“Tutto mi è lecito. Ma non tutto giova”.
È ormai opinione diffusa che la relazione sessuale tra uomo e donna sia storicamente inficiata da vecchi modelli patriarcali, morbosi e violenti, che spesso sfociano in abusi, stupri e femminicidi. A tale cupo scenario si contrappone il più moderno idillio omosessuale, in cui prevalgono invece l’amore, il rispetto, la delicatezza. Anche la tradizionale famiglia, ricettacolo di ogni infamia, lascia perciò il passo a unioni arcobalenate, che si spera guidino la nostra società verso forme più civili e pacifiche di intima convivenza.
Tuttavia, remore di carattere morale e religioso ancora allignano in alcuni ambienti. Così, nel 2021 l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (ex Santa Inquisizione, ex Sant’Uffizio) pubblicò un Responsum al fine di dirimere una spinosa questione: è lecito benedire unioni omosessuali? Il Magistero, varie ragioni dottrinali e liturgiche, sembravano concludere per l’inammissibilità di una tale concessione.
Ma le dispute teologiche hanno talvolta carattere freddo, burocratico e notarile. Così, l’attuale prefetto del Dicastero per la dottrina della fede (ultimo nome della veneranda Inquisizione), assecondando la visione di un pontificato progressista, incline alle calorose ‘aperture’ e alle tenerezze ‘pastorali’, vorrebbe concedere, in materia di tolleranza sessuale, una maggior elasticità. Prevedo dunque che le maglie della morale cattolica dovranno allargarsi per lasciar passare le nuove tendenze culturali.
Dal canto loro, i Valdesi e alcune Chiese protestanti, abbattendo inveterati pregiudizi a colpi di comprensione, accoglienza, inclusione ecc., già da qualche tempo han vinto perplessità dottrinali e scrupoli liturgici, benedicendo le unioni gay. Non importa come la sessualità si esplichi e con chi, basta che vi sia l’amore. “All you need is love”, come è scritto nel Vangelo secondo i Beatles.
Ciò che giustifica anche religiosamente le coppie omosessuali, è il loro impegno a stringere relazioni d’amore durature, il loro “donarsi reciproco”, persino l’intenzione d’avere dei figli (ovviamente con procedure non convenzionali), contribuendo così al buon funzionamento di una società sempre più liquida e aperta, senza contrariare il buon Dio.
Tuttavia, anche una volta considerati i mutati contesti storici, resta difficile conciliare questa apertura con un dettato biblico dove i rapporti omosessuali attirano invettive e maledizioni. «Non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole. Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte: il loro sangue ricadrà su di loro» è scritto nel Levitico.
San Paolo è perentorio: «Dio li ha abbandonati a passioni infami: le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni verso gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini». Anche per Sant’Agostino “i delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli compiuti dai sodomiti, devono essere condannati e puniti ovunque e sempre”. Secondo San Giovanni Crisostomo “non solo le passioni dei sodomiti sono sataniche, ma le loro vite sono diaboliche” ecc.
Tale intransigente severità si regge su una sessualità vista come ordine affettivo e procreativo imposto da Dio. Il cristiano crede che il Signore abbia creato l’uomo maschio e femmina, dando loro l’ordine di esser fruttiveri, di moltiplicarsi. In questo progetto si radicherebbe il senso inalienabile della sessualità, quale si realizza nell’unione fissa e monogamica tra uomo e donna. L’omosessuale contraddice quindi un fondamentale Principio divino.
Vero è che Dio non proibisce ad Adamo ed Eva relazioni omosessuali (con chi?). Solo in seguito, quando il problema si pone concretamente, questo genere di rapporti è colpito da anatema. Per altro, Dio non comanda ad Adamo ed Eva di amarsi. Alla procreazione non serve infatti il concorso dell’affetto o della tenerezza, né il sottoscrivere contratti matrimoniali. E qualcuno sospetta che l’atto sessuale sia in realtà il ‘frutto proibito’ che l’uomo coglie cedendo a una tentazione diabolica.
Forse, prima di cadere nell’inganno, l’uomo poteva riprodursi in altro modo? È innegabile che l’atto carnale, generando nuove esistenze biologiche, mentre promette all’uomo l’immortalità, in realtà lo condanna a una serie infinita di morti e travagli. È atto omicida a priori, in quanto destina l’essere alla morte. Forse per questo trascina con sé oscuri sentimenti di colpa. Così, i Catari non condannavano il piacere sessuale, ma il procreare.
