Tutti, più o meno, siamo consapevoli dei drammi ideali, strategici, politici e sociali che, qui, in questo spazio ormai codificato tristemente occidente, ci affliggono.
– Fine delle ideologie salvifiche e millenariste, sempre prodotte in Europa.
– anarcoidismo di massa, per la definitiva reductio ad oeconomicum, contro ogni logica ideal-comunitarista;
– mitologia dei diritti individuali e democrazia parolaia, impossibilitata ad invertire la tendenza all’aumento delle disuguaglianze;
– fallimento in noi ed intorno a noi di tutti gli storici tentativi di conciliazione tra modernità e tradizione, costretti entro i parametri delle democrazie liberiste;
– immigrazione incontrollata, perdita d’identità macrocomunitaria e riduzione a consumatori indifferenziati compulsivi nella società medicalizzata, resa maniacalmente letteralista, non nel controllo naturale ma nella deviazione sostitutoria;
– finanziarismo predatorio neocapitalista, sprezzante di ogni differenza genetica ma potente generatore di quella virtualmente economica nello sfruttamento di ogni disordine, anche ambientale;
– terminale dominio mondialista, paranoico ed incattivito e conseguenti folli dinamiche neoimperialiste unipolari (U.S.A.) , con rischio sempre più forte di definitivi sconvolgimenti globali (terza guerra mondiale).
A questi macrofenomeni altri non minori e non meno gravidi di conseguenze, ma più specifici sul livello territoriale, come quelli delle mafie, della montante perdita di controllo statale sul territorio, della fuga dalle civiche responsabilità sia individuali che dei gruppi dirigenti, del generale degrado nella convivenza massiva dovuta ai fattori complessi di perdita di dominio formale, crescente nevrosi, fuga nel particolare, terrore di esporsi, crollo dell’affidamento responsabile, abitudine progressiva all’abbrutimento di cose, ambienti e persone, etc…, perfezionano un quadro sempre più difficilmente recuperabile, se non a fronte di una reazione di tale portata e di tale gravità, che si giudica, da coloro stessi che la auspicano o potrebbero sostenerla sia idealmente che praticamente, e del tutto – crediamo – persino in termini legalisti del tutto giustificabilmente, come una potenzialità in realtà se non remota, ancor più dolorosa (nell’immediato) – e quindi in fondo non augurabile ma forse solo patibile.
Ovvero è ben rischiosamente ipotizzabile, per la diffusa struttura antropologica venutasi a formare in questi ultimi decenni, una reazione logicamente parametrata al dramma che stiamo complessivamente vivendo, con una comprensibile e persino augurabile sospensione di ogni guarentigia formale e messa in discussione di ogni livello teorico e formale e di poi quindi come azione concreta – (la dittatura di diritto romano) – con l’aggravante che ancora molti possono, utilizzando danaro e privilegi (non paradossalmente) montanti nel degrado, tentare di salvaguardarsi, immettendo ulteriormente nel corpo sociale un desiderio di fuga e di privatezza ancora superiore e del tutto negativamente attrattivo. Ciò che intere sfrattate masse umane stanno già attuando verso di noi, sarà presto, con la pretesa favolistica d’accorciare lunghi percorsi storici, un fattore globalizzato a breve termine, se non interverranno accadimenti politici, sia nelle nazioni che nei continenti, ad invertire il processo. Ma tali fattori sembrano ancora annunciarsi, al contrario, con la solita logica con la quale si sono quasi sempre manifestati nella storia.
Ricordiamo l’emblematica frase di Palmerston, 1840, ai Comuni: “La Gran Bretagna non ha alleati, amici o nemici eterni ma soltanto interessi permanenti, il perseguimento dei quali costituisce l’unico dovere imprescrittibile per ogni suddito di questa nazione”.
