La cosa non è recentissima. In data 11 ottobre Luigi Leonini ci ha segnalato la pubblicazione da parte della Editrice Effepi dell’opera monumentale di Gianantonio Valli “I complici di Dio, genesi del mondialismo”. In realtà, esaminando il messaggio, ci si accorge che questo lavoro è stato pubblicato nel 2009 (lunedì 9 marzo); tuttavia diciamo pure che dopo la scomparsa di Valli è quanto mai opportuno riprendere il discorso a proposito di questa sua opera, forse la più importante, e certamente la più imponente, frutto di vent’anni di studi del nostro autore dalla cultura certamente enciclopedica.
L’editore avverte che, data la mole dell’opera, la pubblicazione per esteso è potuta avvenire solo in forma digitale, in un CD accompagnato da un volumetto introduttivo di 146 pagine (il testo compreso nel CD supera le quattromila, sono esattamente 4050). A sua volta, il testo pubblicato da Leonini è una sorta di recensione a firma di Antonio Caracciolo.
Io direi subito che il lettore non preparato potrebbe provare una sorta di disorientamento accostandosi a questa tematica già considerando il titolo dell’opera. Il mondialismo, lo sappiamo, è quella tendenza potentemente all’opera nel mondo contemporaneo, e nota sotto il profilo economico come globalizzazione (ma che presenta molti altri aspetti oltre a quello economico: politici, geostrategici, culturali), all’uniformazione planetaria, con la cancellazione, a volte brutale, a volte “soft”, progressiva e apparentemente indolore, di popoli, etnie, culture, tradizioni, ciò che qualcuno con un’immagine suggestiva ma sostanzialmente esatta, ha definito “il tritacarne”, e che apre la prospettiva di un immiserimento dell’umanità a livello subumano, sia perché le componenti più civili della nostra specie (quasi invariabilmente di pelle bianca) sono sul punto di essere sommerse e assorbite dalle masse meticce “colorate” e spaventosamente prolifiche provenienti dal Terzo Mondo, sia per il parallelo concentrarsi della ricchezza nelle mani di una ristretta oligarchia finanziaria e la conseguente diffusione di un impoverimento, di una progressiva caduta del livello di vita, questa si “globale” e che le belle finzioni che ci vengono raccontate secondo le quali le difficoltà in cui tutti noi ci dibattiamo dalla metà del primo decennio del XXI secolo sarebbero “una crisi” (cioè qualcosa di passeggero), non riescono più a nascondere.
Che tutto ciò sia in relazione con un fenomeno religioso, con “Dio”, è un’affermazione che per alcuni può essere oggetto di stupore. Molti, in effetti si illudono di trovare (ancora) nel cristianesimo l’elemento centrale della “nostra” cultura, delle “nostre” tradizioni, e di poterne fare la bandiera della lotta contro il mondialismo incalzante. Si tratta di una speranza illusoria, perché il Dio dei cristiani è lo stesso degli ebrei; la maggior parte del “libro sacro” del cristianesimo, l’Antico Testamento, non è altro che la Torah ebraica, e la fede nel messia crocifisso non può altro che rivolgersi contro di loro e contro di noi, cosa oggi ben evidenziata dal fatto che le Chiese cristiane sono le più zelanti fautrici del mondialismo insieme con le sinistre (cioè con i rottami del comunismo, altra “fede” che come quella cristiana, è stata fondata da un barbuto ebreo, e anche questo non è un caso).
Valli si è dedicato a un’attenta analisi della letteratura ebraica e sionista, da cui emerge con estrema chiarezza un rapporto col resto dell’umanità basato sul risentimento e sull’odio. Caracciolo cita il versetto di un salmo:
“Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra”.
D’altronde, se avete a mente le terrificanti immagini dell’operazione “Piombo fuso” a Gaza, la strage di bambini, non si può dire che non continui a essere una specialità degli israeliani e sionisti odierni.
Sempre al riguardo, il recensore aggiunge:
“La specifica ed esclusiva relazione fra un Dio che è l’Unico e il Sommo ed il suo popolo in dispregio di tutti gli altri mai vissuti sulla terra e nella storia non potevano non produrre nel corso dei millenni una difficile convivenza con le più disparate genti con le quali nel corso dei secoli gli ebrei in quanto comunità religiosa sono venuti in contatto….E tutto in nome di un Dio che avrebbe trattato come figliastri bastardi gli altri popoli della terra”.
