Il teriantropo posto a guardia del terzo cerchio infernale ha un triplice volto e tre gole profonde che latrano come altrettanti cani rabbiosi, assordando i peccatori confinati nel buio. Tre volte tre, il numero del «divino occulto». Mostra i denti minaccioso quando vede avanzare i viaggiatori calpestando le anime fradice di pioggia gelata: “Noi passavam su per l’ombre che adona / la greve pioggia, e ponavam le piante / sovra lor vanità che par persona” (Inferno, canto VI, 34-36).
Virgilio raccoglie una manciata di terra putrida e la getta nelle fauci bramose del mostro per acquetarlo, affinché il cammino possa continuare. Ma la fame di Cerbero è famelica, come lo fu in vita quella delle anime a lui sottoposte, tra le quali ve n’è una che parandosi davanti a Dante ne sfida la memoria: “riconoscimi, se ne sei in grado (…) voi cittadini [di Firenze] mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa de la gola.”
Agli occhi abituati al peggio di noi «ultimi» dell’Età Oscura può sembrare un’esagerazione finire all’Inferno per avere sforato i parametri stabiliti nei referti degli esami del sangue. Non è abbastanza scontare in vita gli effetti negativi del colesterolo alto e della glicemia fuori controllo? Già la gola punisce se stessa senza fare sconti ai suoi schiavi.
In genere la vittima del proprio insaziabile appetito è un malato da curare. L’opposto del «sano» che si astiene dagli eccessi o segue una dieta, quando non morde frettolosamente il suo pasto e fugge via come un ladro di tempo colto in flagrante. E’ in corso una svalutazione del cibo (voluta da chi non lo sa preparare) che toccherà il suo apice con l’introduzione nei menù di grilli e vermi, cavallette iperproteiche e bistecche sintetiche condite con aromi chimici. Nutrienti per i quali è oggettivamente difficile perdere la testa, motivo per cui l’ingordigia dovrà trovarsi altri canali di sfogo, e in parte lo ha già fatto.
Il mondo dell’Età Oscura “si presenta come una versione mostruosamente obesa, gigantesca, di Internet” scrive Zygmunt Bauman in La Solitudine del Cittadino Globale. Dunque il Vizio capitale resta saldamente ancorato al suo posto e il terzo cerchio dantesco (caso mai esistesse per davvero) non rischia di rimanere a corto di spiriti deboli che ignorando se stessi cadono in schiavitù.
Alle collaudate dipendenze da nicotina, alcol, droghe e psicofarmaci, ultimamente si è aggiunta la gola di possedere l’ultimo ritrovato messo in commercio da Big Tech. Rispetto al passato non è cambiato nulla: tanto era ghiotto di pietanze prelibate il goloso del Trecento, quanto è ingordo di «pane tecnologico» quello del XXI secolo. Se un tempo ci s’ingozzava di cibo fino a crepare, oggi si finisce nella poltiglia dell’indistinto a furia di cliccare.
Qualcuno potrebbe obiettare che il paragone non regge perché i bucatini all’amatriciana sono «tecnica», non «scienza». La tecnologia, invece, cos’è? La soluzione di problemi pratici, ossia l’ottimizzazione delle procedure e la scelta di strategie finalizzate a obiettivi prevalentemente economici. Se questa non è tecnica … di sicuro è lontana dalle materie nobili comparse nell’area mediterranea (verso la fine del IV sec. a.C.) con i teoremi di Eudosso di Cnido, Ippocrate, Euclide, Platone, Archimede, Aristotele ed altri.
In aperta polemica con la trascendenza delle Idee platoniche, proprio Aristotele aprì la strada all’impresa prometeica che sottrasse al sapere degli dèi la conoscenza tecnica (quella scientifica era troppo complicata) per farne dono alle capacità speculative dell’intelletto umano. Le quali, però, avrebbero potuto diventare altamente performative qualora si fossero coltivati con umiltà e rispetto i propri limiti. Cosa che puntualmente non è accaduta.
Gradualmente la vanità ha preso così il sopravvento, l’accortezza è andata a farsi benedire e la tecnica, oggi tecnologia, non è entrata nel novero delle Scienze con la «S» maiuscola, mantenendosi tuttavia nei dintorni. Il suo «saper fare» produce piacere e crea dipendenza, quindi è più vicino all’arte culinaria di quanto si possa immaginare.