Ma la libertà dell’Eros, l’ordo amoris, mal si conciliano con la libido dominandi che ha sempre caratterizzato la nostra civiltà. Nel tempo la società, attraverso una dottrina religiosa e morale, ha imposto ai comportamenti sessuali una normativa che risponde a esigenze di organizzazione e stabilità sociale più che agli aneliti di felicità della persona.
Nascendo ereditiamo un insieme di regole, costumi, consuetudini, pregiudizi, che stabiliscono i confini tra sessualità ‘giusta’ o ‘sbagliata’, ne definiscono la ‘normalità’, gli scopi ecc. In questo senso Chiesa e Stato han condiviso il compito di assicurare alla comunità un ordine morale, il rispetto di convenzioni e valori, un rigido protocollo sessuale.
Di fatto, le forme ammesse di sessualità erano un tempo solo due, in quanto conformi sia all’utilità sociale che alla volontà di Dio. Tertium non datur. Positivamente, la sessualità si realizzava nell’unione indissolubile e sacramentale di uomo e donna, preferibilmente finalizzata alla procreazione. Negativamente, nell’ascetismo, in un’astinenza totale che il soggetto si impone volontariamente e che sembra deviare le energie della libido verso scopi più alti e spirituali.
Certo, se la castità fosse una prassi comune la specie umana si estinguerebbe. Qualcuno potrebbe perciò pensare che la repressione dell’atto sessuale sia contraria al progetto divino non meno dell’omosessualità o di altre pratiche ‘contro-natura’. Ma nessuno ha mai pensato che la scelta verginale possa diffondersi al punto di minacciare la continuità della specie, e forse per questo si è preferito ignorare la contraddizione.
Ogni altra espressione della sessualità era bandita come ‘depravazione’. Termine ormai anacronistico, cui la Chiesa, in modo più elegante, preferisce oggi ‘atti disordinati’, ma che la scienza considera ormai indifferentemente come ‘variabili naturali della sessualità’. Quindi, cosa ci impedisce di accogliere ciò che un tempo era ‘perverso’ tra le normali consuetudini sessuali?
In fondo, lo Stato ci chiede solo d’essere cittadini onesti, rispettosi delle leggi. E la Chiesa giudica sufficiente che le persone si attengano al comandamento dell’Amore. Soddisfare questi requisiti dovrebbe dunque permettere di legittimare e santificare qualsiasi relazione sessuale, anche con un bambino o con un animale.
Visto che la legge avalla l’opinione scientifica oggi prevalente sulla normalità dei vari orientamenti sessuali, e dato che l’Amore è un concetto meravigliosamente flessibile, il problema è facilmente risolto. E benedire quelle unioni che la nostra cultura giudicava degenerate non dovrebbe scandalizzarci. Tuttavia, è una soluzione superficiale, che elude la domanda essenziale: qual è il significato ultimo della sessualità?
Le risposte dell’endocrinologia, della psicoanalisi o dell’antropologia si limitano a fornire descrizioni della sessualità come si presenta nel corpo, nella psiche, nella società. Ci danno un come senza un perché. Io credo che solo una metafisica del sesso possa produrre una pienezza e una coerenza di senso, indicare un fondamento.
Razionalmente abbiamo stabilito un legame causale tra la sessualità e la vita. Non crediamo siano gli spiriti degli antenati a far nascere i bambini. Ma la sessualità sembra andare oltre la mera funzione riproduttiva, e anche oltre il mero desiderio erotico e il piacere, oltre l’atto genitale, l’orgasmo ecc. Tanto oltre da diventare un oscuro enigma.
La stessa parola – sesso – è d’etimo incerto. Forse derivar da una radice latina, sec, da cui secare (tagliare, separare). Ciò rimanda all’idea di un essere diviso in due, come nel mito platonico. Evidentemente la sessualità implica una differenziazione, ma insieme offre una via di riunificazione dei contrari, in cui l’essere ritrova la sua integrità. Diviene così fondamento di un mistero cosmico, che potremmo definire ‘nuziale’, cui l’uomo ha sempre assegnato carattere di sacralità.
‘Nozze’ viene dal latino ‘nubere’, coprire, velare. Nell’antica Roma la sposa si recava al rito nuziale coperta da un velo che solo il marito poteva sollevare. In quel corpo disvelato l’uomo poteva vedere l’altra metà di sé, il Femminile che lo attendeva per ricostituire un’originaria unità.
Legandosi in vincolo coniugale (cum jugum) gli sposi accettano un comune giogo. La sessualità diviene così una forma di yoga, di disciplina psico-fisica tesa idealmente a ristabilire una unità spirituale. Potremmo dire il sesso una coniugazione. Incarnandosi, il Verbo si coniuga in forme attive, passive o riflessive (ossia maschili, femminili, solitarie), secondo modi, tempi, soggetti diversi. Tuttavia, si tende oggi a coniugare il desiderio indipendentemente da vincoli grammaticali.