L’ebraismo, ben presente nell’alta finanza internazionale così come nella “cultura” di sinistra, inclina verso il mondialismo: indebolire e distruggere l’identità etnica, nazionale e culturale degli altri popoli per garantire l’unicità della propria e portarla al predominio.
Ma al di là di ciò, è il monoteismo stesso con la sua inevitabile vocazione al proselitismo cosmopolita, a puntare in questa direzione, e bisogna rendersi conto di quanto questo fatto innegabile renda debole e contraddittoria la posizione dei cosiddetti tradizionalisti cattolici.
Continuiamo a parlare del testo “sacro” che la religione cristiana ha mutuato dall’ebraismo. Un paio di settimane più tardi, e proprio in un giorno per noi importante, il 28 ottobre, il Gruppo Editoriale Macro ha annunciato la pubblicazione de “L’invenzione di Dio”, anteprima on demand composta da una conferenza più un’intervista esclusiva de “La bibbia non è un libro sacro” di Mauro Biglino. Biglino è probabilmente uno di quei casi in cui le autorità ecclesiastiche non vorrebbero imbattersi mai, una vera tegola in testa dal loro punto di vista. Quest’uomo, uno dei maggiori esperti mondiali in filologia ebraica, ha lavorato per trent’anni a una traduzione filologicamente corretta dell’Antico Testamento per conto del Vaticano, salvo poi ribellarsi ai suoi committenti che pretendevano una traduzione aderente ai dogmi cattolici, cioè una traduzione di comodo.
Secondo Biglino, la bibbia non parla di “Dio”, ma degli Elohim, una razza sovrumana (ma non soprannaturale) di creature extraterrestri che avrebbero creato l’uomo come frutto di esperimenti genetici. Un’interpretazione “ufologica” della bibbia non è una novità, basti pensare agli scritti di Peter Kolosimo, anche se ora è avallata da quello che è l’esperto più competente in materia forse a livello mondiale.
Naturalmente, su questa interpretazione possiamo essere scettici; ciò su cui invece mi sembra si possano nutrire pochi dubbi, è il fatto che la bibbia così come la conosciamo adesso (sia l’Antico, sia il Nuovo Testamento) siano il frutto di una lunga serie di manipolazioni.
La storia dei manoscritti del lago Qumran o rotoli del Mar Morto (il “lago” Qumran è in realtà un’insenatura dello stesso Mar Morto, e i due termini sono sinonimi) è al riguardo estremamente rivelatrice. Nel 1947 in una grotta sulle sponde dello stesso lago o mare che dir si voglia, un giovane pastore ritrovò delle giare che risultarono contenere papiri risalenti al I secolo dopo Cristo forse appartenuti alla setta degli Esseni che negli stessi luoghi erano dediti a vita eremitica. Si tratterebbe delle versioni della bibbia più antiche finora conosciute. Di estremo interesse sono anche alcuni testi “non biblici” per ciò che possono suggerire riguardo al Nuovo Testamento.
Bene, nonostante l’enorme lasso di tempo intercorso da allora, le traduzioni sono state date col contagocce, di piccoli brani e sempre accompagnate da controversie e polemiche. Tutto ciò non è giustificato se non dal fatto di non voler rendere note al pubblico le discrepanze fra questi originali e la versione “canonica” della bibbia. In un certo senso, i manoscritti “non biblici” sono ancora più imbarazzanti, perché farebbero pensare a una derivazione essena del vangelo di Giovanni.
Bisogna essere consapevoli del fatto che la Chiesa cattolica ha fondato il proprio potere su di una “rivelazione divina” contenuta in una fonte a cui per un lunghissimo arco di tempo essa sola ha avuto accesso, e che poteva interpolare e manipolare a proprio piacimento, agevolata anche dal fatto di aver avuto per secoli il monopolio anche del semplice alfabetismo.
Geova è certamente un personaggio di riguardo, un divo, anzi un dio (addirittura “Dio” secondo alcuni) e come tutti i divi, quando si tratta di fare il lavoro sporco, come far capire con la forza ai riluttanti Europei che devono sottomettersi all’avvento di un mondo meticcio e terzomondista in cui la loro cultura e probabilmente la loro etnia saranno cancellate, si fa sostituire dalla sua controfigura, Allah.
