In questi giorni di fine agosto 2014, forse complice il periodo estivo (anche se non si è mostrato molto tale dal punto di vista meteorologico), è soprattutto la politica internazionale a essere in fermento. Come al solito, l’aggressione israeliana contro Gaza – che non può avere un’ombra di scusante – ha rinfocolato di rimbalzo il fondamentalismo islamico, con “Il califfato” che cerca di prendere il controllo dell’Irak, e i ribelli siriani che tentano ormai da tre anni, fortunatamente senza successo, di rovesciare il governo Assad, e rappresentano l’ultima coda delle artificiose “primavere arabe”.
Che la politica “occidentale”, che sostiene il fondamentalismo in Siria mentre lo combatte in Irak, sia del tutto schizofrenica e legata a una rappresentazione del tutto inadeguata della situazione, questo è un fatto evidente.
Naturalmente, quando si parla di politica “occidentale”, si intende politica statunitense. Gli stati europei a cominciare dall’Italia, del tutto proni agli Stati Uniti e a Israele, fanno solo finta di avere una politica estera.
Il dato più rilevante è forse un fatto di costume: sembra che vi siano centinaia di giovani “europei” fra cui una quarantina di “italiani” che combattono con i ribelli siriani e il “califfato” iracheno.
Questo ci porta a una serie di riflessioni: l’islam ha, ha sempre avuto una capacità di proselitismo in ambiente occidentale molto limitata, anche se probabilmente negli ultimi tempi si è accresciuta perché la dottrina del Profeta appare oggi meno inverosimile di quella del Discorso della Montagna, ma soprattutto perché oggi il nostro continente in conseguenza dell’immigrazione appare disseminato di sacche, ambienti, metastasi islamiche, e quindi qua e là si creano quelle situazioni ambientali che possono premere in modo determinante sulle personalità più deboli.
Tuttavia, io credo che questi casi siano ancora relativamente eccezionali, e che la netta maggioranza di questi “europei” e di questi “italiani” sia costituita da ragazzi magari nati o cresciuti sul nostro suolo, ma da famiglie islamiche o miste, immigrati di seconda o di terza generazione.
Questo significa in altre parole il fallimento dell’integrazione: i ragazzi arabi e islamici cresciuti in Europa, che hanno frequentato amici nativi, che hanno fatto le nostre scuole e via dicendo, rimangono nondimeno arabi e islamici e in genere, se possibile, in modo ancora più radicale dei loro genitori, per la tendenza a mitizzare le proprie origini e a provare per esse un orgoglio immotivato come reazione del fatto di crescere in un ambiente a esse estraneo, a cui si aggiunge spesso e volentieri la violenza contro i nativi vista come mezzo per affermare la propria identità.
Si tratta di una casistica ben nota a sociologi e psicologi, ma di cui si preferisce non parlare al grosso pubblico, perché il fallimento dell’integrazione implica il fallimento della democrazia. La democrazia, lo sappiamo, non è semplicemente un metodo di confronto politico, ma si sostanzia in una serie di assunti, di dogmi che i “buoni democratici” devono accettare. Uno di questi, è che non esisterebbe alcun rapporto fra mentalità e cultura da una parte, eredità biologica dall’altra, che “natura” e “cultura” sarebbero realtà estranee e contrapposte, ragion per cui un magrebino o un nero subsahariano cresciuti dalle nostre parti, esposti alla nostra cultura, in definitiva sarebbero italiani o europei dalla pelle più scura.
Questo dogma democratico non urta solo contro l’esperienza e il buon senso, ma anche contro la conoscenza scientifica, anche se pochi scienziati avrebbero il coraggio di ammetterlo pubblicamente; infatti, se è la base genetica a permettere agli uomini di essere produttori e portatori di cultura, poiché questa base genetica non è uguale in tutti, saranno diversi anche i tipi e i livelli di cultura a cui ciascuno può avere accesso. Detto in termini più semplici, c’è tutto il discorso delle razze su cui la democrazia pretende di stendere un pietoso (ma per chi?) velo censorio.
