Iniziare con un titolo di una sola parola che è il nome di un personaggio, suona un po’ da dialogo platonico. La cosa in realtà non è per nulla casuale, perché in questo articolo i riferimenti all’antica Grecia, al mondo classico, non saranno pochi, ma, come non stenterete a capire, evochiamo questo personaggio dell’antica tragedia greca perché ci offre uno spunto di riflessione su tematiche quanto mai e drammaticamente attuali.
Vi ho già raccontato che dovendomene occupare professionalmente, mi sono fatto un’idea piuttosto chiara del livello “scientifico” a cui si trova oggi la psicologia, e più che “pionieristico”, io lo definirei semplicemente ciarlatanesco.
Sicuramente, Eric Fromm non è un personaggio migliore degli altri, e chi ha letto, ad esempio L’arte di amare, si sarà reso conto che costui è stato un Raffaele Morelli ante litteram, o poco via, e tuttavia qualcosa di buono nei suoi scritti c’è, in particolare là dove critica Sigmund Freud, allineandosi a Karl Popper e anticipando il magistrale lavoro di Michel Onfray nello sgonfiare quell’immenso pallone gonfiato che è stato il creatore e guru della psicanalisi.
In particolare, Fromm ha messo bene in mostra il fatto che riducendo tutto alla pulsione sessuale del bambino verso la madre, Freud ha dato una lettura distorta e riduttiva del mito di Edipo, che ha significati ben più complessi.
Una critica che almeno a me ricorda da vicino quella rivolta da Konrad Lorenz (che è stato forse l’ultimo grande, l’ultimo vero scienziato della nostra epoca) a un altro “colosso” della psicologia, Pavlov, che costringendo i suoi cani in un’imbracatura per misurarne la salivazione e dimostrare la sua teoria dei riflessi condizionati, in pratica sopprimeva l’intera, molto più complessa sequenza comportamentale di questi animali.
In particolare, Fromm si sofferma su di un aspetto del mito di Edipo del tutto trascurato da Freud: la storia di Antigone che è la protagonista dell’omonima tragedia di Sofocle. Dopo la morte di Edipo, diventa re di Tebe suo figlio Eteocle, ma la cosa non è accettata dall’altro figlio di Edipo, Polinice, che marcia sulla città alla testa di un esercito di mercenari. Nella battaglia che segue, i due fratelli si uccidono a vicenda. Il nuovo re tebano, Creonte, fratello di Giocasta, madre e sposa di Edipo, decreta funerali solenni per Eteocle, mentre il cadavere di Polinice, traditore che ha marciato in armi contro la città, deve essere lasciato insepolto. Antigone, anch’essa figlia di Edipo e sorella di entrambi, decide di trasgredire e seppellire Polinice, e in conseguenza di ciò, è duramente punita.
Secondo Fromm, questo mito evidenzia un problema che non è circoscritto all’antica Grecia, ma è universale, di ogni tempo e luogo, il conflitto fra legge ed etica. Rifiutando la legge della città in nome di un proprio codice morale personale, Antigone sarebbe il primo personaggio “moderno” della letteratura.
Ora, io penso che ricorderete che io stesso ho utilizzato la figura di Antigone come simbolo del conflitto fra legge e morale, se avete presente un mio articolo di qualche anno fa, Antigone e il capitano, tuttavia bisogna dire che Fromm ha frainteso. L’idea di una morale del tutto soggettiva è completamente estranea al pensiero greco, per esso la legge ha sempre una valenza sacrale e quindi etica: ricordiamo Socrate che rifiuta di salvarsi la vita fuggendo dal carcere, e accetta la condanna a morte pur di non violare le leggi della città, anche se nel suo caso sono state applicate ingiustamente. Né uno spirito diverso dimostra la lapide posta sul campo delle Termopili in memoria di Leonida e dei suoi trecento spartiati:
“Oh viaggiatore, racconta a Sparta che qui giaciamo in obbedienza alle sue leggi”.
In realtà Antigone si ribella alla legge della polis in nome di una legge più arcaica, l’antica legge morale matriarcale che non permette che nessuno del proprio sangue sia privato del diritto al ritorno nel grembo della Madre Terra nemmeno se si è reso colpevole di tradimento.
Vi sono indizi che suggeriscono che anche la cultura greca, come quella di molti popoli antichi, abbia attraversato una fase matriarcale, ad esempio, Felice Vinci in Omero nel Baltico non si limita a “spostare a nord” lo scenario dei poemi omerici, ma ipotizza che all’epoca delle vicende la regalità si trasmettesse per via matrilineare, e il ritorno di Ulisse vent’anni dopo la guerra di Troia per sparire subito dopo, narrato nell’Odissea, non sarebbe stato altro che un’ingegnosa messinscena di Telemaco per non essere privato della successione a favore del nuovo marito della madre.
