La storia dell’occupazione germanica della Francia (1940-1945) è poco conosciuta in Italia. Si va da qualche richiamo alla Repubblica di Vichy (che, in realtà, era la Francia “libera”, non quella occupata) ad accenni alla Resistance (di cui vogliamo ricordare i suoi interessi annessionistici sui territori italiani). Del resto, la realtà dei fatti è doverosamente censurata dalla vulgata e le immagini dei boulevard di Parigi dove allegre Francesi si intrattenevano con gli Ufficiali della Wermacht hanno destato scandalizzate proteste dei “gendarmi della memoria” e sono presto scomparse dagli “schermi”. Eppure testimoniano una realtà che non si può più negare, ossia quella di tanti Francesi che, crollato l’esercito nazionale sotto i colpi dei carri armati germanici, per salvare il salvabile e far risorgere la propria Nazione dal baratro in cui era stata gettata da un’allucinante politica di egoismo, si schierano al fianco del Maresciallo Philippe Pétain o collaborarono attivamente con i Tedeschi. Sono quelli che vennero definitivi spregiativamente come “collaborazionisti”. Si trattò più precisamente di uomini – tra cui particolare rilievo ebbero noti intellettuali – che rappresentavano la Francia più profonda, quella “vandeana”, quella che si era opposta al Governo del Front Popularie (1936-1938), ma non solo. Erano anche quei Francesi che, anticipando visioni politiche del futuro, vedevano nel “socialismo fascista” e nel “romanticismo fascista” l’inizio di una nuova èra, di un Ordine Nuovo dove l’Europa sarebbe stata protagonista della storia mondiale e padrona della sua sovranità. Ma la collaborazione fu anche un fenomeno “trasversale, perché accusati di aver favorito l’occupante germanico furono anche alcuni socialisti, comunisti e perfino “ebrei”.
All’atto della sconfitta della Germania e al ritorno al potere in Francia degli antifascisti, sui collaborazionisti si abbatté la scure dell’odio politico e dell’epurazione selvaggia. Secondo Charles de Gaulle, Presidente del Governo provvisorio della Repubblica Francese, quasi 11.000 collaborazionisti inermi vennero assassinati senza un regolare processo dagli antifascisti, mentre altri 300.00 vennero denunciati: 127.000 processati, 97.000 condannati, 38.000 imprigionati. Solo con l’amnistia del 1953 si pose fine alla vendetta politica contro i collaborazionisti, anche se quel periodo fu sottoposto ad una ferrea “quarantena della memoria” e chi si schierò con Pétain non sarai mai riabilitato, subendo una condanna morale e politica che perdura, con violenze e discriminazioni, ancor oggi.
Tra gli epurati francesi vogliamo ricordare Corinne Luchaire, al secolo Rosita Christiane Yvette Luchare. Nata a Parigi nel 1921, bellissima e popolare attrice francese con all’attivo diversi film, tra cui Abbandono, pellicola girata a Cinecittà nel 1940 sotto la regia di Mario Mattoli e con protagonisti di rilievo come George Rigaud, Marìa Denis, Camillo Pillotto, Osvaldo Valenti, Giulietta De Riso, ecc.
Corinne era la figlia del celebre giornalista Jean Luchaire, figliastro dell’antifascista, volontario esule, Gaetano Salvemini: mente il padre pontificava sul fascismo da una cattedra statunitense, Jean – pacifista di sinistra, da sempre favorevole ad un riavvicinamento franco-tedesco – aveva scelto di esporsi per la resurrezione della Francia, schierandosi al fianco dei Germanici: Direttore del giornale “Les Nouveau Temps” e Presidente dell’Association de la Press Parisienne.
Corinne, invece, dopo l’occupazione tedesca, si innamorò di un Ufficiale della Luftwaffe, il Cap. Wolrad Gerlach, dal quale, nel 1944, ebbe una figlia.
Sconfitta la Germania, lei e il padre vennero processati per collaborazionismo.
