Di Claudio Mutti
Al fine di abbozzare un ritratto dell’Imperatore Giuliano, Sergio Quinzio fece ricorso ad un’originale analogia, paragonando l’“Apostata” a papa Giovanni Paolo II e individuando nell’azione di ciascuno dei due il disperato tentativo di mantenere in vita una religione ormai al tramonto. “Se Giuliano mi avesse interpellato circa la possibilità della rifondazione della civiltà pagana, – scriveva il teologo – avrei dato la stessa risposta negativa che darei oggi se il Papa mi interpellasse circa la possibilità della rifondazione della civiltà cristiana” (1). Non solo: “proprio lo sforzo di restaurazione compiuto dal giovane imperatore contribuì allora a far definitivamente precipitare il paganesimo. E la cosa mi sembra puntualmente ripetersi, per quel tanto che nella storia si danno puntuali ripetizioni” (2).
Un parallelo altrettanto originale venne proposto da Jacques Fontaine nella conversazione con un giornalista che gli suggeriva un raffronto tra Giuliano e altri protagonisti della storia “con progetti abbastanza simili” (sic!) quali Hitler o Stalin. “Io – rispose il docente di lingua e letteratura tardolatina – lo affiancherei meglio, se si volesse, a Khomeini. Per il fanatismo, per il sentirsi investito da un ruolo divino, per il fatto di considerarsi un dio. E poi per la cultura. Per la violenza, il settarismo. Di Giuliano abbiamo descrizioni fisiche molto precise. Una, di Ammiano di Antiochia (la barba a punta, gli occhi magnetici, la figura ieratica), lo fa davvero molto assomigliare, anche nei tratti, all’ayatollah iraniano” (3).
La galleria dei personaggi storici ai quali Giuliano era stato paragonato in passato venne così ad arricchirsi. Probabilmente Hitler avrebbe gradito l’accostamento, lui che più volte ebbe a manifestare la propria ammirazione per il grande “Apostata” (4). Quanto a Stalin, non siamo in grado di immaginare che cosa ne avrebbe pensato.
Per quanto riguarda Khomeini, lasciando da parte i luoghi comuni sciorinati da Fontaine, un discorso un po’ meno banale avrebbe potuto considerare il carattere teocratico comune al progetto dell’Augusto ed a quello dell’Imam, per cui un riferimento all’azione restauratrice del monoteismo islamico avrebbe potuto richiamare il “monoteismo di Stato” (5) del tentativo giulianeo. Tale accostamento non sarebbe stato del tutto peregrino, visto che Franz Altheim ha affermato l’esistenza di una parentela ideale fra la teologia solare antica e l’Islam. Secondo Altheim, infatti, “i Neoplatonici (…) erano anche i battistrada di Maometto e del suo odio appassionato contro tutte le fedi che attribuivano a Dio un ‘compagno'” (6). Sulla medesima lunghezza d’onda si colloca Henry Corbin, che all’inizio di un suo saggio sulla dottrina dell’unità divina nell’Islam sciita evoca la letteratura fiorita negli anni Venti del Novecento intorno al “dramma religioso dell’Imperatore Giuliano” (7).
Eppure, fu proprio Jacques Fontaine a riproporre, in rapporto alla religione che Giuliano officiò come pontifex maximus (8), il concetto di “monoteismo solare”, al quale hanno fatto spesso ricorso coloro i quali hanno indagato le manifestazioni religiose dell’età imperiale. Secondo lo studioso francese, infatti, la forma che la tradizione greco-romana assume all’epoca di Giuliano è quella di “una sintesi di tutte le religioni e le teologie pagane, sotto il segno del monoteismo solare” (9); ovvero, se si preferisce il termine usato da altri studiosi, di un “enoteismo solare” definibile nei termini seguenti: “Giuliano vuole dimostrare a tutti che il dio Helios è l’unico, vero dio e che le numerose divinità romane altro non sono che ipostasi, ossia aspetti particolari, manifestazioni specifiche e settoriali dell’unica, suprema divinità solare” (10).
