Il tema dell’inconscio e delle dinamiche scaturenti da una analisi profonda dell’essere nascosto, è stata al centro di una ricerca pittorica e visiva (film) che nasceva da un intimo desiderio volto a scandagliare i recessi remoti della mente e dell’anima. Stiamo parlando del “Surrealismo”, movimento culturale del Novecento la cui genesi vede la luce a Parigi negli anni 20. Principale teorico di tale corrente fu il poeta André Breton, influenzato in questa ricerca dal pensiero freudiano legato all’inconscio, ai sogni e al simbolismo onirico che ne deriva, formulato da Freud nel 1900. Non vi aderì Giorgio De Chirico (Volo, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978), che pure aveva fornito con la sua pittura metafisica un contributo determinante alla nascita del movimento, mentre vi aderì, seppure con una certa originalità, il fratello Andrea, più noto con lo pseudonimo di Alberto Savinio. L’influsso marxista e le incursioni comuniste all’interno di questa realtà artistica probabilmente, spinsero De Chirico a non condividere certe scelte di ordine politico.
Lo stesso Salvador Dalì (1904-1989), uno dei massimi esponenti del Surrealismo, era fortemente contrario a queste inflitrazioni e rimase sempre su posizioni conservatrici. Abbiamo detto che la nuova corrente culturale-pittorica venne ispirata dalla pittura Metafisica de chirichiana, vero e proprio stile che affonda nei recessi più nascosti della mente in maniera quasi esoterica, in cui le atmosfere dal sapore classico e magico sembrano echeggiare nei dipinti del grande artista. Rinveniamo in tale analisi sperimentale -a nostro giudizio- l’esperienza e l’influenza del lavoro dello Psicologo, analista e psichiatra svizzero, uno dei padri della psicoanalisi assieme a Sigmund Freud, Carl Gustav Jung (1875-1961), che fu anche studioso di medianità e fenomeni paranormali. Fortemente dotato a livello paranormale, nella sua autobiografia dal titolo Ricordi, sogno riflessioni, Jung esordisce con queste parole: “La mia vita è la storia di un autorealizzazione dell’inconscio”. E, in effetti, l’esistenza del grande studioso fu decisamente anomala, eccezionale, circonfusa da impenetrabile mistero.
Jung e lo Gnosticismo
Coscienza e coscienza exstrasomatica
origini della pittura metafisica?
Da queste sue esperienze disseminate negli anni comunque estrapolò le sue teorie sulla coscienza, fortemente influenzate dall’antico pensiero gnostico, il movimento magico-religioso dai contorni ermetici (dottrina ermetica), sviluppatosi soprattutto nel II, III secolo nell’ambito del cristianesimo esoterico-iniziatico, del quale costituiva la maggiore tendenza eterodossa. Questo circolo ermetico, la cui regole erano contenute nei famosi Libri Apocrifi, rinvenuti intorno al 1945 a Nag Hammadi (alto Egitto), celava nelle pratiche segrete e interne, elementi alchimici di notevole spessore operativo. Il termine Gnosticismo nasce dalla parola greca gnosis e indica la sapienza, la conoscenza segreta del Divino, che i seguaci dell’Ordine affermavano di possedere. Jung approfondirà in particolare il pensiero dello gnostico Basilide (metà del II secolo d.C.), che contribuirà a illuminare le teorie junghiane e lo avvicinerà alla Grande Opera alchimica. Secondo la visione ermetica di Basilide, esiste nell’essere umano una duplice valenza, identificabile nel dualismo cosmico, nel quale convergono luce e tenebra scaturenti dall’incontro tra il mondo terrestre e quello celeste. Nell’ambito di tale concezione si colloca, inoltre, il concetto legato alla parte nascosta dell’uomo, il lato oscuro insito nella natura umana. Jung intravide in questo postulato la possibilità che l’uomo rappresentasse il ponte teso sull’abisso fra questo mondo, il regno dell’oscurità (l’astrale, da astreo, ossia privo di luce) e il regno luminoso e celeste.
Non a caso affermava che esiste un’indipendenza dell’anima da spazio e tempo, ampiamente dimostrata dai fenomeni extranormali. Egli sosteneva a riguardo che l’esistenza temporale interiore è parallela a quella esteriore, e per tale ragione noi esistiamo parallelamente in entrambi i mondi, cosa di cui di tanto in tanto ci coglie l’intuizione. Ciò che però è al di fuori del tempo non può modificarsi secondo le nostre concezioni: possiede una relativa eternità. In sostanza, Jung considerava la coscienza e l’inconscio egualmente importanti e legava la coscienza all’Io, come si rileva dalle sue parole: “La coscienza necessita di un centro, di un Io che sia cosciente di qualcosa. Non conosciamo alcun tipo di coscienza, né potremmo immaginarne una che sia priva di un Io. Non può esistere alcuna coscienza, senza qualcuno che affermi: “Io sono conscio” ”. Da questa interpretazione prenderà vita il concetto junghiano di Supercoscienza o Coscienza extrasomatica, molto vicina all’immagine simbolica dell’Ermete interiore, il vero tempio delle pratiche alchimiche. La pittura Metafisica non sfugge a tale postulato. Le famose piazze dipinte da De Chirico, assumono strane identità che collegano l’inconscio o meglio, la Coscienza extrasomatica a quelle dimensioni che paiono svilupparsi in diversi piani, in realtà parallele che si snodano in mondi solo apparentemente conosciuti ma in vero collocati oltre la soglia del piano fisico.
Ettore e Andromaca
Nel dipinto “Ettore e Andromaca”, la componente metafisica è fortissima, carica di ancestrali richiami che riconducono ai recessi più insondabili dell’io, dove luci e ombre sembrano rincorrersi in un gioco di magistrali chiaroscuri, e mediante elementi geometrici che ne segnano tutto il mistero. La luce sul fondo, quasi spettrale, genera inquietudine, si affaccia in un luogo sconosciuto e, la stasi dei personaggi, conferisce a tutta la scena un sapore di immoto, un senso di attesa, mentre il bagliore che si promana dal basso del fondo, assume il ruolo di benefica conclusione. È la luce della coscienza risvegliata che allude al risveglio dell’Io addormentato, alla nuova consapevolezza, frutto di chi sa ritrovare la sua vera essenza, di quanti percorrono la strada, la via, il sentiero che conduce nelle regioni altre, illuminate dalla Lux rivelatrice, suprema Conoscenza.
L’opera di De Chirico è unica, inimitabile anche se molto imitata. Un mondo, anzi un Universo, in cui si muovono curiosi personaggi, situazioni al confine tra paradosso e magia. Miti che si rinnovano sulla tela, riportando alla luce le antiche e affascinanti storie di eroi e di mitici uomini-animali, come i centauri e le sirene che appaiono sulla superficie pittorica o gli splendidi cavalli che sono colmi di vitalità e magia. Una assoluta alchimia di cromatismi che trasporta oltre i confini dell’anima, al di là di quanto è solo materia, per veicolarci nel sottile, dove la materialità è attenuata ma non assente. La presenza di forme androginiche nel contesto dell’opera di De Chirico è palese. I celebri manichini asessuati lo confermano. Alchimiche assonanze percorrono i suoi dipinti e confluiscono nell’ignoto, nel mistero, il vero mistero che è l’uomo stesso, anche se egli non ne è consapevole.
Stefano Mayorca
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