8 Ottobre 2024
Fantascienza Fumetto d'Autore Tolkien

DISNEY E I FASCISMI: MOUS-OLINI E L’ODIO DI TOLKIEN di Francesco G. Manetti

In una serie di miei articoli pubblicati nel corso degli anni sulle colonne di “EreticaMente” ho tentato di affrontare il delicato tema dei legami – veri, presunti tali, talvolta esagerati o sminuiti – fra Walt Disney e i socialismi nazionali europei negli anni Trenta. Questi miei articoli sono stati corretti e integrati più volte, fino ad arrivare alla versione definitiva reperibile sul mio libro intitolato “Disney, Mussolini & Hitler” (Amazon, 2022); in quel volume scrivevo che eventuali aggiornamenti sarebbero stati pubblicati in prima battuta proprio su “EreticaMente”… e ora è giunto il momento!

Topolino-Mussolini fa il saluto romano in una pubblicità del 1932

1) “The Hollywood Reporter”

Si tratta, insieme a “Variety”, di uno dei più celebri e longevi periodici americani dedicati al cinema e allo spettacolo in genere. Fondato nel settembre del 1930, pubblicò due anni più tardi, sull’uscita del 1° ottobre 1932, una singolare pubblicità della United Artists Pictures dove Topolino e il suo successo presso le folle (di spettatori) venivano paragonati al Duce degli italiani e al suo indiscusso seguito popolare. Nacque così una sorta di nuovo personaggio: Mous-olini, the New Dictator of Marquee Fashions (che significa, più o meno, “il nuovo dittatore delle migliori insegne dei cinema”), divertente mix fra Mickey Mouse e Mussolini. Nell’immagine Topolino, in piedi sulla tipica insegna luminosa di un cinema americano (quella dove il titolo del film viene via via cambiato con lettere mobili), fa addirittura il saluto romano.

Minnie, in secondo piano, dice “Lookee! That’s what the well dressed marquee is wearing” (ovvero, più o meno, “Guardate! Ecco cosa deve esporre un’insegna di cinema alla moda!”); la pubblicità della UAP era rivolta agli addetti ai lavori, alla catene di cinema, etc., visto che si dichiarava che mettere in programmazione un cartone di Disney avrebbe subito ripagato i costi del noleggio e aumentato gli incassi, qualunque fosse il lungometraggio che il cartone stesso affiancava. Una piccola riflessione finale: se l’accostamento fra Topolino e Benito Mussolini non fosse piaciuto a Disney, sicuramente non lo avrebbe autorizzato.

2) Tolkien contro Disney!

Bilbo disegnato da Tolkien

Fra i grandi personaggi della cultura internazionale che sono sempre stati un riferimento per la nostra “area”, molti si erano espressi a favore dell’animazione disneyana, e fra questi i più noti furono sicuramente Ezra Pound e Robert Brasillach. Ma almeno uno di essi odiò Disney e i suoi lavori, e quello fu sicuramente J. R. R. Tolkien! Ci viene in aiuto il volume che raccoglie le lettere più significative del grande scrittore britannico. In una missiva datata 13 maggio 1937 Tolkien risponde al suo editore inglese, che gli aveva comunicato che una famosa casa editrice americana intendeva pubblicare “Lo Hobbit”, suggerendo di usare per i disegni i lavori di alcuni buoni artisti americani. Tolkien, che era anche un discreto illustratore delle sue stesse opere, si espresse così (la traduzione è di Lorenzo Gammarelli per le edizioni Bompiani):

I nani secondo Disney (da “Biancaneve”, 1937)

Potrebbe essere opportuno, pur di non perdere l’interesse americano, lasciare che gli americani facciano ciò che ritengono sia meglio per loro, purché sia possibile (vorrei aggiungere) porre il veto a qualsiasi cosa provenga o sia influenzata dagli studi Disney (per tutte le cui opere provo un sentito ribrezzo).

