascismo democrazia qui non c’entrano niente e, mi perdoni, neppure l’anarchia. trovo solo ‘inelegante’ e un po’ biliosa l’ultima sua frase oltre tutto fuori dal contesto dell’articolo. forse la mia conoscenza dell’anarchia sarà mediocre e scorretto il mio definirmi ‘anarco-fascista’… forse o forse è lei che s’è incatenato ad un personalissimo patibolo d’ombre. tanto non le dovevo, ma mi andava rispondere…

      • Giorgio Andretta 22 Settembre 2014

        Ricevo il suo “patibolo d’ombre” e ciò mi assimila al suo anarco-fascismo, non per polemica ma per semantica.
        In quale altro modo potremmo comunicare oltre avvalersi di lemmi?
        Se lo ritiene opportuno l’alternativa è la telepatia.
        Se da se stessi non ci si fa riconoscere comunque gli altri ti appiccicano un’etichetta e questa sede ne è capofila, onde agevolare il prossimo e spianarli la strada faccio da solo, soprattutto per facilità espressiva.

        Ossequi.

  • Maurizio 8 Novembre 2014

    Il termini anarco-fascismo non è affatto improprio. Visto che numerosi intellettuali Fascisti vennero dall’area anarchica. Uno su tutti Berto Ricci. Senza mai rinnegarla. Mussolini in primis, che non mi risulta abbia mai minimizzato l’influenza di Bakunin o Stirner sul proprio pensiero..e gli anarchici combatterono. Ad esempio, in Spagna. Anche se, poi, finirono più per lo spararsi addosso con i bolscevichi che non con i Fascisti e i Nazional-Socialisti. Giuseppe Parlato, nel suo ottimo libro sulla sinistra Fascista, ben spiega, anche durante il Ventennio, l’ottimo rapporto tra i sindacalisti rivoluzionari che aderirono al Fascismo e gli ambienti anarchici e repubblicani spagnoli. Rapporto che fu minato soltanto dal conflitto appunto di Spagna. Quindi, nella dimensione “lessicale” del Signor Merlino non vi è nulla di improprio..

  • Maurizio 8 Novembre 2014

    Il termini anarco-fascismo non è affatto improprio. Visto che numerosi intellettuali Fascisti vennero dall’area anarchica. Uno su tutti Berto Ricci. Senza mai rinnegarla. Mussolini in primis, che non mi risulta abbia mai minimizzato l’influenza di Bakunin o Stirner sul proprio pensiero..e gli anarchici combatterono. Ad esempio, in Spagna. Anche se, poi, finirono più per lo spararsi addosso con i bolscevichi che non con i Fascisti e i Nazional-Socialisti. Giuseppe Parlato, nel suo ottimo libro sulla sinistra Fascista, ben spiega, anche durante il Ventennio, l’ottimo rapporto tra i sindacalisti rivoluzionari che aderirono al Fascismo e gli ambienti anarchici e repubblicani spagnoli. Rapporto che fu minato soltanto dal conflitto appunto di Spagna. Quindi, nella dimensione “lessicale” del Signor Merlino non vi è nulla di improprio..

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