D’altra parte, lo stesso antico sottofondo matriarcale-matrilineare lo vediamo proprio nel mito di Edipo: l’eroe che ha liberato Tebe dalla sfinge, per poterne diventare re deve sposare la vedova del suo predecessore. Ovviamente ignora, e tutti quanti ignorano che si tratta di sua madre.
Noi crediamo di fare un complimento a un personaggio dell’antichità quando ne riconosciamo “la modernità”, in realtà non facciamo altro che appiattirlo alla nostra dimensione “moderna” che è quella dell’ultimo uomo preconizzato da Nietzsche, e certo l’autore della Nascita della tragedia il mondo classico lo conosceva assai bene.
Per l’uomo antico, ethos (morale) ed etnos, appartenenza a una comunità, coincidono: era l’idea dei Greci ma anche dei Romani, non si aveva un ethos, se ne era parte in ragione del proprio sangue. Ciò è venuto meno con l’avvento del cristianesimo. Nella famosa intervista riportata da Maurizio Blondet in Gli Adelphi della dissoluzione, Massimo Cacciari gli ha confidato “Il cristianesimo getta l’uomo nella libertà come un naufrago in un mare in tempesta”.
Libertà? Bisogna capire di che genere di libertà si tratta, non altro che la rescissione di quei legami di ethos, di sangue, tradizione, identità, appartenenza, che legavano l’uomo antico alla sua comunità, sciolti i quali essa si rivela una libertà falsa, terribilmente oppressiva, che parte dal martirio di Ipazia, passa per la persecuzione spietata di tutti coloro che volevano mantenersi fedeli alla fede dei padri, per il massacro carolingio dei Sassoni, fino ad arrivare ai roghi delle streghe e degli eretici (ma riuscite a concepire che cosa significa bruciare viva la gente?).
In realtà il trucco è piuttosto facile da capire. Poiché la maggior parte della gente era ed è semplice, non addentro alle questioni filosofiche, etiche ed ideologiche, ecco che la “libertà di coscienza” viene da subito espropriata da una casta di “interpreti autorizzati” del Verbo che si incaricano di pensare per essa. Che si chiami Chiesa o nomenklatura, o che costoro si chiamino imam, il meccanismo è assolutamente lo stesso. Il marxismo bolscevico l’ha utilizzato con gli stessi “buoni” risultati del cristianesimo e della Chiesa cattolica, e il clero islamico che oggi fa politica dalle moschee incitando i fedeli alla “guerra santa” contro gli occidentali, fa esattamente la stessa cosa.
La somiglianza del modus operandi non è per nulla casuale. Noi possiamo anche dire che il marxismo in ultima analisi non è che la versione moderna e laicizzata del cristianesimo stesso, e che il cristianesimo ai suoi tempi d’oro è stato “il bolscevismo dell’antichità”.
Nel dopoguerra, la Chiesa cattolica scomunicò i comunisti per favorire elettoralmente la DC, tuttavia non poté attaccare i fondamenti dottrinali del marxismo, cosa che non avrebbe potuto fare senza mettere in discussione la stessa “buona novella” evangelica, fatta di pauperismo, universalismo, spirito anti-romano, morale soggettiva. Non è mai esistita un’enciclica che attaccasse il bolscevismo “con bruciante preoccupazione” come quella pronunciata da Pio XI contro il nazionalsocialismo (Mit Brennender Sorge), e d’altra parte si può ricordare che nell’indice dei libri proibiti (che esiste ancora oggi sotto forma di indice dei libri sconsigliati) redatto dalla Chiesa cattolica,e che comprende buona parte della letteratura e della filosofia della nostra epoca, compresi I promessi sposi di Alessandro Manzoni, le opere di Marx, Il capitale e Il manifesto, nonché tutti gli altri scritti, non sono mai state incluse.
Oggi, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e nell’era di Bergoglio, assistiamo a una convergenza tra Chiesa cattolica e movimenti di sinistra che di fatto rende impossibile distinguere l’una dagli altri, ed entrambi tendono la mano all’immigrazione e all’islam, in perfetto accordo con i desiderata del potere mondialista che vuole la sostituzione etnica e la scomparsa dei popoli europei.
Con il cristianesimo inizia l’era di Antigone (non quella di Sofocle, quella di Fromm), cioè del soggettivismo morale che sradica l’etica della civitas. Libertà? Se è veramente tale, deve essere anche la libertà di dire no, di rifiutare la “buona novella” venuta dalla Palestina, e riaffermare il nostro ethos basato sui principi di sangue, suolo e comunità.