Solo cinquant’anni fa era inconcepibile perseguire legalmente chi disapprovava le relazioni omosessuali, transessuali, x-sessuali ecc. È logico quindi prevedere che presto altre attività sessuali un tempo interdette – come pedofilia, zoorastia ecc. – saranno difese dalla Legge in quanto insindacabili manifestazioni dell’istinto sessuale.
Curiosamente, ancora resiste l’idea che la relazione stabile di coppia sia moralmente preferibile al libertinaggio, alla promiscuità, forse per ragioni igieniche più che etiche. Ma nulla vieta che un domani si invochi il diritto di celebrare meta-matrimoni, meta-coniugazioni, unioni sessuali tra soggetti d’ogni genere, passando dal concetto di coppia a quello di agglomerato coniugale.
Ma finora gli stessi omosessuali mostrano di anelare al matrimonio tradizionale, candidamente poggiato su promesse di fedeltà e di amore eterno. Uscito dal limbo della trasgressione, della clandestinità, del vizio, il desiderio che non poteva dire il suo nome aspira oggi a integrarsi in quella normativa psico-socio-economica che è sostanza della famiglia borghese. L’ellegibitismo, con le sue rivendicazioni, chiede in fondo di togliere spazio alla libertà segreta, ribelle e dannata dell’eros, subordinandola a esigenze di inquadramento e di rispetto sociale, trasferendola nel rassicurante sistema della proprietà privata.
Così, anche gli omosessuali considerano un loro diritto avere un contratto matrimoniale, una famiglia, dei figli. Non pensano sia il loro desiderio a essere contro-natura, ma la natura contro di loro, ostacolo ai loro sogni di paternità o di maternità. Devono quindi rivolgersi alla scienza e alla tecnica, alle loro astuzie, per aggirare il ‘genio della specie’ e i pregiudizi di genere della vita.
Ma la sessualità non ha nulla a che vedere con aspirazioni genitoriali. Nell’amplesso cerchiamo il rapimento, l’orgasmo. È forse il succedaneo di estasi mistiche cui un tempo potevamo accedere. Il sesso agita in noi un fondo buio e magmatico, un desiderio bruciante non di riprodursi ma di dilatare o perdere i confini dell’io, mobilitando energie il cui erompere provoca sussulti di beatitudine. V’è nell’atto sessuale una dissoluzione, come nel sonno. In tedesco, infatti, fare l’amore è miteinender schlafen, dormire insieme.
Tuttavia, l’ebbrezza deposita in noi una delusione, come se lasciasse insoddisfatta una fantasia di fusione totale. Superata l’estasi effimera, gli amanti ricadono in un fondamentale senso di estraneità. La sessualità diventa allora lamento o canto di un io che desidera perdersi, estinguersi, di un essere che dalla sua staticità beata è scivolato nel vortice del tempo, e vorrebbe ritornare eterno.
Una caduta l’ha legato alla ruota del divenire, delle continue rinascite, alle esplorazioni beatifiche o dolorose del creato. L’atto sessuale svolgerebbe allora un ruolo paradossale. Da un lato tentativo di uscire dai propri limiti e rientrare nel seno dell’essere, obliando la dualità dei corpi. Dall’altro fatale restaurazione della duplicità in un Noi fragile e disunito, o molteplicità, creazione di nuove esistenze.
In quanto tessitrice di trame cosmiche, la sessualità è incomparabilmente più vasta di una semplice funzione psico-biologica, e trascende le nostre soffocanti considerazioni morali o culturali. Incarna i misteri profondi dell’essere. Impregna ogni cellula, plasma il carattere degli individui, influenza ogni manifestazione creativa dello spirito, l’arte, la religione, la filosofia, la vita politica e sociale, fa danzare l’universo.
Può accendere istinti belluini o nobili passioni, sublimarsi, disincarnarsi. Partendo da pulsioni oscure, dall’utilitarismo della specie, ci conduce attraverso una serie di prove, cadute e purificazioni verso una terra promessa, un amore illuminato. Oltre i deserti dell’egoismo, oltre il desiderio, oltre l’atto fisico, oltre la relazione sentimentale, si fa devozione, sacrificio, premonizione di nozze tra umano e divino.
