Di Mario M. Merlino
In Al di là del bene e del male Nietzsche ricorda come l’idea del suicidio aiuti a superare molte notti insonni. Non sono d’accordo, io che tendo a dormire a corrente alternata e scrivo le cose più belle (del resto tutto ciò che scrivo è circonfuso d’aurea grandezza… o quasi!), proprio mentre il ronfare pesante di Cristiano mi suscita momenti d’invidia. No, l’idea del suicidio – domanda prima ed essenziale secondo il filosofo francese Albert Camus, l’unico atto di libertà rimastoci – richiede la luce del giorno, dopo aver bevuto un caffè forte, che ci consente il possesso pieno e consapevole di come e quanto sia osceno il mondo con il suo carico d’uomini e cose… Così, spettatore e partecipe, ognuno di noi sa dire a se stesso che, nella differenza, si può e si deve fare un passo avanti un passo ancora… Se no è altra cosa – come l’argomento della mia tesi verteva intorno al ‘suicidio metafisico’ in Carlo Michelstaedter –, cioè una chiacchiera vana e sciocca. Pensare a descrivere il mondo è già di fatto renderlo diverso, rifletteva e si opponeva alla notoria citazione di Carlo Marx tra teoria (‘i filosofi fino ad oggi si sono limitati a descrivere il mondo’) e prassi (‘tocca oggi ai filosofi cambiarlo’) Giovanni Gentile. Condivido, ma il morire nella mente e il morire nel corpo non sono la medesima cosa, anzi la distanza è il più delle volte incolmabile (anche perché, in caso contrario, la terra sarebbe già da lunga data un deserto)…
Quando non mi soffermo sulla tastiera, come avviene in questo momento, o il libro rimane a mostrare copertina o dorso, dopo che ho risolto con la prostata il contenzioso anagrafico e in cucina ho miscelato del tè con aromi alla liquirizia o d’altra spezia, so che, rivolto alla finestra e, oltre ad essa, al cielo, stellato o nuvoloso poco conta, mi dedico a banali pensieri intorno all’eternità. Non pensieri sull’immortalità che sono altra cosa (Mishima Yukio a questi ultimi rivolge l’estremo messaggio ‘la vita umana è troppo breve ed io vorrei vivere per sempre’. Se, tramite il seppuku, non avesse posto termine all’esistenza e ‘la voce degli spiriti eroici’ avesse esaudito il suo estremo desiderio, forse egli avrebbe trovato altro motivo di dolersi, la noia o l’abitudine ad esempio… Ho sempre guardato alla condizione degli dei con una certa benevolenza perché, in fondo, sono destinati a pagare lo scotto, ad essere condannati ad una forma d’infelicità che all’uomo non è data – non è loro concesso, a loro l’impotenza di osservarsi allo specchio e scoprire la misura del tempo).
Ecco il prezioso dono che ci proviene – chissà – dalla Signora della notte, dalla Luna, poter solo noi pensare all’Eterno pur immersi nella pattumiera della storia, nell’immondezzaio dell’esistenza… Uomini e vermi. Mishima rende ‘in sortilegio’ (la scrittrice francese Marguerite Yourcenar, Mishima o la visione del vuoto) la bella e poetica espressione di ‘raccoglitore del suolo notturno’ per indicare l’uomo che pulisce le latrine – figura di giovane che discende dalla montagna circonfuso dal sole al tramonto. E’ una visione che si apre alla notte e ai ‘sortilegi’ appunto del chiarore lunare. (Una notte d’estate, dancing Vallechiara, andato giù di brutto con gin e limonata, ho abbracciato il palo di un lampione e ho ululato alla luna la disperazione e la follia che m’usciva da dentro, non so perché).
E questa sera è una di quelle notti in cui i miei pensieri vorrebbero essere essi stessi eterei come lo vorrebbe il mio corpo, qui, seduto sulla vecchia poltrona stile napoleonico, che la mia famiglia s’è tramandata da più generazioni – ‘Che in vita sua fu tutto e non fu niente! -, avverto ‘il raggio della luna, ecco, viene a chiamarmi’… e m’accarezzo il dorso della mano. Sensazione lieve, eppure è viva sensazione. E mi chiedo se di questa natura consiste dunque, ciò che chiamiamo ‘eterno’. ‘A di là delle categorie di anima e corpo noi vediamo l’Essere’. Quando m’attardo o mi coinvolgo nella ricerca di netta lucida pulita nientità, di questa nientità, che sola potrebbe elevarmi oltre il quotidiano esperire, so dove rivolgermi a conforto.
Già, alla mie spalle, vi è uno scaffale ove vi sono gli autori francesi a me cari. Cèline, che mi ha mostrato come nelle strade ormai è dato sognare; Robert Brasillach, il mio fratello più caro, da cui ho tratto la giovinezza la fierezza e la speranza e tanto ancora; suo cognato Maurice Bardèche il cui libro Che cos’è il fascismo? è stata la premessa per riconoscere ‘la patria là dove si combatte per le nostre idee’; e tanti altri ancora. E ovviamente, se ci si vuole porre di fronte all’Assoluto senza la mediazione di dei troppo antropomorfi, Drieu la Rochelle: ‘Diventare sempre più mistico. La parola Dio inganna e ostacola lo slancio spirituale’.
Ecco: mi dico d’essere stato un uomo fortunato… Con simili ‘camerati’ – e i tanti altri che mi sorridono dai tre lati della stanza – non sono mai stato senza compagnia, anche perché te li porti nella mente e nel cuore quando vivi isolato dal resto del mondo (mi vengono a mente i mesi nella cella di isolamento dove ricostruivo a memoria riflettevo conversavo ad alta voce con loro). Essi ci hanno educato a proteggere l’identità che deve sussistere tra dottrina e azione per evitare d’essere
‘teste d’angelo senza corpo’ o ai bruti assimilati. E coloro, che ci hanno preceduto, a testimoni.
‘teste d’angelo senza corpo’ o ai bruti assimilati. E coloro, che ci hanno preceduto, a testimoni.
Sì, Drieu la Rochelle ha spinto se stesso – e noi con lui – là dove nessuno ancora ha osato andare (questa è la funzione dell’intellettuale) – pensare l’Eterno mentre la carne le ossa e il sangue ruggiscono inani per la bella battaglia. (Si legga L’uomo a cavallo: ‘La sua patria è amara a chi ha sognato un impero. Che cos’è una patria se non una promessa d’impero?’ e, dunque, ‘…dietro agli Dei… dietro al sole, c’è l’indicibile’). Solo così noi, simili a vermi, facili ad essere calpestati dal destino dalla storia dalle necessità, ci ergiamo tra le macerie a sfida di un umano che già si rende (in)consapevole d’aver abbandonato la sua effimera condizione. Pensieri eterni per una notte insonne; Drieu a condurci per mano fra i sentieri di quel ‘detto-non dicibile’, sì, e all’alba l’ascia di guerra lo scudo il cavallo per tornare a combattere ancora…
Questo è Eterno…