Gli esseri umani sono perlopiù privi del dono della preveggenza, se fosse stato possibile sapere che l’avvento della “buona novella” avrebbe comportato la caduta dell’impero romano, e per l’Italia quindici secoli di divisioni e dominazioni straniere, che la Chiesa cattolica si sarebbe tenacemente opposta alla nostra unità nazionale, e che oggi favorisce l’immigrazione e la sostituzione etnica, non avremmo avuto un Celso, un Giuliano, ne avremmo avuti milioni, ma oggi non c’è altra “scusante” tranne l’ignoranza della nostra storia.
E non illudetevi, se pensate che siano le attuali gerarchie ecclesiastiche e il clero di oggi a essere incoerenti, vi sbagliate: era il cattolicesimo tradizionale, quello ante Concilio Vaticano secondo a essere in contraddizione con un vangelo egualitario e cosmopolita.
Se questo poteva valere nel passato, vale a maggior ragione oggi che la nostra identità, la nostra stessa esistenza come popolo sono minacciate dalla combinazione di declino demografico indotto, immigrazione incontrollata e meticciato, e il buonismo e il pietismo bergogliani sono delle vere e proprie armi puntate contro di noi.
Fromm scrive che la figura di Creonte “E’ l’esempio tipico del tiranno”. Leggendo queste parole, non ho potuto fare a meno di provare un’improvvisa simpatia per Creonte. Mi è venuto in mente un altro “tiranno”, che, allo stesso modo in cui Creonte prese in mano le sorti di Tebe sconvolta dalla lotta fra Eteocle e Polinice, prese in mano un Paese sull’orlo della guerra civile, e non si limitò a riportare la pace, ma, nei vent’anni del suo governo mise le basi della trasformazione da Paese con gravi arretratezze in una nazione industrialmente avanzata, anche se la maggior parte dei frutti di ciò si vide dopo e nonostante una delle guerre più distruttive della storia umana, che gli fu addossata la colpa della partecipazione del suo Paese a questo conflitto dagli esiti disastrosi, sebbene essa fosse stata voluta principalmente da chi contava sulla sconfitta per sbarazzarsi di lui e cominciò da subito a collaborare sottobanco con il nemico, che fu ucciso vigliaccamente, e neppure al suo cadavere fu risparmiato un orribile scempio. Ce ne fossero oggi di “tiranni” così, vivremmo probabilmente in un mondo migliore.
Premesso tutto ciò, penso risulti abbastanza ovvio lo schierarsi piuttosto dalla parte di Creonte, cioè della legge della comunità, che da quella di Antigone, cioè del soggettivismo morale, ma c’è un limite: non ogni legge è giusta, e vi sono circostanze il cui la ribellione non solo è giusta, ma diventa un dovere etico. Ho già spiegato altre volte il mio punto di vista al riguardo: lo stato, il suo ordinamento, le sue leggi, sono semplicemente un contenitore, una forma: la sostanza che esso dovrebbe contenere, tutelare, proteggere, garantirle le migliori condizioni possibili di sviluppo, è la nazione, intesa come continuità di tradizioni, di cultura, di lingua, di presenza sul suolo ancestrale, ma soprattutto di sangue. Quando lo stato viene meno al suo compito fondamentale, la rivolta contro di esso diviene non solo legittima, ma doverosa.
Pensiamo alle decine di leggi, leggine, regolamenti con cui, spesso in maniera surrettizia i governi e le maggioranze, magari a livello locale, di centrosinistra dal 2011 al 2018, hanno in sostanza imposto una discriminazione a favore degli immigrati e contro gli italiani nell’accesso a una serie di servizi essenziali, dall’accesso alle case popolari, agli asili nido (tanto, gli Italiani di figli non ne devono fare), all’accesso alle facoltà universitarie a numero chiuso. Tutto ciò esprime l’inaccettabile razzismo anti-italiano che caratterizza la sinistra, e contro cui ogni forma di ribellione è moralmente giustificata, tanto più se consideriamo che la maggior parte delle volte che il centrosinistra è stato al governo, lo è stato sulla base di maggioranze parlamentari fittizie senza corrispondenza nel Paese, create mediante scissioni nel campo avverso, se ricordate i nomi di Dini e di Alfano, il che fa della sovranità popolare una tragica barzelletta.