Jean Luchaire era stato arrestato dagli Statunitensi nel Maggio 1945 a Merano (Bolzano) e consegnato ai Francesi ben sapendo che sorte l’attendeva: venne condannato a morte e fucilato al Fort de Châtillon di Parigi il 22 Febbraio 1946. Corinne, invece, venne confinata nel carcere di Nizza. Colpita da decreto di “indegnità nazionale”, si trovò costretta a vivere in condizioni di indigenza, tanto da ammalarsi di tubercolosi e spegnersi a Parigi a soli 28 anni. Era il 22 Gennaio 1950.
Di lei ci rimane solo la testimonianza Ma drôle de vie, uscita in Francia nel 1949.
Alla notizia della sua morte, “Lotta Politica”, il giornale del Movimento Sociale Italiano, volle ricordarla con un articolo che riproduciamo integralmente:
“È morta in questi giorni (non ancora trentenne) la nota attrice cinematografica francese Corinne Luchaire. Ufficialmente è morta in seguito ai postumi di una forma di tbc di cui aveva sofferto negli ultimi anni ma da cui sembrava guarita. In realtà Corinne Luchaire è morta soprattutto perché la IV Repubblica Francese le aveva negato il diritto alla vita, condannandola a dieci anni di ‘indegnità nazionale’, grazioso eufemismo che in linguaggio democratico significa una sentenza di morte lenta per fame. Figlia del noto collaborazionista Jean Luchaire, che fu uno dei primi ad essere fucilato dopo la cosiddetta ‘liberazione’, sembra che per Corinne l’unica grave imputazione che le riuscirono a trovare gli asserviti magistrati delle Corti Speciali fu quella di ‘essersi innamorata di un Ufficiale tedesco’. Nel frattempo era stata arrestata, nonostante le gravissime condizioni di salute in cui si trovava, e dovette trascorrere diversi mesi in carcere senza nessuna cura, prima di essere infine liberata con la condanna civile di dieci anni cui abbiamo accennato più sopra, e che le impediva di poter svolgere il minimo lavoro in territorio francese.
Ricevette offerte di lavoro da case cinematografiche americane: la democrazia francese le negò il passaporto per espatriare negli USA. Una grave ricaduta del suo male la costrinse poi a un lungo periodo di degenza in sanatorio: invano chiese a tutti gli amici di un tempo (quando era una delle donne più ammirate di Francia) una parola di solidarietà, un aiuto per la sua bambina cui alle volte non aveva cosa dare da mangiare. Credette recentemente di essere guarita, venne a Roma, sperava di poter nuovamente lavorare, qui in Italia, in un film. La morte ha troncato queste sue estreme speranze.
Era una come noi: una ragazza della generazione bruciata: per questo a tutto l’odio insensato dei tartufi della democrazia che le ha reso impossibile di vivere, noi contrapponiamo sulla sua tomba senza fiori tutto l’amore di una nuova Europa che sta sorgendo” (È morta Corinne, figlia del secolo, “Lotta Politica”, a. II, n. 4, 28 Gennaio 1950).
La storia di Corinne Luchaire ci richiama alla mente quella di Luisa Ferida, l’attrice assassinata dagli antifascisti a Milano il 30 Aprile 1945. Due straordinarie donne falciate nel fiore dell’età dall’odio politico. Da criminali che l’unica colpa che riuscirono a trovare in loro fu la bellezza.
Del resto, “profondo è l’odio che l’animo volgare nutre contro la bellezza” diceva Ernst Jünger.
Pietro Cappellari
(“L’Ultima Crociata”, a. LXXII, n. 7, Novembre 2022)
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
- Fabre Luce, Riservato da Vichy, Oaks, 2020
- Giusti, I collaborazionisti francesi, Del Bucchia, 2021
- Marchi, Con il sangue e con l’inchiostro, Settimo Sigillo, 1993
- Marchi, I duri di Parigi, Settimo Sigillo, 1997
- Rousso, La Francia di Vichy, Il Mulino, 2010
- Zucconi, La Francia di Vichy, Novantico, 2021
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