8 Ottobre 2024
Alchimia

Coniunctio Oppositorum ed Enantiodromia – Balthasar – Confraternita Cavalleresca del V Vangelo

Una delle più antiche metafore della nostra vita psichica la rappresenta come un sistema unitario che si autoregola in base ad un costante bilanciamento di forze e dinamismi opposti che esprimono le diverse istanze in esso presenti. Una condizione di perenne tensione tra elementi diversi è quindi il presupposto energetico necessario affinchè vi sia una vitalità della psiche che, sulla base di processi di sintesi, di compensazione, di equilibrio, si articola poi in più stabili e specifiche configurazioni.  Il pensiero occidentale e quello orientale hanno espresso questo concetto in molteplici vesti: narrativo-mitologiche, esoteriche, religiose, filosofiche, psicologiche, scientifiche. Basti qui ricordare ad esempio la traiettoria filosofica che partendo dal pensiero di Eraclito, secondo cui tutto ciò che esiste si trasforma nel suo opposto (“Ciò che si oppone conviene, dalle cose che differiscono si genera l’armonia più bella e tutte le cose nascono secondo gara e contesa”), perviene all’idealismo hegeliano che poggia sulla famosa triade tesi-antitesi-sintesi.   Oppure, all’altro capo del mondo, la visione filosofica buddista Zen del Tao, che sintetizza magistralmente anche in immagine l’azione reciproca di Yin e Yang (anticamente raffigurati come ‘i due pesci bianco e nero’, due metà uguali con la maggior concentrazione al centro e sul rispettivo lato, in cui in ogni metà è presente

q-2una piccola quantità del rispettivo opposto: nello Yin è presente un po’ di Yang e nello Yang un po’ di Yin, per cui quando lo Yang raggiunge il suo massimo apice inizia inevitabilmente lo Yin, come l’avvicendarsi di giorno e notte).

Ne deriva che qualunque cosa ha un suo opposto in termini comparativi. Nessuna cosa può essere completamente Yin o completamente Yang; essa contiene il seme per il proprio opposto. Avendo radice uno nell’altro essi sono interdipendenti, hanno origine reciproca, l’uno non può esistere senza l’altro, sono quindi complementari, si sostengono a vicenda e sono costantemente mantenuti in equilibrio.   Lo Yin e lo Yang inoltre si trasformano l’uno nell’altro: ad un certo punto, lo Yin può trasformarsi nello Yang e viceversa. Infine, ogni rottura di questa condizione di equilibrio è determinata da uno ‘sbilanciamento’ o ‘eccesso’ dell’uno sull’altro elemento, che finisce per prevaricare e inficiare la stabilità dell’intero sistema (la terapeutica orientale fin dalla antichità è basata essenzialmente su questa logica causale, che attribuisce ogni malattia dell’organismo ad una alterazione patologica dell’equilibrio tra Yin e Yang, che deve quindi essere ripristinato).  La psicologia moderna ha esplicitato a sua volta tale concezione soprattutto attraverso l’opera dei pionieri Sigmund Freud e Carl Gustav Jung, che a partire dall’inizio del secolo scorso hanno messo in luce aspetti fino allora sconosciuti del funzionamento psichico, all’interno di una visione della psiche in quanto sistema autoregolantesi centrato sulla distinzione tra coscienza e inconscio e su dinamismi primari di natura antagonistica e di reciproca compensazione. Jung in particolare ha poi offerto un ampio scenario storico e culturale che facesse da supporto ad una tale concezione della vita psichica, grazie a studi e ricerche transculturali e alla minuziosa opera di recupero e di approfondimento su importanti testi della tradizione ermeticoesoterica e in particolare alchimistica.  La metafora centrale dell’Alchimia, in quanto scienza dell’evoluzione psichica e spirituale dell’uomo, è infatti incentrata sulla conjunctio Solis et Lunae, ovvero del maschile e femminile, cioè l’unione-sintesi dei contrari, realizzando così la conjunctio oppositorum, condizione necessaria che consente il superamento dell’unilateralità della coscienza egoica per realizzare una più ampia esperienza del proprio Sé, inteso questo nei termini di una sintesi unitaria dei diversi e molteplici aspetti consci e inconsci della propria personalità. Ma l’esito favorevole della sintesi dei contrari nella conjunctio non è mai scontata, anzi essa è il risultato di un lungo e difficoltoso processo di elaborazione, vera e propria Opera alchimica, in cui contrapposizioni e conflittualità interne dell’individuo giungono alla possibilità di un superamento grazie ad un allargamento ed arricchimento del campo di coscienza, che può ora contenere aspetti in precedenza negati e rimossi.   Si realizza cioè un’unità superiore al limitato Ego individuale, attraverso l’unione di polarità opposte che sono presenti nella psiche di ogni individuo, come maschile e femminile, razionalità e pulsionalità, pensiero ed eros, conscio e inconscio. Quando invece la vita cosciente è dominata da una eccessiva unilateralità, quando cioè l’individuo si identifica in modo quasi esclusivo col proprio Ego, viene a determinarsi col tempo una contrapposizione inconscia altrettanto forte, che si manifesta dapprima con un’inibizione delle prestazioni della coscienza e in seguito con una perturbazione più o meno grave dell’indirizzo cosciente.q-3