Proprio il fallimento delle cosiddette primavere arabe, certamente manovrate dall’esterno, dal mondo “occidentale”, dagli USA, e che contro “l’Occidente” si sono ritorte portando all’emergere di una ventata di nuovi fondamentalismi, dimostra non solo l’impossibilità dell’estensione della democrazia al mondo islamico, ma anche che essa non è affatto “un universale” come non sono affatto universali i presunti “immortali principi” del 1789, che essa è in definitiva radicalmente estranea alla cultura, alla mentalità profonda di quelle popolazioni.
Abbiamo visto mille volte – ogni volta – la stessa cosa: dall’Algeria all’Egitto, all’Irak, alla Libia, a quel che accade oggi nelle zone “liberate” della Siria: l’instaurazione, sicuramente non voluta dalla popolazione se non in momenti di indotta euforia, della (presunta) democrazia, porta al caos, alla guerra civile: una volta tolto di mezzo il “rais” che garantiva o imponeva l’equilibrio fra le diverse componenti etnico-religiose, ecco scatenarsi il conflitto di sciiti contro sunniti, degli uni e degli altri contro cristiani, curdi, drusi, yazidi e via dicendo, a seconda di luoghi.
Sorprendentemente, di islam si è parlato molto in questo periodo di fine agosto anche riguardo alla nostra politica interna. Venerdì 22, infatti, è venuto a mancare Adel Smith, noto leader dei mussulmani italiani, famoso per le sue battaglie contro la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche e in quelle dei tribunali. Poiché si è spento a 54 anni dopo una lunga malattia, potremmo anche spingerci a pensare che dopotutto Allah non sia stato molto generoso con lui.
Girando per il web, è abbastanza facile rendersi conto che quest’uomo è stato visto come una specie di eroe da un certo laicismo di sinistra tutto preso e ipnotizzato dalla causa della “scrocifissione”, che sottovaluta in maniera terrificante la pericolosità dell’islam, che per senso di colpa post-coloniale e terzomondista ritiene che si debba sempre dare ragione a chi ha la pelle più scura della nostra e, a livello politico questo atteggiamento sappiamo che ha trovato il suo megafono nelle recenti dichiarazioni dell’onorevole grillino Di Battista a favore del “califfato” iracheno e del terrorismo anti-occidentale in genere.
D’altra parte, noi sappiamo anche che nel democraticissimo Movimento Cinque Stelle non esiste nessun dibattito interno, e se qualche onorevole dice qualcosa senza essere per questo cacciato dal partito, ciò significa che Beppe Grillo e Casaleggio sono d’accordo.
A pensarci, ci sarebbe di che essere travolti dallo stupore. Possibile che costoro non si rendano conto che l’islam come religione fanatica e dotata di una fortissima spinta all’intromissione nella vita politica e civile, nella cultura in tutti i suoi aspetti, è peggio, nettamente peggio del cristianesimo, una religione che presuppone l’ignoranza e il fanatismo dei suoi adepti e li crea con la sua presenza ossessiva nella vita di tutti i giorni?
Noi ci aspetteremmo che chi ama la libertà di pensiero, vuole lo stato non confessionale e la libertà di ricerca scientifica e di manifestazione culturale e artistica guardi all’islam come a una lebbra, a un cancro. Scusate tanto, ma sull’islam aveva perfettamente ragione Oriana Fallaci, anche se poi aveva torto marcio nel vedere una soluzione in un rimedio peggiore del male, in un atteggiamento di totale servilismo nei confronti della mostruosità giudeoamericana.
In realtà questo “sinistro” atteggiamento è ben lontano dal non avere una spiegazione: essa risale alle utopie cosmopolite proprie della sinistra a cui poi si è andato ad aggiungere negli anni della decolonizzazione e della Guerra Fredda il complesso di colpa post-coloniale e terzomondista sapientemente alimentato da chi contava sull’aiuto dei “compagni di strada” sedicenti non allineati per travolgere il mondo non comunista, unito ancora alle farneticazioni levi-straussiane sull’ “identità culturale” che, in nome della loro presunta specificità, esenterebbero le culture non-europee dal rispetto di una serie di concetti tipicamente “nostri” che vanno dall’oggettività della ricerca scientifica al rispetto dei diritti umani.