Nessun discorso sull’islam può prescindere dal fatto che esso deriva dalla stessa radice abramitica da cui nascono ebraismo e cristianesimo. Non è un caso che gli Arabi tra i quali l’islam è sorto, “vantino” di discendere da Ismaele, primogenito di Abramo, mentre Isacco, padre degli Ebrei sarebbe stato il secondogenito. Ora, che questi tre “simpatici” personaggi abbiano o meno una reale base storica, è questione irrilevante, mentre conta il valore simbolico della vicenda.
Io credo che nei nostri ambienti non si insisterà mai troppo sul fatto che molti “camerati” che si sono scoperti islamofili per reazione contro l’occidentalismo filo-americano e filo-israeliano delle destre conservatrici, non fanno altro che abbracciare una versione diversa dello stesso male. In parte l’equivoco è stato favorito, oltre che da alcuni personaggi come René Guenon su cui sarebbe bene stendere un velo di silenzio, da alcune affermazioni di Friedrich Nietzsche, che amava contrapporre “lo spirito guerriero” dell’islam a quello “da donnette” del cristianesimo. Detto fuori dai denti, forse Nietzsche non conosceva la storia delle religioni così bene come avrebbe dovuto, altrimenti si sarebbe reso conto che non mancano esempi di religiosità guerriera non contaminati dallo spirito abramitico. Pensiamo all’indiana Baghavad Gita, al suo insegnamento rivolto in maniera specifica ai membri della casta dei guerrieri, gli kshatriya, o il bushido dei samurai giapponesi. Bushido significa “via del guerriero”, e “via” va intesa precisamente in senso iniziatico.
Che almeno nelle classi alte dell’India vi fosse una forte impronta indoeuropea, questo è fuori di ogni dubbio. Per quanto riguarda il Giappone, vi rimando ai miei scritti precedenti, in particolare la diciottesima parte di “Ex Oriente Lux”. Più che un mongolo vero e proprio, il Giapponese è da ritenersi un caucasico fortemente mongolizzato nei tratti somatici. La popolazione giapponese più antica, gli Jomon, di cui gli Ainu dell’isola di Hokkaido sono forse gli ultimi discendenti, era caucasica, e i Giapponesi attuali derivano probabilmente dall’incrocio di questa popolazione con genti venute dal continente, forse in tempi e da luoghi diversi. Sebbene i caratteri mongolici siano oggi prevalenti sul piano somatico, su quello animico e psicologico, è probabile che il Giapponese rimanga sostanzialmente un caucasico.
Pensiamo all’eroica resistenza che durante la seconda guerra mondiale i combattenti nipponici informati dallo spirito del bushido hanno opposto all’invasione americana, costringendo la potenza bastarda d’oltre Atlantico a guida circoncisa, a ricorrere all’arma nucleare per averne ragione. Cosa c’è di più autenticamente, splendidamente indoeuropeo?
Il motivo per riparlare dell’islam ci è dato dai dibattiti e dalle cose che abbiamo sentito dire, spesso demenziali, dopo le stragi di Parigi di metà novembre. Dai soliti catto-sinistrorsi, gli stessi che di fronte alla tragedia del Titanic si sarebbero probabilmente preoccupati dei danni che la nave aveva potuto fare all’iceberg, abbiamo sentito ripetere fino alla nausea che l’islam non c’entrerebbe alcunché con la violenza. Sebbene nell’islam esista una cosa (prevista dal corano) che si chiama taqqyia, ossia “mentire sistematicamente agli infedeli quando non si abbia la forza di sottometterli”, gli islamici presenti da noi hanno provveduto a smentirli alla grande. Pensiamo ai tentativi di mobilitare l’inesistente islam moderato, che nonostante il grande sforzo mediatico hanno prodotto manifestazioni scheletriche, pensiamo ai fischi con cui è stato interrotto il minuto di silenzio per le vittime parigine nello stadio di Istanbul (e questi, i Turchi, sono gente che si vorrebbe far entrare nell’Unione Europea!).
Cosa si debba intendere quando l’islam si proclama “religione della pace” ve l’ho già spiegato (“Tra due fuochi”), ma sarà meglio ripeterlo: l’islam divide il mondo in due parti: il Dar al Islam, la Casa dell’islam e il Dar al Harb, la Casa della Guerra, cioè la parte del mondo a cui deve essere portata guerra per imporgli forzatamente la conversione alla religione del Profeta. L’islam è “religione della pace” solo nel senso che mira alla sottomissione planetaria sotto il suo dispotismo religioso, a “pacificare” il mondo in questo modo.