Shiva e Shakti, Yin e Yang, Mente ed Energia, maschile e femminile. Il sesso rimanda all’unità dei Principi, affermazione di un’integrità che fonda una necessità non solo biologica, affettiva o sociale, ma spirituale. Perciò uscire dalla logica riunificante del sesso è contraddire una fondamentale entelechia.
I connubi tra persone di uno stesso sesso esprimono una negazione o una involuzione di questa logica unitiva secondo la quale il Dio e la Dea, per così dire, si cercano e si completano. Benedire l’unione omosessuale significa chiedere la grazia e la protezione di Dio su ciò che tale unione rappresenta. Ora, nel momento in cui riconosciamo nell’omosessualismo una Weltanschauung che contraddice una necessità metafisica, tale invocazione non è più logicamente ammissibile.
Ma chi resta legato a prospettive profane, dirà che la vita sessuale di ciascuno è questione circoscritta alla sfera di scelte intime e del tutto personali, legate all’affettività e alla libido di ciascuno, affidate solo alla decisione del singolo e al suo inviolabile arbitrio.
Seguendo tale visione nei suoi coerenti sviluppi, arriviamo a vedere in ogni condizione psico-fisiologica un ostacolo all’espressione della nostra libera volontà. Ognuno ha allora il diritto non solo di rifiutare gli orientamenti sessuali, i ruoli di ‘genere’ che la natura, il caso, l’ambiente ecc. gli hanno trasmesso, ma anche di optare per l’identità sessuale che preferisce, considerarsi cioè maschio, femmina o ‘altro’ a suo piacere e secondo i momenti, negando o manipolando la propria struttura biologica e anatomica.
Chiunque ne avesse vaghezza può decidere di trasfigurare il proprio corpo, di diventare padre se è femmina, o madre se è uomo. E se fosse possibile pretenderebbe forse di trapiantarsi il cervello di un altro o di mutarsi in cane, come in Bulgakov il cane diventa umano; di nascere in un altro universo, in un altro tempo, ricusando insomma ogni determinazione che non dipenda dalla sua volontà.
Questo ribellione alla realtà rivela un delirio di potenza e insieme un totale fraintendimento della vita. E non è affatto strano che nasca da una certa cultura progressista, ‘di sinistra’, che pretendeva di forgiare ex novo la società, e ora sogna di ricreare l’uomo facendo tabula rasa della sua natura.
Il punto, secondo me, è che la sessualità non ci è imposta né da un Dio né da una natura esterna o dalla società. Il pregiudizio che accomuna queste posizioni è quello di un io “gettato nel mondo”, costretto a esistere senza il suo consenso. La risposta di questo ‘essere offeso’ alla radicale violenza che ha subìto è un’autodistruzione che neghi il potere dell’Altro e affermi la fondamentale libertà dell’io. Ovviamente è un progetto paradossale, dato che anche per distruggerci dobbiamo sottostare alle condizioni che la natura e l’ambiente ci pongono. Così, anche il suicidio non farebbe che esibire la nostra dipendenza.
C’è, al fondo di tale follia, l’idea di un Io assoluto, sciolto da ogni vincolo, che ubbidisce solo ai propri desideri. È il rovesciamento caricaturale e satanico della libertà di cui ogni anima dispone in quanto manifestazione di una trascendenza. L’uomo non è diverso dallo spirito e dalla natura che confluiscono in lui, dal cosmo che in lui prende forma di essere umano, maschio o femmina.
La sessualità è una scelta che esprimo nel profondo di me al momento del mio concepimento, non una velleità della mia coscienza emotiva o razionale. L’ubbidienza al mio corpo, al mio sesso, è un’espressione del rispetto che ho verso di me e il creato. Ed è un crimine odioso, che espone l’essere umano alle più cupe tragedie, insinuare nei bambini l’idea che possano scegliere il loro sesso, ovvero invalidare la decisione che il loro inconscio ha già preso, dichiarando guerra alla vita stessa.
Di questo il documento del Dicastero per la dottrina della fede non parla. Il problema per ora è l’apertura alle unioni omosessuali. Ma un domani? Il prefetto, Tucho Fernandez (da alcuni maliziosamente ribattezzato Tucho besame mucho) sente il dovere di esprimere vicinanza pastorale a persone la cui unica colpa, pare, è di amarsi. Io ritengo che l’amore non basti a sanare un errore metafisico. C’è un amore che rende ciechi e uno che ci apre gli occhi. Occorre discriminare.