E’ il fenomeno psichico che Jung – riprendendo un concetto già presente nella filosofia eraclitea – definisce come ‘enantiodromia’ (dal greco antico εναντιοδροµία, composto di enantios, opposto e dromos, corsa), che si traduce letteralmente con ‘corsa nell’opposto’. Questa ‘legge di natura’ sembra essere un principio universale anche della psiche umana, sia a livello individuale che collettivo e si manifesta sempre laddove si verifichi uno sviluppo unilaterale di uno o più aspetti sul piano cosciente, ciò che mette in moto un movimento opposto sul piano inconscio, in base ad una legge di compensazione e di riequilibrio che, com’è noto, è una caratteristica intrinseca del sistema ecologico e di tutti i sistemi biologici ad esso connessi.   In altre parole, quando un’istanza psichica viene troppo compressa o eccessivamente ridotta a scapito di qualcun’altra, essa non scompare ma finisce nell’inconscio e in tal modo accumula una sempre maggiore energia, per cui ad un certo punto si assiste ad una prevaricazione più o meno violenta di tale istanza sul resto della psiche e si opera una vera e propria rivoluzione sistemica rispetto ai precedenti orientamenti coscienti.  In conclusione, quindi, mentre l’enantiodromia sembra esprimere una difficoltà, o impossibilità in taluni casi, di ampliare la propria esperienza e adattarla ad una più fluida e creativa visione psicologica della realtà, la conjunctio oppositorum deriva da un progressivo allargamento del proprio campo di coscienza grazie al confronto con aspetti rimossi e inconsci.   Poiché ciò è conseguenza anche di un implicito superamento di precedenti visioni e modalità esistentive limitate che appartengono al passato, un tale processo determina anche la morte della precedente identità e la rinascita del nuovo individuo, la cui personalità ora trascende l’Ego e rende possibile la compresenza ricca di nuove potenzialità di aspetti psichici fino a quel momento in inconciliabile reciproca opposizione.

