di Riccardo Tennenini
Flavio Claudio Giuliano nato a Costantinopoli nel 331 dal ramo legittimo della famiglia di Costanzo di Cloro, frequentò le scuole di Pergamo, Efeso ed Atene, dove maturò la sua adesione al neoplatonismo e alla Religione dei Padri. Una volta divenuto imperatore diede l’avvio a un’opera di restaurazione religiosa o ellenismo militante, dove dalla polemica anticristiana proseguita da Porfirio si impegnò nella produzione di testi dottrinari di quel monismo solare, collegato coi miti greci e le dottrine misteriche, con il tentativo di tradurre in termini della filosofia neoplatonica l’esperienza iniziatica. Morì il 26 giugno del 363.
Giuliano con il suo enoteismo solare voleva dimostrare a tutti che il Dio Helios è l’unico, vero Dio e che le numerose divinità non sono che ipostasi, ossia aspetti particolari, manifestazioni specifiche e settoriali dell’unica, suprema divinità solare. Spengler nel “tramonto dell’Occidente” scrive: ” Vi è un solo Dio e Giuliano è il suo profeta“. Plotino aveva riconosciuto nell’Uno il principio dell’essere ed il centro della possibilità universale, il suo successore Porfirio aveva fatto del neoplatonismo una “religione del libro”. Essi aveva dedicato anche un trattato teologico riportato nei “Saturnalia” di Macrobio dove si legge: “ Nella sua trattazione Porfirio non fa altro che applicare la metafisica platonica che riconduce all’Uno ogni aspetto del cosmo alle divinità più importanti del pantheon classico, L’Unico, che dal punto di vista teologico viene a determinarsi come Sole, in quanto quell’essenza spirituale sul piano cosmico si “appoggia” all’astro del giorno in quanto Apollo egli è splendore salute e lucentezza… in quanto Mercurio poi, egli “presiede” ogni attività ricondotta ad una presenza divina solare“. Nello Yasht, 10, 136 inno iranico Mitra compare su un carro con una sola ruota d’oro, che viene trainato da cavalli bianchi. Commodo dice:
o immagini di quelli invisibili. Il Sole che vediamo è il riflesso di quello intellegibile, che non appare; e così la Luna e gli atri sono immagini degli intellegibili. Questi Dèi intellegibili invisibili e immanenti, coesistenti, generati e procedenti dello stesso Demiurgo, Platone li conosce. Il Demiurgo parla di “Dèi” di esseri invisibili e “di Dèi” quando parla di esseri visibili. E da essi elaborò cielo e terra, mari e astri e generò il mondo intelligibile e i loro archetipi. Perché siete così ingrati verso i vostri Dèi, che li avete disertati per passare dalla parte dei giudei? Forse perché gli Dèi concessero a Roma di regnare mentre ai giudei diedero di essere liberi per breve tempo, e poi vivere per sempre in servitù e tra popoli stranieri? Guarda Abramo non era forse un forestiero in terra straniera? E Giacobbe: non fu schiavo in Siria e poi in Palestina e in vecchiaia in Egitto? Non dice Mosè di averli condotti fuori dall’Egitto, via dalla casa di schiavitù, con il braccio teso? (Esodo, 6, 6) E dopo essersi stanziati in Palestina, non hanno mutato le loro sorti più spesso di quanto il camaleonte, a detta degli osservatori cambia il colore, ora assoggettandosi ai Giudici (Giudici, 2,16), ora servendo uomini d’altra stirpe? E quando furono governati dai re non domandiamoci ora come lo fossero, poiché, secondo la scrittura (I Samuele, 8), Dio non consentì loro di essere governati da un re, ma vi consentì dopo essere stato da loro costretto e dopo aver permesso che sarebbero stati mal governati – abitarono la loro terra e la coltivarono per poco più di trecento anni. In seguito schiavi di Assiri, Medi, Persiani, e infine di noi stessi. Anche quel Gesù che viene da voi annunciato era uno dei sudditi di Cesare. Voi dite che dunque egli venne registrato, col padre e la madre sotto Cireneo (Luca, 2,2). Ma diventato uomo, di quali benefici diventò autore per i suoi consanguinei? Essi non lo vollero infatti, dicono, obbedire a Gesù. E perché? Quel popolo dal cuore duro e dalla cervice di pietra (Ezechiele, 3, 7). Come poté obbedire a Mosè? E Gesù, lui che comandava agli spiriti (Marco, 1, 27) e camminava sul Mare e scacciava i demoni, e che, come voi dite, aveva creato il cielo e la