I legami d’amore sono certo possibili anche tra persone dello stesso sesso. Ogni uomo ha in sé, seppure in forma latente, un elemento femminile, ogni donna uno maschile. Ogni relazione è quindi l’intreccio di quattro morfologie sessuali che interagiscono tra loro e possono reciprocamente attrarsi. L’amore è un convergere di modelli estetici, ideali morali e intellettuali, strutture affettive, memorie, in una polifonia complessa, trama di fili che si intrecciano armoniosamente o si ingarbugliano.
L’errore, il disorientamento sessuale, è una possibilità intrinseca alla natura umana, e solo in tal senso è naturale. È un’opzione offerta alla libertà della persona. Ma è anche la conseguenza di una confusione esistenziale di cui è assurdo andare orgogliosi, negandone la natura problematica. Spingere l’omosessuale alla gioiosa accettazione di una sua presunta natura, proporre la deviazione sessuale come via alla realizzazione di sé, impedisce di comprenderne il senso.
Si crea così un’illusione collettiva, e non si vede più quali siano, in campo sociale, i limiti da porre alla cosiddetta ‘libertà sessuale’, affinché non veicoli forze caotiche, distruttive e alienanti. La cultura LGBT non rappresenta in tal senso una forza di liberazione sessuale ma una concezione del mondo profondamente anti-sessuale. È una forma di ‘dodecafonia’ del sesso, rottura di un’armonia naturale e di una necessità metafisica che stanno alle radici della vita.
Parlare di ‘matrimonio omosessuale’ è un’antinomia, una sorta di ossimoro al quadrato, dato che ‘matrimonio’ indica l’ufficio di diventar madre, che è naturalmente impossibile in una coppia sterile a priori, e ‘sessuale’ presuppone una diversità anatomica e biologica, qui contraddetta da un prefisso omo (uguale) che significa proprio il contrario. Né si può chiamare ‘unione sessuale’ una relazione che di fatto tiene separati i generi, o definire ‘coppia’ un’associarsi in cui è assente una copula (fisica, semantica) che leghi il maschile al femminile. Ma la neo-lingua ci ha ormai assuefatto alla manipolazione dei concetti e della realtà.
Oggi la nuova morale sessuale ci ingiunge quindi di accettare i paradossi senza riflettere, fa anzi della discriminazione un crimine. Saper discriminare è invece un’urgenza fondamentale. La nostra mente non deve essere così aperta da non poterla chiudere ogni tanto. Aprirsi alla cultura LGBT, assorbirla nella normalità, non è ‘inclusione’. Al contrario, è legittimare un’ideologia dell’esclusione, cioè tesa a escludere dalla vita, con gesto nichilista, i valori fondanti di un ordine cosmico e metafisico.
Con ciò, non voglio aggregarmi a reazionari e bigotti, a quelli che brandiscono la Bibbia come un martello. A chi trova immondo l’atto sessuale, ma meraviglioso il suo frutto. Né tantomeno a chi trova normale che due uomini si sposino, ma poi si indigna se una donna adulta ha rapporti sessuali con un ragazzo sedicenne. Senza vedere che nel primo caso si fa complice di un disfacimento spirituale, nel secondo di un’ipocrisia e di un meschino pregiudizio sociale.
Sia la società tradizionale che le forze ‘progressiste’ vogliono in fondo la stessa cosa: codificare la sessualità, tradurne in formule stereotipate i contenuti ineffabili, congelare il mistero. Il nostro senso critico va dunque esercitato tanto su una cultura che vuol rigidamente moralizzare o naturalizzare il sesso, quanto su teorie che ne vogliono erodere ogni fondamento morale e naturale.
Tuttavia, non possiamo mettere i due errori su uno stesso piano. Dovessi scegliere, preferirei una tradizione imperfetta, bisognosa di riforme, i cui aspetti repressivi tendono comunque a difendere un principio di realtà, a dottrine che vorrebbero, incantandolo con miraggi di ‘libertà’, precipitare l’uomo nel nulla.
Non pretendo certo di chiarire gli infiniti arcani della sessualità o di poterne misurare le rive oceaniche. Di fronte alla vita l’unico sentimento onesto è per me lo stupore. Tuttavia, non posso acconsentire a certe teodicee del desiderio, per cui qualsiasi pulsione sessuale trova una giustificazione, come fosse rivelazione di una volontà divina.
L’ideologia LGBT è in sostanza una destrutturazione del linguaggio sessuale, arrogante falsificazione di un lessico le cui leggi sono innate in noi ma il cui uso è un’arte da imparare con umiltà e pazienza, riconoscendo i propri errori. Non è il perdersi in un paese dei balocchi dove, nella sfrenata ‘gaiezza’, si dimentica la grammatica dell’esistenza, ma uno studio assiduo del Verbo e delle sue coniugazioni.
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