Balthasar – Confraternita Cavalleresca del V Vangelo

4 Comments

  • Antonio 23 Ottobre 2016

    Questo autore dice delle ottime e buone cose, ma qua e là sono presenti delle ambiguità che forse sarebbe meglio precisare. Si dice: “Qualunque cosa ha un suo opposto in termini comparativi”. Questo è senz’altro vero e l’impostazione è giusta e lo stesso dicasi per quel: “Yin e Yang sono complementari che si sostengono a vicenda e si mantengono in equilibrio”. Però gli opposti complementari non sono antagonisti né reattivi tra di loro, mentre i contrari dialettici lo sono sempre; è sempre doverosa la distinzione tra opposti complementari e contrari dialettici. Si dice: “Nessuna cosa può essere completamente Yin o completamente Yang”; questo vale principalmente per le cose manifestate, che hanno una natura composita, ma ci si chiede se questo può valere anche per le prime essenze differenziate. “Yin e Yang hanno un’origine reciproca, avendo radice uno nell’altro, sono interdipendenti e l’uno non può esistere senza l’altro”. Qui c’è più di un’ambiguità, perché si dà l’impressione che sia stato lo Yin a partorire lo Yang e che lo Yang abbia partorito lo Yin, mentre entrambi sono in realtà la proiezione di un principio unitario iniziale che sta oltre essi. Il simbolo Yin-Yang vuole anche dirci che questo principio iniziale, essendo unitario e completo in se stesso, non può manifestarsi in forma unilaterale, così come tracciando il diametro di una circonferenza, non si può ottenere solo una semicirconferenza, ma se ne otterranno due. Nell’atto che questo principio iniziale specifica in sé una qualsiasi cosa, mettiamo che sia il bianco, avrà automaticamente specificato anche la natura del nero (specifica in sé la natura degli opposti complementari, mentre i contrari dialettici sono la perversione degli opposti complementari). Non è come te la raccontano certi filosofi dialettici, che sostengono che ogni determinazione posta si contraddice e quindi si tramuta nel suo contrario, ma più semplicemente, il porre quella determinazione può avere senso solo se tu all’inizio sei libero di poter porre qualsiasi altra determinazione possibile, dove, i due opposti, sono i due estremi che contengono tutte queste varie determinazioni.
    Per sapere che cos’è il bianco, non si ha affatto bisogno di circondarlo dal nero, qualsiasi altro colore va bene, marcato o tenue che sia, nero e bianco sono i due estremi che racchiudono tutti questi altri colori, e realizzano il semplice contrasto necessario per manifestare le cose. Che poi il bianco possa tramutarsi in nero e il nero in bianco, questo è un qualcosa di relativo che non cambia affatto la rispettiva natura. All’inizio c’è il bianco e il nero dove il bianco è bianco e il nero è nero; siccome ogni trasmutazione unilaterale si contraddice e quindi è nulla, allora accadrà che qua il bianco si tramuterà in nero e là il nero si tramuterà in bianco, e alla fine ci si ritroverà di nuovo con il nero e con il bianco, dove il nero è nero e il bianco è bianco! Un certo tipo di trasmutazione può avere senso in basso, nelle cose differenziate, nel principio iniziale padrone di tutte le possibilità non ha alcun senso, per ragioni di semplicità e di ordine è nell’interesse di questo principio che ogni cosa sia ciò che sia e rimanga ciò che è, che si traduce nel principio di non contraddizione, ogni cosa per esistere non deve contraddire se stessa.
    I due piccoli cerchi opposti nel massimo bianco e nel massimo nero, vogliono dirci che i due elementi, avendo avuto origine da uno stesso principio unitario, non possono mai essere separati completamente, e anche che la massima estensione dell’uno non riuscirà mai a soffocare o eliminare completamente l’altro.
    La “coniuctio oppositorum” più che altro significa il far combaciare le due semicirconferenze per ricreare una parvenza di unità anche a un livello secondario, poiché il principio unitario iniziale,in funzione della sua trascendenza, non è mai venuto meno, né ha mai perso la sua unità; è quantomeno ingenui pretendere di ricreare questa unità (che non è mai venuta meno) assommando in basso le varie proiezioni differenziate, tanto più che l’elemento qualitativo non è sensibile alle leggi aritmetiche. La “coincidenza degli opposti” in realtà non è degli opposti, ma dei contrari, nel senso che maschio e checca, per esempio, sono caratterizzati da un unico corpo: il maschile, e anche là il protone e l’antiprotone sono accomunati da un unico corpo che nell’un caso è gestito in modo corretto e nell’altro a rovescio. È solo in questo senso che si può dire che i contrari (non gli opposti!) coincidono o sono identici, perché in realtà non esiste alcuna diade ma un solo elemento. Dire invece che gli opposti complementari sono identici o uguali, questa è una brutta e erronea espressione, essi si trovano nella medesima condizione di semicirconferenze e interdipendono fra di loro appunto per questo, ma possiedono una propria natura intima relativamente indipendente. Dipendono solo dal principio iniziale che li ha concepiti, appunto per questo sono indipendenti in essenza ma dipendenti in manifestazione, là dove i filosofi dialettici hanno capovolto il tutto, e li hanno resi dipendenti in essenza e indipendenti in manifestazione. È questo capovolgimento che rende fatale la famosa formula dialettica: “la ragion d’essere di una qualsiasi cosa sta in ciò a cui si contrappone e che la nega”, che equivale a dire che la ragione d’essere di una qualsiasi cosa sta nel suo contrario dialettico che la nega, sta al di fuori di sé e perciò coinciderà col suo contrario. Invece è più giusto dire che la ragion d’essere di una qualsiasi cosa sta nel “volere” di quel principio iniziale che l’ha concepita.
    Per quanto riguarda l’Enantiodromia, essa è la fatale conseguenza del Grande Equilibrio che governa il tutto, che fa si che ogni esagerazione, errore, unilateralismo ecc. finisce per suscitare reazioni compensative opposte.