Dai benintenzionati buonisti catto-sinistrorsi-mondialisti di questi tempi ci siamo sentiti ripetere fino alla nausea un versetto del corano che dimostrerebbe lo spirito pacifico e caritatevole dell’islam: “Chi uccide un uomo uccide il mondo. Chi salva un uomo salva il mondo”.
Ignorando naturalmente i passi ben più numerosi del corano dove si esprime il comandamento di perseguitare gli infedeli e di annientarli senza pietà se rifiutano la conversione, e che sicuramente sono quelli che esprimono il credo tuttora professato dalla maggior parte degli islamici. Tuttavia c’è quella che apparentemente sembra una contraddizione.
Per chiarire la contraddizione basta guardare a quel che dicono i cugini degli islamici, i figli di Isacco, fratello minore di Ismaele.
“Se un ebreo scaglia una pietra per uccidere un pagano o una bestia, e colpisce invece un altro ebreo”, dice il Talmud, “Non è colpevole di omicidio”.
Notiamo che “il pagano”, cioè il non ebreo, cioè tutti noi, è messo esattamente sullo stesso piano della bestia. Per gli ebrei solo gli altri ebrei sono realmente esseri umani; i “gentili” (“gentile” traduzione di un termine dalle implicazioni tutt’altro che gentili) non valgono e non contano più degli altri animali che invece di due gambe ne hanno quattro. La stessa cosa vale per i comandamenti. “Non uccidere”, “non rubare”, “non dire falsa testimonianza” significano in realtà “non uccidere un altro ebreo”, “non derubare un altro ebreo” “non testimoniare il falso contro un altro ebreo”; ai danni dei non ebrei, invece tutto è lecito: mentire loro, derubarli, ucciderli è legittimo e addirittura meritorio.
Troviamo traccia della stessa aberrazione anche nel cristianesimo. Un’espressione un tempo di uso comune come “i cristiani e le bestie” la dice lunga in proposito. L’uomo non era considerato tale che a partire dalla ricezione del battesimo, uno status umano per di più che la Chiesa si reputava sempre in diritto di revocare mediante la scomunica.
Nel 1266 dopo la battaglia di Benevento nella quale era rimasto ucciso Manfredi, re di Sicilia e figlio dell’imperatore Federico II, poiché lo stesso era morto scomunicato, l’arcivescovo di Cosenza fece disseppellire il corpo del sovrano da sotto il tumulo di sassi (la “grave mora” ricordata da Dante) dove i suoi soldati l’avevano sepolto, e lo fece buttare in un immondezzaio (come un suo predecessore aveva fatto con i resti della sfortunata Ipazia); “una bestia” non aveva diritto alla sepoltura. Un episodio particolarmente atroce e vergognoso nella storia della Chiesa cattolica che pure in due millenni di infamie e bassezze ne ha collezionate a bizzeffe.
Notiamo anche che quando il papa conferì ai Normanni il regno di Sicilia (l’isola era allora sotto il dominio arabo), li investì (formalmente, s’intende, che poi dovettero andarsele a conquistare) anche delle terre dell’Italia meridionale in possesso degli scismatici bizantini. Dal che potremmo arguire che la condizione per essere considerati cristiani e quindi realmente uomini, non era credere in Cristo, ma ubbidire al papa.
Alla luce di tutto questo, e sapendo bene che l’islam partecipa della stessa mentalità abramitica di ebraismo e cristianesimo, non possiamo avere dubbi su come interpretare quel passo del corano: “Chi salva UN MUSSULMANO salva il mondo, chi uccide UN MUSSULMANO uccide il mondo”, contro gli infedeli, gli spregiati kafir che non vanno considerati uomini, ogni violenza è lecita e meritoria agli occhi di Allah.
Volersi opporre all’islam in nome delle “nostre” presunte tradizioni cristiane, che non sono affatto “nostre” ma derivano dalla stessa radice abramitica, è altrettanto futile quanto essere islamofili per opporsi al dominio di un’America giudaizzata, anche se la Chiesa cattolica non fosse oggi vergognosamente prona all’islam, tutta presa dalla riscoperta delle sue origini mediorientali (sue, non nostre) e nell’intento di favorire l’immigrazione allogena allo scopo di procurarsi “un gregge” alternativo agli Europei scettici e laicizzati. È dalla peste abramitica in tutte le sue manifestazioni che ci dobbiamo liberare, e per farlo, l’unica spiritualità a cui ci possiamo appoggiare, è quella eterna del Sangue e del Suolo, le nostre VERE radici elleniche, romane, celtiche, germaniche che sono più antiche del cristianesimo.
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