terra – in realtà nessuno dei suoi discepoli ha osato dire questo di lui, se non il solo Giovanni, e in modo chiaro ed evidente nemmeno lui, ma ammettiamo che lo abbia detto – Gesù non poté cambiare le inclinazioni dei suoi amici e consanguinei, per la loro salvezza? Cominceremo a sottoporre ad esame particolare i prodigi e gli inganni dei Vangeli. Ora rispondetemi su questo punto. E’ meglio essere ininterrottamente liberi e per duemila anni interi comandare sulla maggior parte della terra e del mare, oppure essere schiavi e vivere agli ordini di altri? Nessuno è così spudorato da preferire la seconda alternativa. Si potrà mai pensare che il vincere una guerra sia peggio dell’essere sconfitti? Chi è così insensato? Se queste cose sono vere, indicatemi presso gli ebrei un solo generale come Alessandro, uno solo come Cesare! Non ce ne sono sicuramente tra voi. Inoltre la costituzione dello Stato, la procedura giudiziaria, l’amministrazione, le leggi, lo sviluppo delle scienze, l’esercizio delle arti liberali non erano forse presso gli ebrei, in una considerazione miserabile e barbara? Eusebio pretende che anche presso di loro vi siano esametri e anta presso gli ebrei lo studio della logica, il cui nome è stato coniato dai Greci. Quale forma di medicina appare presso gli ebrei, come quella di Ippocrate e di altre scuole a lui posteriori? Salomone è paragonabile, tra i Greci, a Focilide, Teognide, Isocrate? E come? Sicuramente, se tu paragonassi e esortazioni di Isocrate ai proverbi di quello, troveresti, lo so bene, che il figlio di Teodoro gli è superiore. Dicono che egli praticava la teurgia e allora non fu adoratore dei nostri Dèi anche lui, ingannato dalla moglie. Se dunque fu così non chiamatelo sapiente. Invidia e gelosia non sfiorano gli uomini migliori. Voi invece vi rivolgete ai santi che non di sbaglierebbe a chiamare potenze demoniache. Qui infatti c’è orgoglio e vanagloria, mentre tra gli Dèi non c’è nulla di simile. Mosè, che essi dicono abbia preannunciato, anche lui, la futura nascita di Gesù. Mosè ritiene giusto onorare un unico Dio, che chiama anche superiore a tutti, ma non dice di onorarne un’altro. Egli però nomina angeli e santi e, nonostante tutto, più Dèi; ma scelto il primo non ne ammette un’altro come secondo né simile né dissimile così come ve lo siete inventati voi. La frase “Un profeta vi farà sorgere il Signore Dio nostro di tra i vostri fratelli, simile a me lui ascolterete” (Atti, 3, 22; Deuteronomio, 18, 18). Non è certo riferita a colui che nacque da Maria. Così come la frase: “Non mancherà un principe disceso da Giuda, né un condottiero disceso dai suoi lombi” (Genesi, 49, 10) riferita al regno di Davide. Quando le scritture dicono: “finché sia giunto quello che a lui riservato” afferma che i Cristiani l’abbiano contraffatta con: “finché non sia giunto colui al quale ciò è riservato”. Queste affermazioni non si riferiscono a Gesù che non è nemmeno della stirpe di Giuda. Come potrebbe esserlo non è nato da Giuseppe ma dallo Spirito Santo? Infatti, quando tracciate la genealogia di Giuseppe, lo si riconduce a Giuda, anche questo vi siete inventati bene. Se prendiamo per buona il principe disceso da Giuda ma non il Dio nato da Dio nei Numeri è detto: “Si un astro da Giacobbe e un uomo da Israele”. Ciò si riferisce ai discendenti di Davide infatti essi è il figlio di Jesse. Giuliano citando più volte passi dove viene detto di adorare un unico Dio i cristiani con la trinità andrebbero contrari al principio monoteista. Isaia, 7, 14 dice: “Ecco, la vergine avrà un figlio nel suo ventre lo partorirò”. Sia pure detto di un Dio benché non lo sia stato detto in nessun modo; non era infatti vergine colei che si era maritata prima di partorire, si era coricata col marito. Ma si conceda pure che sia così; dice forse Isaia che sarà un Dio quello generato dalla vergine? Ma voi in modo incosciente continuate a chiamarla Maria “madre di Dio” sebbene da nessuna parte c’è scritto che Gesù è il figlio unigenito di Dio (Giovanni, 1,18) e “primogenito di tutta la creazione” (Colossesi 1, 15). Quindi se il Verbo è Dio da Dio è provenuto dalla sostanza del Padre, come potrebbe