  • Antonio 23 Ottobre 2016

    Questo autore dice delle ottime e buone cose, ma qua e là sono presenti delle ambiguità che forse sarebbe meglio precisare. Si dice: “Qualunque cosa ha un suo opposto in termini comparativi”. Questo è senz’altro vero e l’impostazione è giusta e lo stesso dicasi per quel: “Yin e Yang sono complementari che si sostengono a vicenda e si mantengono in equilibrio”. Però gli opposti complementari non sono antagonisti né reattivi tra di loro, mentre i contrari dialettici lo sono sempre; è sempre doverosa la distinzione tra opposti complementari e contrari dialettici. Si dice: “Nessuna cosa può essere completamente Yin o completamente Yang”; questo vale principalmente per le cose manifestate, che hanno una natura composita, ma ci si chiede se questo può valere anche per le prime essenze differenziate. “Yin e Yang hanno un’origine reciproca, avendo radice uno nell’altro, sono interdipendenti e l’uno non può esistere senza l’altro”. Qui c’è più di un’ambiguità, perché si dà l’impressione che sia stato lo Yin a partorire lo Yang e che lo Yang abbia partorito lo Yin, mentre entrambi sono in realtà la proiezione di un principio unitario iniziale che sta oltre essi. Il simbolo Yin-Yang vuole anche dirci che questo principio iniziale, essendo unitario e completo in se stesso, non può manifestarsi in forma unilaterale, così come tracciando il diametro di una circonferenza, non si può ottenere solo una semicirconferenza, ma se ne otterranno due. Nell’atto che questo principio iniziale specifica in sé una qualsiasi cosa, mettiamo che sia il bianco, avrà automaticamente specificato anche la natura del nero (specifica in sé la natura degli opposti complementari, mentre i contrari dialettici sono la perversione degli opposti complementari). Non è come te la raccontano certi filosofi dialettici, che sostengono che ogni determinazione posta si contraddice e quindi si tramuta nel suo contrario, ma più semplicemente, il porre quella determinazione può avere senso solo se tu all’inizio sei libero di poter porre qualsiasi altra determinazione possibile, dove, i due opposti, sono i due estremi che contengono tutte queste varie determinazioni.
    Per sapere che cos’è il bianco, non si ha affatto bisogno di circondarlo dal nero, qualsiasi altro colore va bene, marcato o tenue che sia, nero e bianco sono i due estremi che racchiudono tutti questi altri colori, e realizzano il semplice contrasto necessario per manifestare le cose. Che poi il bianco possa tramutarsi in nero e il nero in bianco, questo è un qualcosa di relativo che non cambia affatto la rispettiva natura. All’inizio c’è il bianco e il nero dove il bianco è bianco e il nero è nero; siccome ogni trasmutazione unilaterale si contraddice e quindi è nulla, allora accadrà che qua il bianco si tramuterà in nero e là il nero si tramuterà in bianco, e alla fine ci si ritroverà di nuovo con il nero e con il bianco, dove il nero è nero e il bianco è bianco! Un certo tipo di trasmutazione può avere senso in basso, nelle cose differenziate, nel principio iniziale padrone di tutte le possibilità non ha alcun senso, per ragioni di semplicità e di ordine è nell’interesse di questo principio che ogni cosa sia ciò che sia e rimanga ciò che è, che si traduce nel principio di non contraddizione, ogni cosa per esistere non deve contraddire se stessa.
    I due piccoli cerchi opposti nel massimo bianco e nel massimo nero, vogliono dirci che i due elementi, avendo avuto origine da uno stesso principio unitario, non possono mai essere separati completamente, e anche che la massima estensione dell’uno non riuscirà mai a soffocare o eliminare completamente l’altro.