Passate tutto ciò attraverso il filtro di una cultura buonista, teoricamente “del dialogo”, ma in realtà attenta a colpevolizzare tutto ciò che è europeo e a presentare ciò che non lo è in termini idilliaci e angelici, ed è chiaro cosa ottenete.
Eppure, a pensarci bene, tutto ciò è paradossale perché un’eventuale affermazione dell’islam anche in Europa non potrebbe non rappresentare un enorme balzo all’indietro, in campi quali la laicità dello stato e della cultura, l’emancipazione femminile, i diritti umani, le libertà civili, il rispetto per le minoranze e via dicendo. Tuttavia forse non ce ne dobbiamo stupire troppo, perché la sinistra negli ultimi decenni sembra essere sempre più caratterizzata da scelte che vanno contro i suoi ideali dichiarati, come l’aperta collaborazione con il capitalismo bancario-finanziario che sembra voler realizzare l’antico sogno cosmopolita dei “compagni”, ma i cui progetti mondialisti prefigurano soltanto un’umanità di schiavi.
“Cupio dissolvi” assai più che “proletari di tutto il mondo unitevi” è il motto che oggi si addice ai “compagni”.
Riguardo a questa questione del crocifisso nelle scuole, nei tribunali, negli edifici pubblici, a proposito della quale le esternazioni di Adel Smith mandavano in visibilio i presunti laici, devo avervi già detto come la penso: noi i crocifissi e gli altri simboli della religione cristiana, questa religione che non è le radici più autentiche della nostra cultura ma è riuscita quasi a distruggerle, avremmo dovuto eliminarli da tempo, ma se vogliono che li togliamo ora per dare agli islamici un messaggio di sottomissione, che ora comandano loro, che non siamo più padroni in casa nostra, allora i crocifissi possono rimanere dove sono fino a quando non li avremo sostituiti con i simboli solari e le insegne dei nostri dei. In ogni caso, il messaggio da dare agli islamici e agli altri immigrati, deve essere estremamente chiaro: Questa è casa nostra, qui comandiamo noi. Se non vi sta bene, andatevene!
Riguardo al cristianesimo, a una presunta identità cristiana dell’Europa da contrapporre all’islam, quello che si può dire non è assolutamente nuovo, e non credo di essere granché originale né di affrontare una tematica per me inedita.
Il cristianesimo è nato come eresia dell’ebraismo, da quella stessa matrice semitica-mediorientale da cui più tardi sarebbe stato generato anche l’islam, ed è stato imposto all’Europa con la violenza da alcuni imperatori “romani” traditori del mandato imperiale, come Costantino e Teodosio, che sognavano di trasformare l’impero romano, appunto, in una tirannide sacrale di tipo mediorientale, e in concreto sono riusciti a distruggerlo, a porre fine alla civiltà antica, ad aprire la porta ai “secoli bui”.
Non a caso, ebraismo, cristianesimo e islam sono considerate formare il triplice plesso delle religioni abramitiche, ossia discendenti da Abramo, leggendario capostipite degli ebrei (che va considerato una figura simbolica, indipendentemente dall’esistenza reale di tale personaggio, perché non abbiamo alcun riscontro storico dell’esistenza di nessun personaggio menzionato nell’Antico Testamento).
Una volta preso il potere nella parte occidentale dell’ex impero romano, e trasformatosi in una struttura autoritaria gerarchica, la cosiddetta Chiesa cattolica, un cristianesimo che esteriormente si era fortemente incrostato dei residui delle tradizioni europee (“pagane”) da esso portate all’estinzione, ha per un arco non breve di secoli, esercitato una funzione almeno parzialmente simile a quella di una tradizione europea, compreso il ruolo di centro morale e spirituale della resistenza alle aggressioni che contro l’Europa si sono succedute nei secoli, in primo luogo quelle islamiche, prima quella arabo-califfale, poi quella ottomana.
E’ tuttavia ben chiaro che, esercitando questo ruolo, il cristianesimo si metteva in contraddizione con la sua mentalità profonda, con la sua natura tendente al cosmopolitismo, al pacifismo e – masochisticamente – al martirio. Cosa c’era, in fondo, di più contraddittorio dei guerrieri con la croce tracciata sulle tuniche e sugli scudi, rispetto alla dottrina del porgere l’altra guancia?