una donna umana partorire il Verbo? Nonostante Dio dica chiaramente: “Io sono il salvatore e non ce n’è un’altro all’infuori di me” (Deuteronomio, 32, 39). Voi quindi avete chiamato salvatore non Dio stesso ma ciò che è nato da Maria? Mosè chiama Dèi gli angeli e dice: “I figli di Dio, avendo visto che le figlie degli uomini erano belle, si presero delle spose tra tutte quelle che avevano scelte” (Genesi, 6, 2). Inoltre leggiamo: “E dopo, come i figli di Dio si furono accostati alle figlie dei uomini, si generarono dei figli; quelli erano i giganti (Nefilim) celebri da sempre” (Genesi, 6, 4). Poi Giuliano diceva che i Cristiani mangiano tutto senza regola e che mentre la legge di Mosè è perpetua, quella affermata da Paolo dove dice: “termina della legge è Cristo” (Romani, 10, 4) non esiste da nessuna parte e non è stato né da voi né dai vostri padri, debba essere un Dio, un Verbo.
Il suo secondo testo è “Inno al Re di Helios”, in cui cosmo divino è bellissimo, che dall’alto della volta celeste fino all’estremo limite della terra è tenuto assieme dall’indistruttibile provvidenza del Dio, esiste increato dall’eternità ed è esterno per il tempo restante, da null’altro essendo conservato se non direttamente dall’etere aristotelico, la cui sommità è il “raggio del Sole”, poi, ad un grado superiore, dal mondo intellegibile, e, in un senso ancora più elevato, dal Re dell’universo, nel quale tutte le cose hanno il loro centro. Ciò che è al di là dell’intelligenza (Plotino, Enneadi), oppure l’idea degli esseri (e con ciò intendo l’ intellegibile totale), oppure l’Uno poiché è anteriore a tutte le cose, oppure il Bene come è solito chiamarlo Platone, appunto questa causa incomposta di tutte le cose , per tutti gli esseri modello di bellezza, di perfezione, di unità e di potenza irresistibile, in virtù originaria essenza creatrice permanente in lei, ha manifestato da sé Helios, grandissimo Dio, del tutto simile a sé, per farne mediatore tra quelle cause mediatrici che sono le cause intellettuali e demiurgiche.
Inno sacro al Sole di Flavio Giuliano Imperatore.
“Canto la gloria del risplendente Dio del Sole, la bellissima progenie del possente Giove, Colui che, attraverso la vivificante fonte solare, nella sua mente creatrice nascose la forma di una triade di splendidi Dei solari; da cui le multiformi forme del mondo emersero dalla mistica tenebra nella magnifica luce, perfetta e ricolma di beni della sfera intellettiva. Salve a te! Dio oltremondano della luce divina, l’immagine più bella del bene sconosciuto: poiché, come la luce procede dall’Uno, il Dio degli Dei, il fiore senza paragone della bellezza, gli Intelligibili, con occulti raggi divini, illumina; così dai raggi di Apollo, esultando glorioso grazie al potere dell’armonia, il mondo della mente è colmato in esuberanza di luce che eleva, il Sole visibile largamente diffonde attraverso il mondo dei sensi, una luce che tutto genera, bella e divina. A Te, come Apollo luminoso, appartiene l’unire la moltitudine in unità, e molte nature generare da una sola; con vigore nella tua essenza riunire i differenti livelli delle forme secondarie; e attraverso una perfetta unica natura essenziale (natura/principio) combinare tutte le varie essenze e i poteri della generazione. Ti è proprio, tu esente dalla molteplicità, ispirare nelle forme subordinate la verità profetica; poiché verità e pura semplicità sono un’unica cosa; del preservare il potere incorrotto la tua essenza libera è la fonte. Celebri mistici poeti dei tempi passati, in canti sacri, ispirati da Te, come il Signore che scaglia la freccia costantemente ti invocavano, come Colui dall’irresistibile dominio poiché i tuoi raggi colmi di forza colpiscono come frecce, e completamente, tutto ciò che il mondo privo di misura contenga di oscuro o privo di ordine, Tu distruggi. E infine la tua rivoluzione circolare è il segno del movimento che armonizza in uno le varie nature di questo possente Tutto. Dunque, la tua prima monade luminosa, oh Dio illustre, enuncia la verità e la luce intellettuale; quella luce che, nell’essenza degli Dei, sussiste con raggi unificati e non conosciuti. La seconda