LIBERTA’ DI PENSIERO E LIBERTA’ DI ESPRESSIONE
Che differenza c’è fra democrazia e dittatura o autocrazia? Ma che domanda banale si dirà: nella prima c’è libertà, nelle seconde no. Libertà di ogni genere come ben prevede la nostra Costituzione, anche se, su influenza del PCI, il primo articolo afferma che essa, proprio come nelle repubbliche popolari dell’Est europeo sovietizzato dopo la guerra mondiale, è “fondata sul lavoro” invece che sulla “libertà”. Cosa di cui invece si mena gran vanto anche da parte del capo dello Stato.
Non è un bizantinismo, dato che oggi le democrazie occidentali si stanno trasformando in peggio conculcando una delle libertà fondamentali, quelle di pensiero ed espressione per colpa di un virus micidiale che non si riesce a fermare o solo controllare, anzi prolifera sempre più e che non è il Covid, ma il “politicamente corretto”, nato, sviluppato, proliferato negli Stati Uniti d’America grazie alle élites progressiste e che da tempo è sbarcato in Europa, come si segnalò anni fa su queste pagine.
La political correctness è poi tralignata nella cancel culture, la cultura che vorrebbe cancellare per sempre molte cose del presente ma soprattutto del passato che viene sempre più accettata per conformismo e assuefazione da giornalisti e intellettuali occidentali che la diffondono: cancellare fatti, personaggi, idee o anche semplici parole ed espressioni a molti oggi sembra qualcosa di perfettamente “normale”. E invece è l’esatto contrario.
Ad esempio, l’ipotesi lanciata da questi ambienti di correggere, rettificare, modificare, sostituire vocaboli e addirittura concetti un tempo del tutto scontati e ovvi (e non offensivi, ma adesso invisi alle élites di sinistra) presenti in opere storiche o letterarie sia “alte” che popolari, va in questa direzione. Ovviamente opere del passato prossimo o remoto, perché ormai chi vuole adeguarsi a simile conformismo si adegua…. Si ricorderanno i casi esemplificativi di “negro” e “zingaro”, oggi sostituiti da “nero” e “rom”…
Tutto questo vuol dire né più né meno censurare e la censura è tipica delle dittature e non delle democrazie indipendentemente dai motivi che siano dietro di essa, politici, ideologici, morali, ovviamente nei limiti delle leggi e delle regole civili, perché – è chiaro – libertà non vuol dire anarchia e arbitrio: non si è liberi di insultare, calunniare, dileggiare, oltraggiare e così via. Per questo esistono i Codici civile e penale.
Inutile ricordare ancora una volta il fondamentale 1984 dove Orwell teorizzò la “neolingua”: una società in cui ad esempio “guerra” voleva dire “pace” (non può non venire in mente l’odierno caso Russia/Ucraina). E le cui regole codificate in appendice al romanzo bisognerebbe ristampare e far conoscere a tutti.
È anche ovvio che la società si modifica (in meglio o peggio a seconda i punti di vista), le regole cambiano, i gusti anche: basti pensare a quel che scandalizzava nella Italia democristiana Anni 50 e che oggi fa sorridere. Ma l’atmosfera di “caccia alle streghe” odierna è assai diversa.
Tanto per fare un esempio concreto dell’aria che tira è stata presa di mira l’intera opera narrativa per ragazzi di Roal Dlhl a partire da La fabbrica di cioccolato (1964) che ha innescato la polemica per cui l’editore (con il consenso degli eredi, si deve ritenere) sta sostituendo tutte le parole ritenute attualmente “scorrette” e tali da “offendere” i giovani e giovanissimi lettori con altre, ad esempio – si pensi un po’ – termini come “ciccione” o “nano”! E ora tocca ai romanzi di James Bond scritti fra il 1953 e il 1965 da Ian Fleming, e adesso dopo mezzo secolo e più, certe sue espressioni, certe sue parole risultano a tal punto invise al politicamente corretto che i romanzi di 007 saranno ripubblicati con il seguente avviso ai lettori: “Questo libro è stato scritto in un’epoca in cui termini e atteggiamenti che potrebbero essere considerati offensivi dai lettori moderni erano comuni. In questa edizione sono stati apportati alcuni aggiornamenti, pur rimanendo il più possibile fedeli al testo originale e al periodo in cui è ambientato”.
L’analisi è esatta, le conclusioni allucinanti, il rimedio assurdo. Notizia tanto fuori luogo da far indignare addirittura Carlo Baroni sul Corriere della Sera del 7 maggio scorso…
Se una simile operazione è stata effettuata senza colpo ferire su romanzi popolari (di spionaggio) cosa impedirà domani di effettuarla su opere classiche di cui non esistono più eredi e diritti d’autore?
Dietro a un simile atteggiamento c’è’ la incapacità della cultura odierna di storicizzare e contestualizzare un’opera sia da parte degli editori che da parte dei lettori che si devono rendere conto del tempo in cui furono scritti e non “offendersi” per quel che stampano o leggono, considerando valide in eterno – ieri, oggi, domani – le regole e i punti di vista del presente assolutilizzandolo. La cultura occidentale del XXI secolo non può far da paradigma e pietra di paragone con il passato. Altrimenti, ad esempio, quale sarà la sorte di un Rudyard Kipling, il cantore dell’impero britannico, o di James Conrad? Da rabbrividire…
La censura, la cultura della cancellazione non sono da democrazie: si criticava e si ironizzava sulle parole che i regimi dittatoriali (comunismo, nazismo, fascismo) imponevano al posto di altre, e oggi una nuova dittatura accettata silenziosamente come appunto la political correctness le impone. Tante accuse e ironie sulle famigerate (e spesso ridicole) “veline” del Minculpop, e oggi tutti applaudono alle “veline” del Polcor.
La nostra si potrebbe benissimo definire una “democrazia autoritaria o dittatoriale”. Un ossimoro? Una contraddizione in termini? Macché! Ormai una normalità accettata in nome… In nome della cosiddetta “inclusività”, del non si deve “offendere” nessuno”. Il problema a monte è però: chi decide cosa è “offensivo” e cosa non lo è? E siamo sicuri che sia esattamente questo lo Zeitgeist, lo “spirito del tempo”, o lo si vuole imporre per forza?
Gianfranco de Turris
PS: Dopo la chiusura di questo articolo sono avvenuti due episodi che confermano la mancanza di una libertà di fondo nella pseudo democrazia in cui viviamo. La prima è che Instagram ha negato il profilo di Alessandra Mussolini, eurodeputata di Foza Italia, grazie all’algoritmo che lo governa, algoritmo ovviamente programmato da esseri umani. Il secondo è che a Reggio Emilia è stato deciso di cancellare Via Gabriele d’Annunzio, sostituendo il Vate con un poeta sloveno noto evidentemente soltanto alla amministrazione comunale. D’Annunzio è morto nel 1939. Ci si ricorda del suo essere politicamente scorretto ad appena 85 anni dalla sua scomparsa! Fino ad oggi non aveva infastidito i reggini. Chissà cosa è successo nel frattempo… Mah!?
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