Come avete visto nella quinta parte che ha preceduto il presente articolo, in questo riepilogo e approfondimento del lavoro sin qui svolto sulle pagine di “Ereticamente”, siamo giunti alla parte più propriamente storica. La volta scorsa ho stralciato la parte relativa all’età medioevale, perché le cose da dire a tale proposito sono tante e tali da rendere assai concreto il rischio di far diventare chilometrico un articolo che, come avete potuto constatare, è già stato piuttosto lungo.
Come vi avevo promesso, eccoci dunque ora a esplorare la tanto mal compresa Età di Mezzo, dove le cose non dette o le opinioni espresse per puro pregiudizio ideologico dalla storiografia ufficiale, dal sistema scolastico, dai mezzi divulgativi, sono veramente tante.
Veniamo dunque a parlare dell’epoca medioevale. Questo periodo storico che va dalla caduta dell’impero romano alla scoperta dell’America, copre circa un millennio ed ha attraversato fasi molto differenti. Basterebbe questo per comprendere che la definizione complessiva di secoli bui che gli è stata attribuita, non è che un pregiudizio illuminista. Certamente buia fu l’epoca di caos immediatamente seguente la caduta dell’impero romano occidentale, ma ci vuole una grande ottusità per concepire come interamente buia un’epoca che ha riempito l’Europa di castelli e cattedrali, che ci ha dato la pittura di Giotto, la Divina Commedia e tanti aspetti di quella che è oggi la nostra cultura europea.
Prendiamo qualcosa su cui la storiografia di sinistra si è diffusa in termini addirittura calunniosi, le crociate, viste come espressione dello spirito rapace e conquistatore dell’uomo europeo, che per essa ha sempre torto. Ci si dimentica, o si finge di dimenticarsi di dire che esse, assieme alla reconquista della Penisola iberica e alla liberazione della Sicilia dal dominio islamico ad opera dei Normanni, non furono che una momentanea controffensiva europea in mezzo a due grandi assalti islamici contro il nostro continente, quello arabo califfale e quello ottomano, nell’ambito di un conflitto millenario assai più etnico che non religioso.
Cronologicamente, gli storici distinguono un alto e un basso medioevo, ossia i secoli prima e dopo il fatidico anno mille che divide l’età medievale in due metà quasi esatte. Basso va inteso in senso cronologico, infatti è appunto nel basso medioevo che abbiamo il fiorire della civiltà comunale, l’epoca di Tommaso d’Aquino, di Giotto, di Dante.
Tuttavia, l’articolo che scrissi relativamente a quest’epoca, lo intitolai provocatoriamente Sempre più in basso, con particolare riferimento a quattro fenomeni, la crisi del Sacro Romano Impero con la scomparsa della dinastia Hohenstaufen, la distruzione del regno normanno-svevo di Sicilia, la soppressione dell’ordine templare e la crociata contro gli Albigesi che portò alla distruzione di quella che fin allora era stata la prospera Provenza medioevale. Dietro di essi si vede sempre la mano del cattivo genio della storia italiana ed europea, la Chiesa cattolica, cui veniva ad aggiungersi un altro perfido genio, il regno di Francia.
Il motivo del lungo conflitto tra guelfi e ghibellini appare subito chiaro appena si guardi una carta geografica dell’epoca. Dalle Alpi alla Toscana si estendeva quello che almeno formalmente era il regno d’Italia annesso al Sacro Romano Impero. A meridione il regno normanno-svevo di Sicilia, esteso a quasi metà della Penisola, nel mezzo, come una fetta di formaggio in un toast, lo Stato della Chiesa, cioè i territori che il papato aveva sottratto con l’inganno (è una storia che sarebbe perfino umoristica se non avesse implicazioni tragiche per il nostro divenire storico, lo Stato della Chiesa aveva iniziato a formarsi in età longobarda con la cosiddetta donazione di Sutri, che in effetti una donazione non fu. I longobardi avevano occupato il castello di Sutri che il re longobardo Agilulfo intendeva restituire ai precedenti proprietari. Gli fu fatto credere che era un dominio ecclesiastico, mentre in realtà apparteneva ai Bizantini. Ad essa si era poi aggiunta la ancora più smaccata falsificazione della donazione di Costantino).