distrugge tutto ciò che è confuso; e dalla tua terza l’universo è legato con perfetta simmetria e retto consenso, attraverso splendide cause e un potere armonico. Aggiungiamo che alla tua essenza, fra gli Dei mondani, è assegnato un ordine sopra-mondano, un non generato e supremo potere di comando su tutte le categorie delle forme generate, e nei sempre fluenti reami dei sensi un’ intellettuale dignità di dominio. Ti appartiene un doppio avanzamento – uno in congiunzione con gli Dei mondani, l’altro soprannaturale e sconosciuto: poiché quando il Demiurgo creò il mondo Egli fece nascere una luce nella sfera solare, non simile allo splendore delle altre sfere celesti, tratta dai più occulti recessi della sua natura, un simbolo perfetto delle forme intellettuali, apertamente annunciando, con il suo splendore, in ogni angolo di questo incredibile Tutto, la solitaria e arcana essenza di tutti i sovrani Dei sopramondani. Perciò infatti, quando i tuoi raggi adornarono il mondo, gli Dei mondani furono rapiti dalla tua vista; così attorno alla tua orbita, con zelo emulativo e sinfonia divina, Essi desiderarono danzare, e cogliere ogni abbondanza dalla tua fonte luminosa. Attraverso il tuo calore manifesto tu spingi in alto le nature corporee dalla pigra terra, ispirando un vivido potere vegetativo; attraverso una natura segreta e divina, liberi dai basici legami della materia, attraverso una natura inerente nei tuoi raggi che tutto generano Tu porti all’unione con la tua forma meravigliosa le anime esaltate che negli oscuri domini della materia terribilmente lottano per rivedere le dimore luminose: Tu colmo di bellezza, dai sette raggi, Dio sopramondano! La cui mistica essenza segretamente emette le splendide fonti della luce celeste. Poiché fra i sovrani Dei sopramondani un mondo solare e una luce assoluta esiste, una luce che brilla come la fertile monade, superiore ai tre mondi. Sacri antichi Oracoli, così dissero, che la Tua orbita gloriosa al di là della sfera delle stelle e nell’ultimo reame dell’etere ruota. Ma nel tuo cammino, armoniosamente divino, la tua orbita quattro volte attraversa questi mondi; così rivelando (mostrando) dodici poteri di Dei luminosi, attraverso dodici divisioni della zona obliqua. Ancora colmo di forza creativa, ciascuna dividi in tre di differente livello. Così, dalla quadruplice eleganza e grazia dei tempi e delle stagioni, generate dal tuo percorso, l’umanità riceve un triplo beneficio, il perenne dono delle Grazie che muovono in circolo. Dio che tutto concedi, Tu che liberi l’anima dalle oscure catene corporee della genesi, assisti la tua stirpe, conducila sulle ali del pensiero, al di là della stretta delle terribili (illusive) mani della Natura, rapida nell’ascendere, per raggiungere il tuo mondo incantevole. Il sottile abito della mia anima perfeziona, eterea, salda e colma di luce divina, il suo antico carro da Te assegnato; nel quale avvolta, attraverso il cielo stellato, spinta dall’impulso del folle desiderio, ella precipitò fino a che, le sponde del Lete, preda dell’oscurità, infelice, raggiunse, e perse così ogni conoscenza del suo stato precedente. Oh migliore degli Dei, daimon perfetto, dalla corona fiammante, sicuro rifugio della mia anima nell’ora del dolore, il porto paterno nelle dimore luminose, ascoltami e libera la mia anima dalla punizione, la punizione che è dovuta agli errori passati, a causa dell’oscurità del Lete e del desiderio mortale. Se per lunghi anni sarò condannato a rimanere in questi terribili domini destinato all’esilio dal reame luminoso, oh, concedimi presto i mezzi necessari per raggiungere quel bene che la solitudine concede alle anime che emergono dalle onde dolorose del flutto impetuoso ed oscuro dell’illusoria materia. Così che, ritirandomi dal gregge volgare e dall’empio discorrere dell’era presente, la mia anima possa trionfare sui mali della sua nascita; spesso a Te congiunta in dolcissima unione attraverso un’energia ineffabile, possa elevarsi al di là delle più alte forme sopramondane e nel luogo supremo contemplare, emergente dalla profondità intelligibile, la trascendente, solitaria bellezza del Sole”.