Su di un piano ormai veramente globale violenza, prepotenza, falsità e disinformazione avranno sicuramente agio, in quanto ben più strutturati e più potentemente orchestrati, dei flebili ben razionali richiami ad una ricostruibile verginità stoica ed idealista (equilibri dinamici o convivenze multipolari) e le cose si risolveranno molto probabilmente in una soluzione non indirizzata nel senso di una maggiore giustizia o verità delle cose, ma solo nella direzione programmata dai padroni attuali del mondo, ovvero i mondialisti del neocapitalismo apatride e gli avventurieri del neoimperialismo predatorio, comunque a matrice anglofona, di cui tutti noi siamo attualmente, consapevolmente od inconsapevolmente, volenti o nolenti, servi. Per di più circuiti da burattinate classi dirigenti nazionali allevate nel distacco se non nell’odio di sé, nello scarto dai doveri, nel disprezzo malcelato dei sacrifici per il bene comune e nella rimozione della paideia del tragico dalla storia, per ben motivato terrore del confronto e dello scontro. E d’altronde non ci si potrebbe augurare, con troppa disinvoltura, un ritorno al “tragico”, se non per forti élites maturate con ben altri ideali e pratiche di convivenza, quando si può constatare con estrema facilità quanto il facilismo edonistico (che è cosa ben diversa da una sana abitudine al e per il piacere), la diseducazione all’autosacrificio formativo, sia in alto come in basso, per paludati tranquillizzati e per straccioni verbalisti, sia sempre più foriera di una violenza spicciola spesso immediatamente abbietta e futilmente motivata, fuori da ogni (appunto tragica) valenza sistemica… Altri scenari, fuori dal nostro occidente, hanno, almeno, tale vera causale (non giustificazione)…
Dobbiamo quindi sperare nei nemici di costoro con tutto il cuore, ma con la mente priva d’illusione che ci possano sostituire…
Perché qui da noi chi si ribella realmente e non solo sul piano astrattamente teorico, e chi dà ed in crescendo darà comunque segno di mettersi, con volontà ed intelligenza, contro questa malefica deriva, è silenziato od eliminato per via diretta od indiretta, senza alcuna pietà, e senza alcun lagno mediatico ed occorrerà un’autentica vis eroica – di cui si vedono purtroppo ben poche (spendibili – sprecabili) equazioni personali e di gruppo – per opporsi in crescendo, dai piccoli gesti quotidiani fino ai grandi impegni civici, pur considerando empaticamente ciascuno di questi gesti, non solo sacrosanto ma del tutto ammirevole. Di contro ogni fenomeno che permetterà alla falsa coscienza di guadagnare tempo, di rimandare l’inevitabile, di ritardare l’assunzione definitiva di responsabilità, di sperare in improbabili salvezze, salvatori, fedi, di garantirci comunque e purtuttavia una sopravvivenza sempre a rischio e degradata, sarà ancor più subdolamente eterodiretta ed avrà tutto il consenso, sia a livello individuale che di massa, che s’affida in genere, disperatamente, a tali illusioni. Questo spiega il ricorso, qui da noi, ad una
Ancora altra considerazione per chi, come me, ha sempre operato nel campo culturale. Al di là di ben prevedibili reazioni a questa visione, certo non tranquillizzante od aproblematica, a seconda delle rappresentazioni retorico-ideologiche, paurose o false, uno dei campi maggiormente disastrati dalla violenza dinamica dell’attuale deriva, è proprio quello ove opera il pensiero come dimensione strutturale. Infatti alla più vagamente allenata capacità d’astrazione corrisponde purtroppo sovente una maggiore e più sofisticata deriva o fuga per la tangente, quasi paragonabile, all’altro estremo dell’arco, ma rapportabile in efficacia, a quella dei motilisti furbastri accaparratori, i senzascrupolo sistematici, i razza padrona… Il vero vulgo di oggi. Nel guado restano tutti gli altri, l’ancora diffusa tormentata quantità, con l’aggravante della sempre maggiore usura – a fronte dell’informazione comunque confusamente affluente – di facili e patetici alibi. La marcatura intellettuale quindi non ci esime dalla responsabilità, ma ci carica d’ulteriore peso, proprio per la nostra potenzialità di decodifica.
In ogni caso la varietà di reazioni sarà ricca di sorprese e d’incongruenze, essendo la posta in gioco immensa e senza sconti, ed i tempi metteranno forse addirittura in campo progressivamente persino nuove tipologie di ominazione, come si può constatare ormai in molte fasce giovanili ed in tutte le mode falsoribelliste sapientemente manovrate dal mercato (e qui si aprono ancor più i baratri – non solo teorici – delle derive ultraumaniste, quindi non unicamente nel subìto ma anche nel tentato, non nel male ma anche nel bene), sia come processo inarrestabile che come pratica salvifica…
Avanza una speranza quia impossibile est, ovvero nella consumazione residuale definitiva delle partite storiche che altri, prima di noi, hanno giocato sperando di vincere credendo di essere alla fine del lungo ciclo della modernità ed invece hanno manifestamente perso contro la marea inarrestabile della pesanteur, che ha dispiegato tutta la sua immane potenza tamasica, ma che, ormai, proprio dall’indiscutibile imposizione delle verità portate in evidenza, a livello globalisticamente unificato come nell’infinitamente parcellizzato, nella medesima stabilizzazione distruttiva del materialismo realizzato, empiamente inaugura un proprio prossimo ciclo di lunga e dolorosa regressione. Se ne vedono indiscutibilmente i segni, soprattutto in Europa, ove tutto è nato per la prima volta e tutto per la prima volta è finito e rinasce geneticamente ed ove i così tanto odiati e bistrattati populismi, ognuno con il proprio pesante sacco nero di rimosso, sollevano caoticamente e di necessità irrazionalmente, un carico altrimenti inaffrontabile…
A noi spetta quindi saper vedere e saper attendere, sapere riprendere e saper innovare, certi della nostra fragilità e della nostra immensa responsabilità, soprattutto verso l’“altrimenti inaffrontabile”… Questo vale sia sul piano nazionale che su quello internazionale.
“…credo quia absurdum…”, ma non nell’affidavit confessionale d’Agostino e Tertulliano, valido per l’autoillusione potente, ma in quello poeticamente perso e tragico di Pound, rivisitato con la giusta dose di coraggioso cinismo, dell’ormai poco o nulla da perdere, della bellissima e necessaria lettera agli italiani di Veneziani…
e sì, perché, tutto sommato e detratto, in questo occidente infine residua anche quest’ultima terra centrale, protesa in un grande lago di procurate disgrazie, “la fragile e deliziosa Italia ferita che non muore” e noi, ormai postumi, e quelli, comunque da noi amatissimi, che verranno ancora dopo e con i quali e per i quali converrà comunque ancora, con questa nostra dolente ma non rinunciataria consapevolezza, fino alla fine in piedi, saper vivere e morire…
2 Comments