D’altra parte, sarebbe stato sorprendente il contrario. S’è mai vista un’impresa prometeica che va a buon fine anziché finire in tragedia? E’ fisiologico che l’umanità proceda di male in peggio, e mai di bene in meglio, in quanto il passaggio di consegne implica il deterioramento dell’essenza delle cose. Ne consegue che il fantomatico Progresso è una marcia verso il nichilismo. Un’avanzata verso il nulla. Un movimento verso la distruzione. La credenza religiosa (il progressismo) di una civiltà senza fede.
Contraddicendo se stesso il mondo ipertecnologico dell’Età Oscura NON E’ un’isola storica di invenzioni prodigiose dove una suprema Autorità Morale promuove il Bene e diffonde la Pace nel mondo. Questa è una fiaba della buonanotte, le ultime «grandi invenzioni» planetarie parlano chiaro: il 5G ci metterà al collo un cappio scorsoio di onde elettromagnetiche, gli pseudo-vaccini non immunizzano dai virus, le risorse idriche scoperte sulla Luna rimarranno là dove si trovano, la cuffia mascellare (l’Alterego del MIT) che dovrebbe trasformare in «colloquio interiore» il rapporto tra l’uomo e la tecnologia è un accessorio di cui nessuno sentiva la mancanza.
D’altronde l’idea delle «progressive magnifiche sorti», qualora trovasse uno sbocco concreto, sarebbe in contrasto con alcune semplici regole poste alla base del concetto di entropia (dal greco ἐν en, “dentro”, e τροπή tropé, “trasformazione”) secondo cui, stante la costante dell’energia totale (primo principio della termodinamica), si riscontra nel soggetto osservato una perdita di qualità, cioè una sorta di degrado, a causa di una innata tendenza al disordine.
Non per niente il pensiero tradizionale colloca il tempo migliore ai primordi e concepisce il cammino dell’uomo come una caduta verso il basso. Partiti dalla parola d’ordine «più tecnologia per tutti!» siamo per l’appunto arrivati a più fame di energia, più sete di combustibili fossili e terre rare, più sfruttamento dell’aria e delle acque, più scorie da smaltire, più sorveglianza e meno scrupoli. Epperò … l’ingegno umano si è tenuto allenato.
Se così fosse non si capisce allora perché funzioni un tempo svolte con intelligenza (praticamente tutte) oggi vengano delegate alla robotizzazione, cioè a soluzioni preconfezionate e standardizzate, a fronte di un impegno mentale minimo. E siccome l’ozio è il padre dei vizi, eccoci qui sdraiati sotto il pentolone di Google come i golosi danteschi calpestati nel fango e confusi nella melma gelata. “Noi passavam su per l’ombre che adona / la greve pioggia, e ponavam le piante / sovra lor vanità che par persona” (Inferno, canto VI, 34-36).
Scriveva Guy de Maupassant che la gola è la più complicata di tutte le passioni, la più difficile, la più inaccessibile ai comuni mortali, la più sensuale nel vero senso della parola, la sola degna degli artisti più raffinati. Si è ghiotti come si è artisti, si è talentuosi come si è «maestri di tecnica».
A modo suo anche la tecnologia è un’«arte» capace di dare impulso alla creatività. Il suo inventore (ma non il fruitore!!!) è un individuo dotato d’immaginazione che opera essenzialmente su cinque livelli: 1) INTUIZIONE PRIMARIA: il sorgere «istintivo», cioè lontano dal pensiero logico razionale, di una forma che si suppone esista ma che ancora non è possibile collegare alla rete paradigmatica convenzionale. 2) SATURAZIONE: la ricerca di una concretizzazione dell’intuizione primaria attraverso lo studio e l’osservazione in un agire logico e razionale. 3) INCUBAZIONE: il momento di stasi che subentra quando deluso dal risultato il ricercatore abbandona il campo d’indagine per dedicarsi ad altro (o almeno così crede, perché in realtà continua a lavorare inconsciamente). 4) ILLUMINAZIONE: il momento in cui la coscienza prende atto (magari, perché al ricercatore è caduta una mela in testa) di ciò che emerge dall’inconscio e che è stato impossibile alla coscienza. 5) VERIFICA: l’atto con cui si procede alla conferma sperimentale dell’illuminazione.