Il caso dinastico aveva fatto sì che le corone imperiale e siciliana finissero sulla testa della stessa persona, Federico II, nipote del Barbarossa, e il papato se ne sentiva assediato, era un problema politico e niente affatto religioso.
Per capire certi retroscena, è utile fare un po’ di archeologia linguistica. Si pensi a un’espressione ancora oggi di uso comune, come “i cristiani e le bestie” con il sottinteso esplicito che solo il battesimo rende l’essere umano veramente tale, oppure l’uso che persiste anche in una storiografia che si crede laica e non si accorge di essere tributaria del pensiero clericale più di quanto si immagina, per la quale quello che era un capotribù diventa “re” o addirittura “il primo re” di una popolazione o di una terra che magari i suoi antenati hanno governato per secoli prima dell’atto della conversione. Anche qui, il sottinteso è chiaro, solo con il battesimo l’uomo diventa pienamente uomo e quindi soggetto di diritti, riceve per gentile concessione della Chiesa la proprietà quello che è sempre stato suo, ma la Chiesa si riserva comunque il diritto di conferirla a chi la aggrada, con immensa arroganza. Ad esempio, il papa conferì ai normanni – salvo naturalmente che questi ultimi andassero a conquistarselo – il dominio del regno di Sicilia e le terre dell’Italia meridionale, ma la parte continentale del sud italiano non era come la Sicilia, in mano ai mussulmani, bensì ai bizantini che erano cristiani ortodossi, cosa di cui non fu tenuto conto, a dimostrazione del fatto che essere cristiani non significava credere in Cristo, ma ubbidire al papa.
L’appartenenza alla comunità dei cristiani, e quindi il possesso della piena umanità e la titolarità di ciò che è proprio, e quindi cosa di fondamentale importanza all’epoca, l’obbligo di vassalli e sudditi di rispettare il giuramento di fedeltà feudale, d’altra parte, è una cosa che la Chiesa può sempre revocare mediante la scomunica.
E’ questo aberrante scenario concettuale che dobbiamo tenere presente quando andiamo a considerare le lotte fra papato e impero.
Parlando di quest’epoca storica, non si può non menzionare la figura eccezionale di Federico II, nipote del Barbarossa, imperatore e re di Sicilia in quanto erede per parte materna degli Altavilla, ma soprattutto sovrano illuminato e libero dai gran parte dei pregiudizi del suo tempo, al punto da meravigliare i contemporanei che lo soprannominarono Stupor Mundi. E’ quasi superfluo dire che nel corso della sua vita ebbe la ventura di collezionare ben tre scomuniche.
Se c’è stato un anno davvero nefasto nella storia italiana, fino ai tragici fatti della seconda guerra mondiale e della guerra civile, questo primato era detenuto, almeno per quanto riguarda l’Italia, dal 1266. In quella data avvenne l’invasione angioina dell’Italia meridionale e la distruzione del regno normanno-svevo di Sicilia, fomentata appunto dal papato.
L’animus dei papi contro la casa di Svevia era talmente velenoso da non rendersi conto che il loro obiettivo così accanitamente perseguito, della separazione del regno di Sicilia dal Sacro Romano Impero, era già stato spontaneamente raggiunto da sedici anni. Infatti, alla morte di Federico II avvenuta nel 1250, il trono di Sicilia era andato a Manfredi, suo figlio illegittimo, mentre era stato eletto imperatore Corrado IV, altro figlio del grande Hohenstaufen.
Teniamo presente che, anche se la cosa sembrerà a chi ha simpatie leghiste un pugno in faccia, il meridione era allora la parte più avanzata della Penisola.
La storiografia romantica dell’ottocento ha costruito il mito delle libertà comunali, volendo vedere nella ribellione dei comuni contro l’impero una sorta di anticipazione o prefigurazione delle lotte risorgimentali, ignorando il fatto che la metà settentrionale della Penisola era frantumata in un pulviscolo di staterelli continuamente in lotta fra loro, e questo certamente non favoriva l’economia, né lo sviluppo civile e culturale.