L’ultimo tra i più importanti “Inno alla Madre degli Dèi” ci riporta:
“…dopo i Greci anche i Romani accettarono il culto della Madre degli Dèi e così decisero di trasportare la santissima statua dalla Frigia a Roma trasportando il sacro carico mettendola su un’ampia barca che poteva affrontare i mari. Dopo aver attraversato l’Egeo e lo Ionio e navigato intorno alla Sicilia e sul Mar Tirreno, entrò nelle foci del Tevere. Il popolo si riversa fuori dalla città insieme col Senato prima degli altri, le si recavano contro i sacerdoti e tutte le sacerdotesse, tutti nell’abbigliamento conveniente, secondo le tradizioni avite; con l’animo sospeso, osservavano la nave che correva spinta dal vento e scorgevano intorno alla chiglia il frangesi delle onde divise. Poi salutavano la nave che entrava in porto, prosternandosi di lontano, ciascuno dove si trovava ad essere. La Dea volle dimostrare al popolo romano che non stavano trasportando un semplice simulacro inanimato ma ciò che avevano ricevuto dai Frigi possedeva un potere divino. Quando la barca toccò il Tevere la Dea arrestò la nave come se all’improvviso la barca fosse radicata al Tevere. La trascinarono contro corrente, pensarono di essere caduti in una secca e tentarono di spingerla ma essa non si muoveva. Applicarono ogni espediente per fare muovere la barca ma essa rimase immobile, sicché un terribile ed ingiusto cadde sulla vergine Clodia consacrata al santissimo sacerdozio accusata di non essersi conservata immacolata e pura per la Dea. Quando tale accusa su di lei divento sempre più forte, si tolse il cinto, lo mise intorno alla prua della nave e, come per una qualche ispirazione, ordinò a tutti di allontanarsi, poi pregò la Dea che non cadesse in preda di ingiuste calunnie. Poi disse: Madre, Signora, se sono casta seguimi!”. E solo così la nave si mosse e ma la trascinò per lungo tragitto controcorrente. Quel giorno la Dea dimostrò due cose: la prima che come dice Plutarco quella che trasportavano era una di quelle che lui chiama “statua vivente” e la seconda che nessuno né buono né cattivo può nascondersi da lei perché con i suoi influssi attira a se tutto il popolo. Il mito di Attis è l’evento sacro più importante che possiamo riassumere con le parole di Sallustio: “Si dice che la Madre degli Dèi. avendo visto Attis coricato presso il fiume Gallo, se ne innamorò e, preso il suo pileo adorno di stelle, glielo mise in capo, e in seguito tenne con sé; ma egli, innamorandosi d’una ninfa, lascia la Madre degli Dèi, si unì alla ninfa. Ed è per questo che la Madre degli Dèi fa si che Attis impazzisca e, tagliatisi i genitali, li lasci presso la ninfa, poi ritorni di nuovo a convivere con lei”. L’interpretazione di questo mito rappresenta l’essere (Madre degli Dèi) e il divenire (Ninfa). Attis rifiutando la Madre degli Dèi si allontana sempre più dal divino immateriale, preferendo la Ninfa si avvicina al profano materiale. Così la Dea lo fa impazzire causando la sua castrazione. La sua evirazione è un freno contro spinta senza fine. E la sua punizione che esso si infligge per aver fatto la scelta sbagliata. Nel contempo la sua castrazione è la morte, e resurrezione egli rappresenta i frutti della terra, che muoiono in inverno solo a salire di nuovo in primavera. Mente il pileo stellato è il fiume Gallo della Frigia, identificato con la Galassia, che costituisce il limite di Attis prima che discenda nella materia. E’ qui infatti, dicono, che la corporeità mutevole si mischia con l’inalterabile moto circolare del quinto corpo”.