Come si può notare due di queste fasi (intuizione primaria e incubazione) non appartengono alla coscienza logica razionale, rispondendo a spazi inconsci, al contrario dell’illuminazione che rappresenta il momento in cui una conoscenza già ben strutturata a livello inconscio viene a galla a livello conscio. Ma, c’è un «ma», ed è anche bello grosso.
L’industria digitale basata sulla spregiudicatezza del potere economico è un mostro famelico deciso a rifondare il destino biologico dell’uomo per entrare nella modalità post-umana, o semi-divina, che storicamente corrisponde alla fase che precede il crollo finale. Sulle prime il suo peccato sembra riguardare più la superbia che la gola, ma Dante ha risolto anche questo problema.
Sostando tra i golosi egli chiede a Ciacco di fare una previsione politica per Firenze. Il ghiottone risponde che per almeno tre anni (3): la superbia, l’invidia e la brama di guadagni (3) saranno le tre scintille (3) che infuocheranno gli animi dei Fiorentini, finché tra i Bianchi e i Neri s’inserirà il solito terzo elemento destinato a godere tra i due litiganti.
Ci sarebbe da ridere se finisse così anche la faida che attualmente coinvolge Elon Musk e Bill Gates. Dopo tanti giri e raggiri, fini tessiture e trame occulte, speculazioni scorrette e odi feroci, con il botto uscirà dal cilindro la sorpresa capace di spostare gli equilibri mondiali, ridefinendo la mappa geopolitica del globo.
Come i politici danteschi anche gli affaristi del XXI secolo si dibattono tra superbia, invidia e brama di guadagni. Il loro incubo peggiore è la prospettiva di «sparire», un pensiero agghiacciante per chi ha assaporato il gusto afrodisiaco del potere. Mentre il codazzo di gregari che li segue (scientisti e politicanti) si accontenta di raccogliere le briciole della futile notorietà, come il parassita Ciacco, che reclama attraverso il visitatore umano i suoi 15 minuti di gloria: “[Ma] quando sarai tornato nel dolce mondo terreno, ti prego di ricordarmi ai vivi: non ti dico altro e non ti rispondo più” (Inferno, canto VI, 88-90).
Da qualsiasi punto la si guardi una dipendenza è una dipendenza, cioè l’opposto della libertà. L’immoderato desiderio avvertito tra lo stomaco e la gola dai sibariti di ogni epoca e censo nasce da una mancanza, che, per quanto riguarda il tempo ultimo dell’Età Oscura, prospera nella solitudine monadica di ogni individualista rintanato nel proprio covo domestico.
I casi più gravi di tecno-dipendenza si registrano nella generazione Y dei millennial che armata di occhialoni smart (intelligenti) cerca di affogare le proprie frustrazioni nella fabbrica delle illusioni di amicizia e condivisione, affetto e intimità. Queste povere persone credono davvero alla favola bella del progresso illimitato (che sarebbe la versione scientificamente corretta della zucca di Cenerentola) capace di condurre l’umanità nel castello dell’impossibile.
Un equivoco risalente all’affermazione di Leibniz (1646-1716) secondo cui un mondo, qualsiasi mondo, sarebbe solo uno dei molti mondi possibili concepiti da dio. Qualcuno chiese al pensatore tedesco perché esistesse allora questo mondo al posto di un altro, sentendosi rispondere che al momento della creazione dio aveva semplicemente scelto il migliore tra tutti i mondi possibili. Da qui la visione psichedelica, forgiata dai riflessi pop del decostruzionismo, di un presente sempre più radioso del passato.
Non era previsto che la tecnica digitale, ormai avulsa dai principi scientifici che l’hanno generata, si avvitasse in un processo di progressivo degrado. Ma è successo. Né risolleverà le sue sorti la foga riformatrice con cui essa controlla, censura, sanziona e ripudia tutto ciò che fino a ieri aveva accordato alla società umana un orizzonte di senso.
L’israeliano Yuval Harari, filosofo ufficiale del World Economic Forum, sostiene in Sapiens, da animali a dèi (un deludente saggio ideologico) che “la scienza e la rivoluzione industriale hanno conferito all’umanità poteri sovrumani”. Un’affermazione comica se riferita all’uomo meno libero di sempre che lavora, consuma e crepa senza capire un’acca di ciò che gli gira attorno. Nei prossimi anni, dice il global-guru Harari, tutti avranno un impianto neuronale e la vita eterna nel regno digitale, Google e Microsoft decideranno quale libro dovremo leggere, chi sposare e per chi votare, mentre le grandi aziende saranno libere di hackerare gli esseri umani a piacimento.