Tutto ciò, però, in definitiva appartiene a un orizzonte ormai superato, un’esperienza storica che il cristianesimo e la Chiesa cattolica con il concilio vaticano II hanno lasciato definitivamente dietro di sé, riscoprendo in pieno lo spirito cosmopolita delle origini. Questa Chiesa che oggi chiede scusa a tutto e a tutti se, malgrado se stessa e la dottrina del Discorso della Montagna ha occasionalmente esercitato un ruolo positivo nella storia europea, con i papi che vanno a prosternarsi nelle sinagoghe e presto lo faranno anche nelle moschee non appena saranno un po’ più diffuse dalle nostre parti (e non si può – purtroppo – dubitare che lo saranno), che sta dimostrando in pieno quanto avesse ragione Friedrich Nietzsche nel giudicare il cristianesimo anti-vitale negazione della vita, è oggi da noi in prima linea fra coloro che spingono in tutti i modi ad accettare l’invasione-immigrazione non solo come un fato inevitabile a cui rassegnasi, ma addirittura da accogliere gioiosamente, sottolineandone gli inesistenti aspetti positivi, è da calcolare puramente e semplicemente un nemico, assieme alla sinistra e ai sostenitori della cosiddetta liberal-democrazia.
Esiste ancora, per la verità, una sparuta schiera di cosiddetti cattolici tradizionalisti rimasti aggrappati a un’immagine della Chiesa pre-concilio vaticano II, ma sono come gli gnomi della barzelletta: gli ultimi ad accorgersene quando nel bosco piove.
Non dobbiamo d’altra parte nemmeno credere che l’atteggiamento della Chiesa cattolica sia così disinteressato e caritatevole come vuole parere: circa un terzo degli immigrati sono cristiani, e qui la Chiesa conta di trovare un gregge di fedeli di ricambio e nuovo personale da immettere nei suoi esausti ranghi, stante la “presa” sempre minore che riesce ad avere in Europa e in Italia. C’è poi il business mai esattamente chiarito ma certamente vasto, delle ONLUS e associazioni sedicenti caritative attraverso le quali si riesce a succhiare una quantità non indifferente di denaro dalla sempre generosa mammella pubblica.
Il problema in realtà non è religioso, è etnico-antropologico, in una parola razziale, perché “la cultura” è sempre il portato di una certa costituzione antropologica: “cristiani” provenienti dall’Africa subsahariana che praticano sulle loro donne l’infibulazione e continuano, come dimostrano testimonianze recenti, a manifestare una predilezione antropofaga per la carne di pigmeo, non sono più vicini a noi di qualsivoglia islamico.
Il paragone fra questi “migranti” e i nostri che andavano a cercare lavoro nelle Americhe, in Australia, in nord Europa, non è solo ingannevole, è offensivo. Pensiamo alle dure traversie, alla pesante selezione che i nostri hanno dovuto subire, alle quarantene tipo Ellis Island, prima ancora di iniziare a guadagnarsi lavorando duramente un posto nelle società di arrivo.
Questi scarti umani, invece arrivano qui violando le nostre frontiere in modo illegale, sono subito mantenuti a nostre spese, non si accontentano dell’albergo a tre stelle ma vogliono categorie superiori, no gli basta la TV a colori, ma vogliono la parabola, non gli basta essere nutriti, ma vogliono cibo africano o islamico. Quando i nostri disoccupati, pensionati, esodati sono alla fame, le industrie falliscono perché lo stato non paga i debiti verso di esse e i giovani il lavoro non lo vedono nemmeno col binocolo, noi pensiamo di avere i mezzi per mantenere queste zavorre umane che ben che vada andranno a fare i vu cumprà, altrimenti le prostitute, gli spacciatori, la manodopera della criminalità organizzata, saranno responsabili della metà dei reati e dei due terzi degli stupri e dei delitti a sfondo sessuale.
Noi abbiamo un solo dovere, quello di respingere questa invasione per assicurare un futuro a noi e ai nostri figli e nipoti, e se non possiamo farlo sotto l’insegna del cristianesimo, sarà solo un motivo in più per ammainare questa insegna e rimettere al loro posto i simboli degli avi prima di Costantino e Teodosio.
Fabio Calabrese
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