Similmente a quanto era avvenuto con la conquista normanna dell’Inghilterra, i Normanni avevano costruito nel nostro meridione, e gli Svevi ereditato, uno stato accentrato e ben organizzato che toglieva spazio all’anarchismo sia feudale, sia delle città. Testimonianze del periodo normanno-svevo rimangono capolavori architettonici come le cattedrali di Palermo e Monreale, lo splendido quanto enigmatico Castel del Monte. Qui si ebbero le prime scuole europee di livello universitario, la scuola di medicina di Salerno, l’università napoletana che ancora oggi porta il nome del suo fondatore, Federico II. Con le tavole melfitane si ebbe la prima costituzione moderna. Alla corte di Palermo nacque la prima scuola letteraria in lingua volgare, cioè italiana.
Tutto questo fu spazzato via dall’invasione angioina del 1266. Essa non rappresentò semplicemente un cambio di dinastia, perché Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia portò con sé un esteso baronato, una nobiltà la cui funzione sociale era ormai puramente parassitaria. A ciò si aggiunsero poi i disordini causati sia dalle ribellioni popolari, a partire dalla rivolta dei vespri siciliani, sia dalle ricorrenti guerre civili causate dalle incertezze dinastiche della casa d’Angiò, e il risultato fu quello di condannare il nostro meridione a una situazione di arretratezza rispetto al nord, della quale si può dire che non si si nemmeno oggi del tutto emancipato.
Al danno si aggiunge la beffa. Poiché Manfredi, caduto nella battaglia di Benevento nel tentativo di respingere l’invasione angioina, era morto scomunicato, secondo l’aberrante logica ecclesiastica, aveva cessato di far parte delle cristianità, quindi di essere uomo e “una bestia” non aveva diritto alla sepoltura. Il vescovo di Cosenza fece disseppellire il suo cadavere e gettarlo all’aperto come la carcassa di un animale. L’episodio è ricordato da Dante nella Divina commedia.
Vi ho detto più sopra che il 1266 fu l’annus horribilis per quanto riguarda l’Italia, perché per la verità l’Europa transalpina era già stata sconvolta nel XIII secolo da un altro evento sanguinoso protrattosi per ben vent’anni, dietro il quale si riconosce ugualmente la mano nefasta della Chiesa. Come vi ho già spiegato, le crociate, legittima reazione alle aggressioni islamiche, non vanno a mio parere considerate un evento negativo come l’intende la storiografia di sinistra, sempre pronta a flagellarci in quanto europei. Ma voi capite bene che una crociata indetta contro altri europei e che trasformerà quella che fin allora era una delle più progredite e civili regioni d’Europa, la Provenza medioevale, in un campo di rovine e un cimitero, si presta a tutt’altro tipo di valutazione.
Gli albigesi, dal nome della città di Albi, o catari, dal greco kataroi, puri, erano uno dei movimenti ereticali dell’Europa medioevale. Credo che non sia importante tanto approfondire gli aspetti dottrinali del catarismo, quanto piuttosto evidenziare che come la pressoché totalità dei movimenti ereticali dell’epoca, rappresentavano una forma di ribellione a una Chiesa strettamente intrecciata al potere feudale, dalla parte dei forti nell’opprimere i deboli, opulenta, sfarzosa, del tutto lontana dagli ideali di povertà e semplicità evangelici. Oggi gli storici concordano in genere che non si dovrebbe parlare tanto di movimenti ereticali, quanto di movimenti religiosi di protesta.
Cosa che appariva ancor più detestabile agli occhi degli ecclesiastici, i catari erano anche a favore di una certa libertà sessuale, di un ruolo importante delle donne nella comunità, e della tolleranza verso chi la pensasse diversamente.
Il movimento aveva attecchito e avuto grande sviluppo nella Provenza dove lo sviluppo economico aveva fatto sorgere una borghesia non illetterata e sempre meno propensa a subire i dogmi di una Chiesa i cui comportamenti erano in totale contrasto con gli insegnamenti evangelici.
L’interesse della Chiesa a stroncare il catarismo coincideva con quello del regno di Francia interessato a porre sotto il suo diretto controllo la Provenza, formalmente appartenente allo stesso regno, ma di fatto autonoma.
La crociata contro gli albigesi, indotta nel 1209 da papa Innocenzo III fu una vera guerra di sterminio protrattasi per vent’anni nel corso dei quali i crociati si macchiarono di innumerevoli atrocità. In molte occasioni, uomini, donne e anche bambini piccoli caduti in mano ai crociati, furono uccisi sul rogo.
