Di Mario M. Merlino
Agli inizi degli anni ’90 ho conosciuto Antonio Serena, senatore della Lega Nord. Egli, ogni volta che per gli impegni istituzionali si necessitava la sua presenza nella capitale, prendeva alloggio all’hotel Julia, in via Rasella, dove l’amico e camerata Mauro Tappella lavorava come direttore. Con Mauro s’era creato un bel sodalizio, insieme a giovani ragazze e ragazzi, con cui si allestivano momenti d’incontro tra parole e musica (Valerio, mio ex alunno, le componeva e le suonava al pianoforte o, in mancanza, alla tastiera). Ad esempio Le sbarre e le stelle, dedicato a Robert Brasillach e ai Poemi di Fresnes, oppure La rosa fra i denti, mutuato il titolo dallo scudetto di battaglia della XMAS. Per alcuni anni li presentammo a Roma e in diverse altre città d’Italia. Una bella esperienza, creativa e inusuale, rispetto ad un ambiente ostile o comunque in difficoltà di fronte a certe forme di cambiamento. Poi Mauro vide sorgere in sé un tumore di quelli devastanti, di quelli che si usa dire non perdonano…
Fu, dunque, Mauro a presentarmelo e si parlò due o tre volte. Egli proveniva, studente di liceo (è nato nel 1948), dagli ambienti di Europa e Civiltà e, di conseguenza, gli era noto il mio nome – e, forse, lo incuriosiva –; a me era familiare quale autore del volume I giorni di Caino, Panda Edizioni, 1990. Seicento pagine fitte di caratteri tipografici e di orrore tradimenti viltà bassa e spietata macelleria in quella stagione dove ‘la pietà è morta’ quando, per citare un verso riportato nel libro del poeta francese Andrea Chénier, finito sotto la ghigliottina al tempo del Terrore giacobino, ‘tinta del sangue dei vinti,/ ogni spada è innocente’. Insomma i giorni i mesi, in alcuni casi, gli anni a guerra civile (1943-’45) finita quando la ferocia delle bande partigiane – e non furono soltanto quelle comuniste, come i libri di Pansa lasciano credere (assolvendo così tutti gli altri e la resistenza nel suo complesso) – ebbe facile gioco e impunita libertà di massacrare i repubblichini, veri o presunti, con le loro donne i loro figli bambini. Libro corredato da innumerevoli fotografie, i volti di gente ‘pulita’, di un’Italia che oramai non c’è più, come annotava Pier Paolo Pasolini in Scritti corsari (di quel ‘fascismo archeologico’, come si esprimeva), di quegli uomini e di quelle donne che amare la patria e il mondo che l’aveva rappresentata per vent’anni era naturale doveroso d’innata fierezza e, di contro, le foto del loro martirio della gogna di ludibrio oltre ogni immaginazione a mettere ancora più in risalto il ghigno l’ebbrezza sadica l’oscena allegria dei vincitori. Penso alla sequenza della fucilazione del professore Tullio Santi a Carpenedo, nei pressi di Mestre, il volto tumefatto il naso rotto dalle botte costretto a reggere una trave con uno straccio nero e la foto di Mussolini attaccata sulla schiena eppure nobile nel portamento e lo sguardo di chi è ormai al di là, al di sopra d’ogni nefandezza vile e plebea… Primavera del ’68 – o forse dell’anno successivo –, cancelli d’ingresso dell’università La Sapienza, Roma. I militanti della Caravella distribuiscono un volantino di color rosa, il volto sfumato di Drieu la Rochelle e la celebre poesia – o parte di essa –: ‘Noi siamo uomini d’oggi./ Noi siamo soli./ Non abbiamo più dei./ Non abbiamo più idee./ Non crediamo né a Gesù Cristo né a Marx./ Bisogna che immediatamente,/ Subito,/ In questo stesso attimo,/ Costruiamo la torre della nostra/ disperazione e del nostro orgoglio…’. I compagni, gli anonimi studenti lo prendono, quasi nessuno lo appallottola, si schifa, commenta polemico, magari scuotono la testa, sorridono o si fanno perplessi. In fondo era quello che avrebbe voluto Drieu, ‘né destra né sinistra’, le vivide pagine di Gilles sulla giornata del 6 febbraio 1934, un’unica onda composta dai giovani patrioti e dai giovani comunisti a spazzare via, un immenso tsunami di rivolta morale, il parlamento i suoi rappresentanti vecchi e corrotti, ebrei massoni radicali. Una rivolta generazionale, fuori e contro i partiti le ideologie le ipocrite e superate parole lanciate a contrapposizione per ingrassare le casse di chi governa e di chi sta all’opposizione del sistema. Prima delle bombe delle P38 delle stragi del sangue generoso sull’asfalto delle sbarre dei chiavistelli della latitanza dell’odio…
Sul tavolo di ‘lavoro’, computer penne e matite fogli di carta dei libri in paziente e silenziosa attesa d’essere letti un mazzo di carte napoletane (amo fare un solitario di cui, quando mi stanco che non riesce, cambio le regole a mio favore…come con il destino!). Oggi un vecchio libro, edito nel giugno del 1965, titolo Drieu la Rochelle il mito dell’Europa, autori Mario Prisco Guido Giannettini Adriano Romualdi, ed uno fresco fresco di stampa, giugno 2014, Edizioni Settimo Sigillo, l’autore è Antonio Serena e il titolo Drieu aristocratico e giacobino. Centottanta pagine discreta bibliografia diverse fotografie. Il primo letto su la Rochelle, dopo i Poemi di Fresnes di Brasillach, tra uno scontro all’università e la Germania, terra di pagane evocazioni e di amori eterni e perduti; il secondo a ricordo appunto di Antonio Serena, Mauro Tappella e in mezzo anni di scuola di pubblicazioni e conferenze di battaglie in primo luogo contro l’anagrafe. Cinquant’anni quasi verso quelle ‘atmosfere in nero’, quello spazio fra le due guerre ove si levarono, inquieti e affascinanti, scrittori come appunto Drieu la Rochelle Robert Brasillach, il mio fratello più caro, e lo straordinario dottor Céline… Fedele ad essi, fedele a me stesso.
Figura complessa ed inquieta – non a caso Serena lo definisce già dal titolo ‘aristocratico e giacobino’ – è lo stesso Drieu a dare la definizione a cui egli tende, a cui sente di appartenere: ‘La funzione degli intellettuali, o almeno di un certo tipo di intellettuali, è quella di spingersi al di là dell’avvenimento contingente, di tentare cammini rischiosi, di percorrere tutte le strade possibili della storia. Niente di male se sbagliano. Hanno compiuto una missione necessaria, quella di andare dove non c’è nessuno’. (Accortamente Serena ricorda il libro di Julien Benda Il tradimento dei chierici in cui il filosofo lamentava l’impegno degli scrittori verso scelte politiche ed ideologiche, venendo meno al compito originario di dedicarsi all’arte alle scienze alla speculazione metafisica). No, Drieu non appartiene a quel tipo umano, oltre che di scrittore, egli chiede risposte adeguate e in qualche modo profetiche di fronte al tema della decadenza di Francia e dell’Europa.