Per fortuna il predicatore woke parla al popolo dei tecno-dipendenti strappando un sorriso a quanti hanno ancora “li ‘ntelletti sani”, come direbbe Dante. Le sue parole suonano come il canto del cigno di una civiltà terminale che tenta disperatamente di tenere in vita la propria debole visione a scapito di tutte le altre, e forse non ci riuscirà. Morto il progresso (attento al benessere sociale) è sopravvissuto lo sviluppo (essenzialmente volto al profitto), che a furia di avvilupparsi su se stesso s’è chiuso in un pugno di dollari.
Premesso che la naturale vocazione al capitalismo di Big Tech sta continuando (per ora) a dare buoni frutti, qualcosa si muove. Persino la Borsa inizia a non credere più che i grandi guadagni del futuro saranno tecnologici. A breve potrebbero tramontare dunque le grandi abbuffate rituali del Black Friday e del Cyber Monday (entrambe collegate al Giorno del Ringraziamento americano), o comunque ridimensionarsi gli acquisti nel redditizio supermercato dei tecno-prodotti.
La situazione è fluida, non si possono fare previsioni. Premono alle porte una guerra nucleare, una guerra per l’energia, una guerra per l’acqua, una guerra monetaria, una guerra industriale, una guerra culturale tra mondi opposti. Nel caos generale potrebbe non andare in porto perfino la creazione di una nuova coscienza digitale, cioè il progetto di rifare l’uomo dall’interno lacerando ogni appartenenza, ogni legame che non sia diretto dalle sue dinamiche.
L’occasione è propizia per disintossicarsi e cambiare registro. Perché gettarsi a corpo morto nelle fauci di Cerbero, il gran vermo, che virtualmente simboleggia la frutta, quando ancora deve arrivare il dolce? Chi può dire cosa succederà?
Solo sull’utilità della redenzione spirituale non ci sono dubbi, come suggerisce Dante offrendo nel terzo cerchio un assaggio del Giudizio Universale. Quasi volesse ricordare ai golosi che l’unica fame da assecondare senza indugio è quella di «pan degli angeli» (Paradiso, canto II, 11) poiché della contemplazione mistica, come dei misteri divini, non si è mai sazi.
Significa che l’eternità non è preclusa a quanti in vita hanno ceduto alla gola? Al riguardo Virgilio si mostra pessimista: “Ritorna a tua scienza, / che vuol, quanto la cosa è più perfetta, / più senta il bene, e così la doglienza” (Inferno, canto VI, 106-108). Pensa piuttosto alla fisica aristotelica [la tua scienza], dice al discepolo, secondo la quale quanto più una cosa è perfetta tanto più intensamente sente il piacere e il dolore.
Ma nel grande cuore di Dante c’è posto per tutto e per tutti. Anche se questi dannati non saranno mai perfetti per via della loro dipendenza, ricorda al lettore, dopo il Giudizio essi raggiungeranno comunque la completezza del loro essere. “Tutto che questa gente maladetta / in vera perfezion già mai non vada, / di là più che di qua essere aspetta” (Inferno, canto VI, 109-111). La deflagrazione finale e la vicinanza saranno determinanti, rendendo ogni miseria un ricordo lontano.
Per quanto ci riguarda la cosa può significare che la Fine aiuterà la nuova umanità a superare il «disincanto del mondo» (Weber), cresciuto a dismisura con lo scientismo dogmatico che ha comportato la cacciata dell’aspetto spirituale dalla società. Sarà dimenticata la frenesia del tecno-consumo e nessuno arriverà più a «disfarsi» come Ciacco, reso irriconoscibile dalla sua dipendenza. Si perderanno le tracce dell’individualismo che è un soggetto artificiale, mentre riemergerà la comunità che è un organismo vivo di gran lunga preesistente. Dopo di che … avviandosi verso il quarto cerchio i vagabondi dell’Inferno si dicono in privato cose che il Fiorentino non ritiene opportuno riferire, il lettore immagini dunque ciò che può fargli vivere al meglio il presente. Intanto il futuro prende di sorpresa, non siamo noi ad afferrarlo.
(il viaggio continua)
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