    La “coniuctio oppositorum” più che altro significa il far combaciare le due semicirconferenze per ricreare una parvenza di unità anche a un livello secondario, poiché il principio unitario iniziale,in funzione della sua trascendenza, non è mai venuto meno, né ha mai perso la sua unità; è quantomeno ingenui pretendere di ricreare questa unità (che non è mai venuta meno) assommando in basso le varie proiezioni differenziate, tanto più che l’elemento qualitativo non è sensibile alle leggi aritmetiche. La “coincidenza degli opposti” in realtà non è degli opposti, ma dei contrari, nel senso che maschio e checca, per esempio, sono caratterizzati da un unico corpo: il maschile, e anche là il protone e l’antiprotone sono accomunati da un unico corpo che nell’un caso è gestito in modo corretto e nell’altro a rovescio. È solo in questo senso che si può dire che i contrari (non gli opposti!) coincidono o sono identici, perché in realtà non esiste alcuna diade ma un solo elemento. Dire invece che gli opposti complementari sono identici o uguali, questa è una brutta e erronea espressione, essi si trovano nella medesima condizione di semicirconferenze e interdipendono fra di loro appunto per questo, ma possiedono una propria natura intima relativamente indipendente. Dipendono solo dal principio iniziale che li ha concepiti, appunto per questo sono indipendenti in essenza ma dipendenti in manifestazione, là dove i filosofi dialettici hanno capovolto il tutto, e li hanno resi dipendenti in essenza e indipendenti in manifestazione. È questo capovolgimento che rende fatale la famosa formula dialettica: “la ragion d’essere di una qualsiasi cosa sta in ciò a cui si contrappone e che la nega”, che equivale a dire che la ragione d’essere di una qualsiasi cosa sta nel suo contrario dialettico che la nega, sta al di fuori di sé e perciò coinciderà col suo contrario. Invece è più giusto dire che la ragion d’essere di una qualsiasi cosa sta nel “volere” di quel principio iniziale che l’ha concepita.
    Per quanto riguarda l’Enantiodromia, essa è la fatale conseguenza del Grande Equilibrio che governa il tutto, che fa si che ogni esagerazione, errore, unilateralismo ecc. finisce per suscitare reazioni compensative opposte.

  • Laura Salvaggio 1 Settembre 2019

    Ogni pensiero è un pensare e fa parte dell’uomo ,la verità e la realtà è troppo lontana.Ogni tentativo e scoperta non è detto che sua il principio di tutto questo,l’uomo tenta e scava ma l’occhio d’oggi è cieco.Sicuramente ci sono due forze che si contrastano ,questo tiene tutto quanto in equilibrio e il centro e il regolatore. L’arbitro è il centro che subisce la forza di spinta interna del centro e ha il compito di bilanciare il contrasto,poi la verità nessuno può saperla ogni uno può pensare a indovinare…ma è solo pensiero…

  • Laura Salvaggio 1 Settembre 2019

    Ogni pensiero è un pensare e fa parte dell’uomo ,la verità e la realtà è troppo lontana.Ogni tentativo e scoperta non è detto che sua il principio di tutto questo,l’uomo tenta e scava ma l’occhio d’oggi è cieco.Sicuramente ci sono due forze che si contrastano ,questo tiene tutto quanto in equilibrio e il centro e il regolatore. L’arbitro è il centro che subisce la forza di spinta interna del centro e ha il compito di bilanciare il contrasto,poi la verità nessuno può saperla ogni uno può pensare a indovinare…ma è solo pensiero…

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