Comunque la si voglia definire, la dottrina difesa da Giuliano è sintetizzata da varie epigrafi coeve che proclamano l’unicità di Dio, nonché l’unità e unicità del potere imperiale (11); epigrafi che secondo Oswald Spengler potrebbero essere tradotte così: “Vi è un solo Dio e Giuliano è il suo profeta” (12). La ricorrenza di questo tema, che “ha un’importanza centrale nella concezione politica di Giuliano” (13), ha indotto la Athanassiadi-Fowden a parlare addirittura di “ossessione per l’unità” (14) e a dare risalto al fatto che “Giuliano non abbia neanche concepito la possibilità di condividere il potere con un associato, ma si sia invece considerato l’unico vicario di Dio sulla terra” (15). Questa concezione politica trova la sua formulazione più antica in Omero, il quale fa dire a Odisseo: “Non è un bene la pluralità dei capi, uno solo sia capo” (16); Seneca esporrà lo stesso principio per l’Impero romano, dicendo che “è stata la natura a plasmare il Re” (17); e Filone Alessandrino aggiungerà il corollario della corrispondenza tra politeismo e democrazia: “Dio è uno solo, e ciò contro i fautori dell’opinione politeistica, i quali non si vergognano di trasferire dalla terra al cielo la democrazia, che è la peggiore tra le cattive istituzioni” (18).
Considerata in un quadro storico, la formulazione giulianea della teologia solare si colloca in una fase matura del neoplatonismo, nella quale i cardini dottrinali di questo movimento spirituale si trovano già definitivamente fissati e consolidati. Se il fondatore della scuola, Plotino (204-270), aveva riconosciuto nell’Uno il principio dell’essere ed il centro della possibilità universale, il suo successore Porfirio di Tiro (233-305) aveva fatto del neoplatonismo una sorta di “religione del Libro” (25); autore di uno scritto Sul Sole (26), Porfirio aveva dedicato alla teologia solare un trattato di cui sussistono importanti frammenti nei Saturnali di Macrobio (27). “Nella sua trattazione Porfirio non fa altro che applicare la metafisica platonica – che riconduce all’Uno ogni aspetto del cosmo – alle divinità più importanti del pantheon classico, rivelando come esse non siano altro che attribuzioni particolari dell’Unico, che dal punto di vista teologico viene a determinarsi come Sole, in quanto quell’’essenza’ spirituale sul piano cosmico si ‘appoggia’ all’astro del giorno (…) in quanto Apollo egli è splendore, salute e lucentezza (…) in quanto Mercurio poi, egli ‘presiede al linguaggio’ (Saturn., I, XVIII, 70), cosicché ogni attività viene ricondotta ad una presenza divina – ‘solare’” (28). Ma fu l’erede di Porfirio, il “divino Giamblico” (250-330), colui che con la sua dottrina “convertì (…) l’ultimo imperatore pagano alla sua eliolatria trascendente” (29). Dopo Giuliano, è possibile seguire la tradizione “solare” fino a Proclo (410-485), autore fra l’altro di un Inno a Helios (30), nonché al suo contemporaneo Marziano Capella, che con l’inno-preghiera di Filologia al Sole (De nuptiis, II, 185-193) ci ha lasciato un “documento notevole della ‘teologia solare’ del tardo neoplatonismo” (31), anzi, “l’ultima attestazione del sincretismo solare in Occidente” (32); infatti verso il 531, con la fuga in Persia dello Scolarca Damascio (470-544) e degli altri neoplatonici, la tradizione “solare” abbandonerà il mondo cristiano e continuerà la propria esistenza negli stessi luoghi dai quali si era irradiato, diffondendosi in tutta l’Europa, il culto di Mithra.
NOTE
(1) S. Quinzio, Come l’Apostata anche Wojtyla combatte contro il tempo in nome dell’antica religione, in Il Manifesto, 13 agosto 1992, p. 13.
(2) Ibidem.
(3) Imperatore e khomeinista, intervista con Jacques Fontaine di Sandro Ottolenghi, in Panorama, 7 giugno 1987, p. 143.
(4) A. Hitler, Idee sul destino del mondo, Edizioni di Ar, Padova 1980, I, pp. 68, 78, 223.
(5) G. Ricciotti, L’imperatore Giuliano l’Apostata, Mondadori, Milano 1962, p. 275.