Tolkien non sopportava infatti il pupazzettismo nelle illustrazioni di una fiaba “seria”, ovvero la riduzione a caricatura di personaggi che avevano origini nobili nelle leggende e nei miti europei. I suoi Hobbit, come aveva più volte spiegato, li vedeva e rappresentava tutto sommato umani nelle fattezze, seppur bassi di statura, con le orecchie leggermente appuntite e con i piedi pelosi; immaginarli di vederli ridotti a buffoni lo faceva rabbrividire. In un’altra lettera, questa del 1961, Tolkien confessava di non sopportare la pur sempre ben accolta favola del pifferaio di Hamelin recitata davanti a un pubblico infantile o pubblicata nei libri per ragazzi:

Il maggior realismo di Bakshi nel “Signore degli Anelli” del 1978

Lo detesto. Dio aiuti i bambini! Preferirei piuttosto dare loro giocattoli di plastica rozzi e volgari. Con i quali ovviamente giocherebbero, rovinando il loro gusto. Terribile presagio degli elementi più volgari di Disney.

Tre anni dopo, in una lettera indirizzata a un suo ammiratore, Tolkien non aveva ammorbidito nemmeno un po’ il suo giudizio sul Principe di Hollywood:

Ne riconosco il talento, ma mi è sempre sembrato irrimediabilmente corrotto. Sebbene nella maggior parte delle creazioni dei suoi studi ci siano passaggi ammirevoli o affascinanti, il loro effetto su di me è di disgusto. Mi danno la nausea.

Nel 1946 si prospettò una versione tedesca dello “Hobbit” e in una lettera che JRRT scrisse alla fine dell’anno al suo editore inglese si lamentò ancora una volta delle illustrazioni:

Continuo a ricevere lettere dal povero Horus Engels riguardo a una traduzione tedesca. Non mi sembra che si proponga necessariamente come traduttore. Mi ha inviato alcune illustrazioni (dei troll e di Gollum) che malgrado alcuni pregi, come ci si aspetta da un tedesco, temo siano troppo “disneyficate” per i miei gusti: Bilbo con il naso che cola, e Gandalf come figura volgarmente divertente anziché come il vagabondo odinico che io immagino.

Disney, dunque, come fumo negli occhi per il grande filologo britannico. In realtà Tolkien odiava tutta la società americana e paventava l’americanizzazione dell’Europa. Non era un ammiratore di Churchill e considerava Stalin alla stregua di un assassino; pur detestando Hitler, ebbe durissime parole per come gli USA e i suoi alleati conducevano la guerra contro la Germania e il Giappone; provò un orrore indicibile per le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. I cartoni disneyani venivano da lui percepiti come un esempio di quella sottocultura americana che stava invadendo l’Europa, così come disprezzava il jazz e il boogie-woogie, non considerandoli “musica”. Qualcuno ha sostenuto che l’avversione di Tolkien verso l’immaginario disneyano fosse invece nata per colpa del film “Biancaneve”, la cui prima americana è databile dicembre 1937; ma, come abbiamo visto, lo scrittore si era espresso negativamente già nel maggio di quell’anno, riferendosi quasi sicuramente agli scenari magici presenti nella serie di cartoni delle “Silly Simphonies”. Comunque sia, perché “Biancaneve”? Per i nani, ovviamente. Quelli che Tolkien arruolava nelle sue opere, seppur brutti, erano realistici, quasi epici, tradizionali, ispirati alla mitologia norrena, lontanissimi dunque dai paffuti e rosei Dotto, Brontolo, Cucciolo e compagnia bella (C. S. Lewis, autore di “Narnia” e amico fraterno di Tolkien, affermò che i Sette Nani disneyani avevano le facce gonfie, come da ubriachi o da attori comici di terz’ordine).

Bilbo della Fleetway (1964) autorizzato da Tolkien

Questa avversione di Tolkien per il pupazzettismo, per lo stile “alla Disney”, saltò fuori anche a metà degli anni Sessanta, quando la Fleetway pubblicò sulla rivista per ragazzine “Princess and Girl” una versione ridotta e illustrata dello “Hobbit”; Tolkien non intervenne mai sui testi, ma si lamentò per come veniva rappresentato Gandalf, come un mago ridicolo, piuttosto che un wizard; la Fleetway si adeguò e fece ridisegnare il personaggio.

Si dice che la Disney tentò più volte un abboccamento con Tolkien per i diritti sui suoi libri, ma ogni tentativo finì nel vuoto; i diritti per un cartone tratto dal “Signore degli anelli” andarono invece nel 1969 alla United Artists, che alla fine degli anni Settanta produsse il capolavoro (incompreso) di Bakshi.

Beffa del destino, il primo film a essere prodotto dalla casa di produzione cinematografica Fox dopo che nel 2019 è stata acquistata dalla Disney, è il biografico “Tolkien”!

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