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8 Ottobre 2024
Lavoro

Difendiamo il Lavoro, difendiamo l’Art.18

Oggi come ieri, sempre al fianco della Comunità popolare e dei lavoratori.

Difendiamo il Lavoro, difendiamo l’Art.18.

Contro il Liberismo capitalista, per il Socialismo Nazionale.

 

 

“Il lavoratore non è, come vuole il marxismo, solamente oggetto di sfruttamento. La classe operaia non è la classe dei diseredati che si mobilitano per la lotta universale delle classi. Il lavoro non è solamente l’occasione ed il mezzo per guadagnare un salario. Al contrario: il lavoro è per noi il titolo di ogni attività, e di ogni agire regolato, di cui i singoli, i gruppi e gli Stati assumono la responsabilità ed è per ciò stesso al servizio del popolo. Soltanto così c’è lavoro, e soprattutto lì, dove la libera forza di decisione e di affermazione degli uomini si auto impone, per la realizzazione, una volontà ed un compito. Per questo ogni lavoro, in quanto lavoro, è spirituale!”

(Martin Heidegger, 1934)

 

“Io, d’altro canto, mi sono battuto, con un minimo di intervento e senza distruggere la nostra produzione, per arrivare ad un nuovo ordine socialista in Germania, che non eliminasse solo la disoccupazione ma che permettesse ai lavoratori di ricevere una maggiore partecipazione ai frutti del loro lavoro. La realizzazione di questa politica di ricostruzione nazionale, economica e sociale, che impegnò una vera Comunità popolare a superare divisioni di ceto e di classe, è unica nel mondo odierno.”

(Adolf Hitler, 1941)

 

 

 

La degenerazione di ogni valenza superiore e l’azzeramento di ogni sistema dottrinale, pianificati dai profeti del Liberalismo, ha permesso che l’unico metro di paragone e di riferimento fosse riportato al libero scambismo, al consumismo e quindi all’esaltazione della società dei consumi, all’irresponsabile utilitarismo e alla sublimazione della brama di profitto, il più egoista e smodato possibile.

Insomma, il pervasivo sistema liberale è riuscito a trasformare l’uomo europeo in un passivo e succube fantoccio, una sorta di Golem della modernità, in uno sfruttato, frustrato, ma ingordo consumatore e sperperatore delle risorse naturali. Un docile fruitore di servizi totalmente spoliticizzato e per di più convinto di essere stato liberato dal fardello dalle ideologie, liberato pertanto dall’ingiustizia e dalla sofferenza di doversi preoccupare del destino del proprio popolo e della propria Patria.

Ci troviamo di fronte alla prima giovane generazione che si ritrova compiutamente al di fuori della cultura del lavoro intesa come radicamento sociale all’interno della propria comunità di appartenenza, come prospettiva di costruzione di un percorso da compiersi per la famiglia e a beneficio del popolo, insomma come possibilità di avere un futuro.

Una generazione quindi completamente precarizzata non solo nella sua proiezione sociale e collocazione produttiva, ma anche nella sua immagine, sempre più sbiadita, del futuro. Questa è una immane tragedia che comprometterà seriamente la stabilità futura del nostro popolo. Occorrerà, per poter contestare questa delirante deriva rimettere l’autentica concezione del Lavoro al centro della scena sociale, affermando di conseguenza che non potrà mai esistere una sana economia nazionale — una economia destinata al soddisfacimento del benessere comune — se non esisterà un autentica concezione del Lavoro produttivo, garantito e protetto dalla legislazione sociale e dallo Stato.

Se non tornerà ad esistere una economia programmatica vincolata alle necessità della Comunità popolare, una autentica produzione di beni e di servizi, non rimarrà altro spazio che quello dominato da un’economia virtuale di profitto, quella speculativa delle agenzia di rating, dei vigliacchi gangster mascherati da illuminati manager. Rimarrà solamente la bramosia di profitto dei capitalisti che de-localizzano le loro aziende e la loro produzione all’estero per guadagnare di più e spendere di meno — consegnando i lavoratori alla disoccupazione e le famiglie alla disperazione — mentre quelli che rimangono nel territorio nazionale preferiscono utilizzare, come strumento di ricatto contro i lavoratori, le masse ingenti di immigrati, da immettere a basso costo nel mercato del lavoro. Per il semplice fatto che l’invasione migratoria, oltre che minare drammaticamente il nostro paesaggio culturale e popolare e compromettere la possibilità di riproduzione della nostra Identità nazionale e culturale — peculiare nell’immaginario del nostro popolo — servirà in misura sempre maggiore a giustificare gli interessi di macelleria sociale perseguiti dalla casta liberista imprenditoriale e dal Capitalismo mondialista.

Maurizio Rossi

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