(6) F. Altheim, Dall’antichità al Medioevo. Il volto della sera e del mattino, Sansoni, Firenze 1961, pp. 14-15. Ma soprattutto si veda, di F. Altheim, Il dio invitto. Cristianesimo e culti solari, Feltrinelli, Milano 1960, dove la relazione fra teologia solare e Islam viene collocata sullo sfondo del progressivo affermarsi del monoteismo solare nella tarda antichità. “Recentemente si è sottolineata l’intima affinità del monofisismo con l’Islam. Si è definito Eutiche, uno dei padri della dottrina monofisitica, precursore di Maometto. La predicazione di Maometto era infatti ispirata dall’idea di unità, dall’idea che Dio non avesse alcun ‘compagno’, e si poneva così sulla stessa linea dei predecessori e vicini neoplatonici e monofisiti. Solo che la passione religiosa del Profeta seppe dare un rilievo ben più vigoroso a quello che prima di lui altri avevano sentito e desiderato” (F. Altheim, Il dio invitto, cit., p. 121).
(7) H. Corbin, Il paradosso del monoteismo, Marietti, Casale Monferrato 1986, p. 3.
(8) J. Fontaine, Introduzione a: Giuliano Imperatore, Alla Madre degli dèi e altri discorsi, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, Milano 1990, p. lv.
(9) J. Fontaine, ibidem.
(10) S. Arcella, I Misteri del Sole. Il culto di Mitra nell’Italia antica, Controcorrente, Napoli 2002, p. 183.
(11) “Uno è Dio, uno è Giuliano basileus”, “Uno è Dio, uno è Giuliano Augusto”. Cfr. E. Peterson, HEIS THEOS. Epigraphische, formgeschichtliche und religionsgeschichtliche Untersuchungen, Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen 1926, pp. 270-273.
(12) Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente, Longanesi, Milano 1957, p. 970.
(13) Augusto Guida, Un anonimo panegirico per l’Imperatore Giuliano, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1990, p. 127.
(14) Polymnia Athanassiadi-Fowden, L’Imperatore Giuliano, Rizzoli, Milano 1984, p. 205.
(15) P. Athanassiadi-Fowden, op. cit., p. 206.
(16) Omero, Iliade, II, 204.
(17) Seneca, De clementia, 1, 19, 2.
(18) Filone, Creazione del mondo,171 (Filone di Alessandria, La creazione del mondo. Le allegorie delle leggi, Rusconi, Milano 1978, p. 146).
(19) Franz Altheim, Il dio invitto, cit., pp. 11-12.
(20) Marta Sordi, Il cristianesimo e Roma, Cappelli, Bologna 1965, p. 328.
(21) Nel 307, ad Alessandria, un cristiano compare davanti al funzionario imperiale. Rifiuta di sacrificare perché, dice, secondo le Sacre Scritture chi sacrifica agli dèi sarà sterminato, a meno che non si tratti del Dio Sole. E il rappresentante dell’imperatore gli risponde: ‘Immola dunque al Dio Sole’” (Louis Homo, Les empereurs romains et le christianisme, Les Belles Lettres, Paris 1931, p. 112).
(22) Lucio De Giovanni, Costantino e il mondo pagano, Associazione di Studi Tardoantichi, Napoli 1972, p. 19.
(23) Andreas Alföldi, Costantino tra paganesimo e cristianesimo, Laterza, Bari 1976, p. 49.
(24) L. De Giovanni, op. cit., p. 121.
(25) Nuccio D’Anna, Il neoplatonismo. Significato e dottrine di un movimento spirituale, Il Cerchio, Rimini 1988, p. 22.
(26) Lo scritto, perduto, è citato da Servio (Commento alle Ecloghe, V, 66) ed è forse da identificarsi col trattato Sui nomi divini; o, forse, faceva parte della Filosofia degli oracoli. Cfr. G. Heuten, Le “Soleil” de Porphyre, in Mélanges F. Cumont, I, Bruxelles 1936, p. 253 ss.
(27) Macrobio, Saturnalia, I, 17-23 (I Saturnali, a cura di Nino Marinane, UTET, Torino 1977, pp. 243-304).
(28) N. D’Anna, op. cit., pp. 49-50.
(29) Franz Cumont, La Théologie solaire du paganisme romain, in Mémoires présentés par divers savants à l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, XII, 2, 1913, p. 477.
(30) Proclo, Inni, a cura di Davide Giordano, Fussi-Sansoni, Firenze 1957, pp. 21-29.
(31) Martiani Capellae De nuptiis Philologiae et Mercurii liber secundus, Introduzione, traduzione e commento di Luciano Lenaz, Liviana, Padova 1975, p. 46.