Qui sta il suo apparente percorso oscillante tra poli opposti, quel costante mutare posizioni scelte soluzioni; contraddizioni apparenti perché unica è la tentazione di essere colui che propone mentre sono le forze in campo ad imporre regole e motivazioni. Se è la forza l’unica legge, il volano dei cambiamenti, e la vittoria il metro di giudizio, che peso possono avere le parole? Cosa esse contano? Eppure senza la parola – ‘tempus loquendi, tempus tacendi’, cappella di Ixotta nel Tempio malatestiano di Rimini, espressione tanto cara al poeta Ezra Pound – cosa rimarrebbero se non le mani a edificare o distruggere, se non le gambe per dare senso al cammino e tentare di travalicare la linea dell’orizzonte, mute e senza memoria…
Dove cercare, dunque, il luogo ove la forza sgorga quale nuova linfa vitale, atta a ridestare la fierezza e la speranza all’uomo europeo, per donargli nuovo orgoglio d’essere di buona razza di conquistatore e non assistere impotente e rassegnato a questa ‘povera Europa’ abbandonata ‘ai quattro venti del tuo disastro. Vento asiatico, vento slavo, vento ebraico, vento americano’. Come molti intellettuali, più di quanti hanno tentato di farci credere, grandi personalità, Drieu la Rochelle scopre nel fascismo la risposta. E ciò in quanto nel fascismo è una giovane aristocrazia dello spirito e dell’azione ad emergere prepotente e volitiva. Eterna in quanto, nel tempo e nelle circostanze, c’è sempre chi s’impone reagisce si solleva e vince. Costui ‘Ha qualcosa del crociato, del soldato della Guerra dei cento anni, del mercenario delle guerre di religione, del conquistador spagnolo, del pioniere puritano. Del volontario giacobino, del veterano napoleonico’. E, certo, si potrebbero aggiungere molteplici altri esempi… E’ un fascismo reale o di un Drieu visionario? Gli storici si fanno sotto per bacchettare, ironizzare, cautelarsi (penso al nostro Renzo De Felice, nobile il suo intento, un lavoro certosino e fitto di documenti per trarre, come l’illusionista dal suo cilindro, il fascismo simile a un contenitore vuoto. Beh, di questo fascismo senza idee senza sangue senza spirito che me ne faccio? Berto Ricci o Niccolò Giani hanno scelto la fedeltà e il sacrificio non la chiacchiera le patacche e gli orpelli…) – ‘tentazione’ o ‘illusione’, quando cercano d’essere meno sprezzanti –, ma noi certo abbiamo a cuore il libro che arricchisce ma preserviamo anche la nostalgia della spranga dei nostri vent’anni che ci ha educato a scendere in piazza e a restarci e soprattutto quanto profuma d’eresia – l’irriverenza di Brasillach la rabbia di Céline l’Europa di Drieu appunto e come sottrarla dalla decadenza.
Seguendo questo ‘pellegrino’, come lo stesso Drieu amava definirsi, questo ‘fascista dal cuore socialista’ – la definizione è di Julien Benda (Socialismo fascista, scritto nel 1934 e edito in Italia integralmente nel 1973, è il saggio più riuscito e profondo) – Antonio Serena sottolinea, capitolo dopo capitolo, il percorso dello scrittore e in fondo l’intima coerenza del domandare incessante rispetto alle risposte contingenti. I capitoli brevi, mai superficiali, dove la citazione, sovente onnivora, occupa ampio spazio rendendoci così un Drieu inquieto dubbioso insofferente contrastato – un nichilista imperfetto perché, al di là del momento storico, c’è in lui una domanda metafisica, di religiosità ove lo spirito esige essere appagato ben oltre le forme rivelate, le chiese, i culti, quel ‘diventare sempre più mistico’. Quando il 15 marzo del ’45, dopo tutta una serie di tentativi, compagni fedeli della sua esistenza (si legga Racconto segreto), egli si dà la morte, sul suo tavolo da lavoro rimane una copia aperta delle Upanishad, il testo sapienziale che con i Veda disegna la spiritualità delle genti Arya. Nell’opera incompiuta Le memorie di Dirk Raspe (in Italia per la Sugar editore, 1968), scritta negli ultimi mesi di vita e ruotante intorno alla figura del pittore Van Gogh, si legge: ‘Siete una persona inquieta, nervosa, solitaria. In fondo siete un anarchico’… Per quanto mi riguarda tanto mi basta.