Si tratta di concetti che in passato vi ho esposto più volte, e se come avrete certamente capito, adesso ci torniamo sopra, è per un motivo specifico: la decisione di alcuni sindaci tutti rigorosamente di sinistra, capeggiati da due ben noti figuri quali sono il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e quello di Napoli Gianni De Magistris, di trasgredire il decreto sicurezza del governo volto a limitare l’immigrazione clandestina. Si tratta, diciamolo subito, di un atto di ribellione gravissimo contro i poteri dello stato, e che non può essere minimamente giustificato da un generico e soggettivo principio morale di accoglienza umanitaria, anche perché questi sinistri individui dimenticano come al solito la regola fondamentale che la carità comincia a casa propria, e tutto quello che si da a questi cuculi a cui non dobbiamo nulla, lo si toglie ai nostri giovani, ai nostri pensionati, ai nostri lavoratori, alle famiglie italiane in difficoltà economica, che sono tante e in costante crescita.
Una ribellione contro le leggi dello stato particolarmente grave, dal momento che avviene da parte di persone che, in quanto sindaci, rivestono cariche pubbliche, e pensiamo anche per esempio al fatto che il sindaco di Napoli, Gianni De Magistris è un ex magistrato. Decisamente per i sinistri la legalità esiste soltanto quando fa comodo a loro. Il ministro degli interni e vicepresidente del Consiglio, che è forse una delle poche figure degne di rispetto emerse nel panorama politico di questi ultimi anni, li ha definiti dei traditori. Obiettivamente lo sono, ma non tanto perché violano le leggi dello stato, quanto perché agiscono contro gli interessi vitali del popolo italiano favorendo l’incistarsi dell’infezione extracomunitaria e la sostituzione etnica, perché lavorano obiettivamente per la morte del nostro popolo, loro e tutti i loro complici sinistri e catto-sinistri. Adesso c’è solo da augurarsi che alle parole seguano i fatti.
Tuttavia bisogna riconoscere che l’iniziatore e il leader di questa rivolta contro la legge dello stato in nome (o con il pretesto) di un discutibile principio morale soggettivo, è il sindaco di Palermo, l’ineffabile Leoluca Orlando. Antigone (sempre quella di Fromm, non quella di Sofocle) ha trovato la sua ennesima incarnazione, anche se bisogna ammettere che il peplo gli starebbe malissimo e che un barracano arabo sarebbe una tenuta a lui di gran lunga più adeguata.
Sarebbe bello potergli gridare in faccia “VIVA CREONTE!”, bello ma probabilmente inutile, perché si può dubitare che il senso di questo grido gli sarebbe comprensibile, varie inchieste l’hanno ripetutamente dimostrato, i nostri politici sono perlopiù digiuni non solo di cultura classica ma di cultura in genere, sono di un’ignoranza superba.
Forse sarebbe meglio potergli dire: “Perché non te ne vai in uno dei Paesi da cui provengono i tuoi amati migranti, così ci liberi della tua presenza e potrai predicare e praticare quanto più ti aggrada la tua morale semitica?”. Tuttavia questo significherebbe forse non aver capito fino in fondo chi sia questa novella Antigone.
Leoluca Orlando: già la sua lunghissima permanenza ai vertici della politica siciliana, unita all’ostilità che sempre manifestò quando i due giudici antimafia erano in vita, contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, bastano ad addensargli addosso un forte odore di mafia. Ma soprattutto noi sappiamo che i vantati motivi umanitari non sono in ultima analisi altro che un pretesto, che i migranti, il traffico di carne umana è un business nel quale ONG, scafisti e mafia traggono ingenti profitti.
“Coi migranti si guadagna più che colla droga” aveva confessato in un’intercettazione uno degli indagati di Mafia Capitale, e tanto basta a chiarire tutto.
NOTA: nell’illustrazione: Antigone condannata da Creonte, Giuseppe Diotti, 1845. E’ forse il caso di segnalare che digitando “tragedia greca” su Google immagini, si ottengono quasi esclusivamente immagini relative ad Antigone (e piuttosto monotone, si tratta quasi sempre di riproduzioni del quadro di Diotti), quasi che oltre a quest’opera di Sofocle, la tragedia greca non avesse prodotto altro. Evidentemente, a coloro che attraverso il sistema mediatico dettano il pensiero dei nostri contemporanei, interessa soprattutto questo personaggio, interpretato alla maniera di Fromm, in chiave “moderna” e possibilmente “femminista”. Altro che pluralità di pensiero, noi tocchiamo con mano una volta di più il fatto che la democrazia produce l’uniformazione, la standardizzazione, l’appiattimento dei modi di pensare, il “pensiero unico”, cioè “l’ultimo uomo” profetizzato da Nietzsche.
2 Comments