E’ noto l’episodio in cui, essendosi gli abitanti di una città rifugiati nella chiesa, fu chiesto al legato pontificio come si potessero distinguere i catari dai cattolici, e questi rispose:
“Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”.
Un altro episodio nel quale la Chiesa cattolica non brillò certo per virtù cristiane, fu la soppressone dell’ordine templare, anche se in questo caso bisogna riconoscere che il principale responsabile fu il re di Francia Filippo il Bello e, dopo lo schiaffo di Anagni, la morte di Bonifacio VIII e l’insediamento sul trono pontificio di un suo uomo, Clemente V, il papato era diventato uno strumento succube dei suoi voleri.
I Templari erano uno degli ordini monastico-cavallereschi che si erano assunti il compito di difendere la Terrasanta dalla riconquista musulmana. Per proteggere i beni dei pellegrini che vi si recavano, avevano inventato l’antenato dell’assegno e di un vero e proprio sistema bancario. Questo aveva fatto sì che col tempo l’Ordine diventasse una notevole potenza economica. A Filippo il Bello i templari avevano prestato una grossa somma che egli non era in grado di ripagare, e questa fu la loro rovina, perché ci sono due modi per liberarsi di un debito, estinguere il debito o estinguere il creditore.
Nel 1307, con una vasta e ben congegnata operazione di polizia, i membri dell’ordine furono arrestati e contro di loro furono formulate le accuse più assurde, eresia, blasfemia, idolatria, sodomia, tutte regolarmente confermate dalle confessioni estorte con la tortura, e che ancora oggi fanno la gioia degli esoteristi che le prendono per buone. Clemente V sia pure con qualche riluttanza si prestò allo scioglimento dell’ordine. La vicenda si concluse nel 1314, quando, dopo sette anni di prigionia e torture, l’ultimo gran maestro Jacques de Molay e i membri più importanti dell’ordine salirono sul rogo.
Notiamo che Dante Alighieri mostrò di non credere assolutamente alle accuse formulate contro i Templari, egli ha infatti scritto nella Divina Commedia:
“Veggio lo novo Pilato (Filippo il Bello) sì crudele che ciò (lo schiaffo di Anagni) nol basta, ma sanza decreto (senza una giustificazione valida) porta nel Tempio (nella casa madre dell’ordine templare) le cupide vele (al modo di un vascello pirata venuto a rapinare e saccheggiare)”.
Tuttavia eventi come le lotte tra papato e impero, l’invasione angioina del 1266, il rogo dei templari o anche la terrificante crociata contro gli albigesi, non influiscono sul fatto che il medioevo, lungi dall’essere un’età oscura, ricoprì l’Europa di castelli e cattedrali, produsse innumerevoli capolavori artistici, diede al mondo la Summa Theologica di Tommaso d’Aquino, la Divina Commedia di Dante, rimane a fondamento di gran parte delle istituzioni anche attuali della nostra cultura, così come le due guerre mondiali non hanno ostacolato il progresso tecnologico del XX secolo, anzi lo hanno incentivato.
Francesco Guicciardini nella sua Storia d’Italia ha scritto che il 1494 che, con la calata in Italia dei Francesi di Carlo VIII da inizio a un nuovo ciclo di invasioni e dominazioni straniere nella nostra frammentata Penisola, “è stato il primo degli anni neri”.
Il primo effetto di questa serie di invasioni e dominazioni è stato quello di porre fine a quella fioritura artistica e intellettuale che conosciamo come rinascimento. Alcuni storici, come Scipione Guarracino, hanno parlato di rinascimento strozzato.
Si, avete letto bene, 1494, il che significa due anni appena dopo la scoperta dell’America. Il rinascimento rientra appena per due anni (scarsi, dato che la scoperta dell’America avvenne in ottobre), nell’età moderna, e per il resto nel medioevo, di cui si può dire costituisce la fase terminale. Questo, tanto per chiarire le idee a quanti si ostinano a considerare l’Età di Mezzo un’epoca oscura.
.t .DE Di auguri, Valentino!
NOTA: nell’illustrazione, Federico II di Svevia, forse la personalità più eminente dell’età medioevale, stupor mundi, oggetto quasi ugualmente di ammirazione e di avversione.