«Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione.». Con questa formula presidenti del Consiglio e ministri giurano fedeltà alla Repubblica e assumono i loro rispettivi ruoli.
Dalla celebrazione di questo rito arcaico discende l’obbligo al rispetto delle leggi e, secondo alcuni, l’obbligo a dichiararsi apertamente antifascisti.
In realtà, nessun articolo della Costituzione richiama l’antifascismo come un valore, ma solo la XII Disposizione Transitoria vieta la “ricostituzione del disciolto PNF” e lo stesso giuramento dei ministri impone solo di agire “nell’interesse esclusivo della Nazione”.
Se questo è vero, un presidente del Consiglio, un presidente del Senato o un qualsiasi ministro che svolgano le loro funzioni con scrupolo e competenza, col rispetto delle leggi e nell’interesse della Nazione, manterrebbero già piena fede al giuramento prestato, senza alcuna necessità né alcun ulteriore obbligo di doversi dichiarare antifascisti.
E’ evidente che taluni principi ispiratori della Costituzione affermano diritti come la libertà e l’uguaglianza in modo difforme a quello concepito dai fascisti storici e che il sistema democratico del suffragio universale era impensabile nel ventennio mussoliniano, ma già il divieto di ricostituire quel disciolto PNF pone un argine politico e ideale alla riproposizione forzata di uno Stato etico e autoritario.
L’accettazione e la pratica del metodo democratico sono esse stesse una garanzia della costituzionalità e delle legittimità delle forze politiche repubblicane.
Non esistono rischi di totalitarismo né di soppressione di diritti.
La critica politica che travalica oggi in manifestazioni delinquenziali, come l’esposizione dell’immagine del presidente del Consiglio capovolta, è una forma di libertà (tossica) che certamente non sarebbe stata possibile col Fascismo. Ma, nei secoli, non sarebbe stato possibile neppure dileggiare Augusto né offendere Vittorio Emanuele nè oltraggiare Pio IX e, ugualmente, non sarebbero state concepibili tante altre forme di libertà attualmente comunemente accettate.
Dovremmo per questo oggi imporre a tutti una aperta dichiarazione d’essere anti Impero Romano, anti Monarchia ovvero anti Vaticano?
Tanto più che parliamo di eventi conclusi ormai tra gli 80 e i 100 anni fa, parlare oggi di fascismo appare quanto mai strumentale e ridicolo.
Al contrario, una assoluta dichiarazione di antifascismo implica un giudizio storico e politico e l’accettazione acritica di tutto quello che quella definizione comporta.
Questo implicherebbe un confronto mai compiutamente avvenuto tra italiani dell’una e dell’altra parte, perché i partiti antifascisti hanno imposto la loro narrazione procedendo alla sistematica mostrificazione degli avversari.
Non può esservi composizione di un conflitto se non si riconosce legittimità al nemico e non può esservi pacificazione se non si considerano le ragioni del nemico, ma si pretende solo la sua sottomissione.
Se si procede con un moralismo antipolitico alla selezione preventiva di ciò che è lecito o meno dichiararsi e affermare, si calpesta ogni asserita libertà di manifestazione del pensiero.
Ma la democrazia non funziona così e le idee si confrontano con altre idee e non si affermano con l’imposizione o la delegittimazione dell’altro.
Oggi invece, con la richiesta di una dichiarazione di antifascismo tout court, oltre alla sottomissione, si pretende l’abiura. E con l’abiura si vorrebbe che un’intera comunità condannasse i propri fratelli morti e i propri camerati assassinati per applaudire ai loro carnefici.
Se questa è la libertà conquistata c’è da dire che vale solo per una parte e francamente non ci interessa perchè la memoria di parte ridotta a retorica tradisce le azioni in modo che queste sono da sempre in contraddizione con le parole e i diritti conclamati.
La celebrazione di una mitologica Liberazione si è ormai incancrenita in un rituale sabba fazioso e bugiardo, nell’intreccio indissolubile di ricostruzioni mendaci e affermazioni apodittiche, nella rivendicazione sprezzante degli oltraggi perpetrati sui vinti.
Si celebra l’omicidio (peraltro accidentale e non preordinato) di Matteotti, ma si ignora, o peggio si giustifica, l’assassino di Giovanni Gentile.
E si dimentica la interminabile striscia di sangue, di violenze e di morte di cui è carico l’antifascismo, fino alle cronache più recenti e al terrorismo brigatista.
Ecco allora che, spurgato dalla schiuma tossica della retorica resistenziale, l’antifascismo mostra la sua vera essenza ideologica criminale che si prefigge esclusivamente di imporre con la prevaricazione violenta le idee di volta in volta più nefaste e antiumane: dal feroce e fallimentare totalitarismo comunista di un tempo, alle distopiche aberrazioni delle attuali correnti, woke, gender fluid, abortiste, no border, immigrazioniste e legalizzatrici delle droghe.
Vi è stata una guerra civile tra fascisti e antifascisti e vi fu una contrapposizione di idee e di valori che andrebbero storicizzate, contestualizzate e studiate con un atteggiamento critico e scientifico privo di contaminazioni ideologiche che solo raramente ha avuto luogo.
Ma da qui ad aderire alla vulgata antifascista e farla propria con una dichiarazione di accettazione sarebbe una tale capriola morale e intellettuale definibile solo come tradimento.
E quello l’abbiamo già subito a suo tempo.
Enrico Marino
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