10 Ottobre 2024
Finanza Libreria

Dittatura Finanziaria: un saggio di Francesco Toscano – Roberto Siconolfi

Francesco Toscano è uno degli intellettuali di punta di quella categoria filosofico-politica che potremmo definire “sovranismo integrale”. Il sovranismo integrale si articola su alcuni pilastri fondamentali: la lettura degli eventi storici in chiave innanzitutto metafisica; il ruolo fondamentale del “dietro le quinte” all’interno dei processi storici e ancor di più negli ultimi decenni nelle nostre democrazie liberali; la necessità di un “nuovo tipo umano” – questione da sviluppare – e della sua collettività di riferimento (ad ora lo Stato nazionale), di rendersi quanto più possibile sovrano e indipendente da potenze esterne di qualunque tipo esse siano. Su questi differenti livelli, ognuno inevitabilmente collegato all’altro, è possibile comprendere il suo saggio Dittatura Finanziaria – Il Piano segreto delle élite per la conquista del potere (Uno Editori, 2018).

L’analisi del potere mondialista: il sincretismo spirituale, economico, ideologico

Egli innanzitutto analizza la conformazione del potere mondialista, in particolar modo la UE, sulla base di un mix palesatosi ancor di più con gli eventi ultimi legati al Covid-19. Questo mix ha come fonte originaria una forma di “culto”, che Toscano definisce un ritorno al “paganesimo nazista”. In realtà potremmo parlare di un filo conduttore con il bagaglio esoterico del Terzo Reich – o almeno solo di una parte, quella vicina alla Madame Blavatsky, ad Aleister Crowley, e alla Vril Gesellshcaft . Una fonte che potremmo definire con più precisione “contro-iniziatica” e “contro-tradizionale”, tipica della nostra fase specifica del ciclo della decadenza – concezione “non lineare” della storia (il rapporto tra gli esoteristi citati ed il Nazionalsocialismo è stato nettamente confutato dalle più aggiornate ricerche di storia delle religioni e dell’esoterismo. L’analisi del Toscano risulta essere, in merito, al quanto riduttiva – N.d.R). Ma una fonte che utilizza anche altre conoscenze nel suo pentolone sincretico parodistico-spirituale, conoscenze più o meno connesse ai personaggi menzionati da Toscano – dal New Age (es. vedere l’uso del termine “resilienza” tipico di quest’ambiente), al satanismo, al “panteismo naturalistico”. A partire da questa fonte i livelli di potere più bassi, ovvero la politica (compresa geopolitica e politica internazionale), l’economia, il mondo della cultura e dei media. Ognuno di questi livelli caratterizzati dal movimento dominante che è “dietro le quinte”, perché oggi che la buona e vecchia democrazia liberale si è definitivamente svuotata della sua unica ragione di essere – e cioè del potere del popolo e dei liberi individui associati –, il vero potere è non è più nei parlamenti, negli organismi assembleari legalmente eletti e nelle carte costituzionali, bensì nel “dietro le quinte”.

Questo, però, non significa che ciò che sta “dietro le quinte” manovra ogni aspetto della vita politica e sociale (errore tipico delle teorie cospirazionistiche). Ma imprime una “direzione”, contesa tra i vari gruppi del “dietro le quinte” e che poi manda avanti la realtà come una gigantesca “megamacchina”. Con tutti gli effetti “domino”, collaterali o i ribaltamenti che ciò può causare. Una direzione che è espressione essa stessa del tempo in cui viviamo, del ciclo decadente o Kali Yuga (concezione ciclica del tempo indù), nel quale i principî dominanti sono sostanzialmente oscuri e materialistici. In questi livelli si realizza quel mix di culti “esoterici” (quelli sopramenzionati), burocratismo sovietico-cinese e liberal-liberismo (o che sarebbe più corretto definire ordoliberismo e neoliberismo, cioè liberismo “ultra burocratizzato” e accentrato) accoppiato a una “nuova forma socialdemocratica”. Un mix che conforma la “piramide del potere” per come la conosciamo, per come sapientemente descritta da Toscano e per come maggiormente palesatasi con i fatti legati all’epidemia Covid.

Toscano parla di “nazismo tecnocratico”, nel quale però il termine nazismo esula dalla pratica tanto in voga di reductio ad Hitlerum di ogni fenomeno che diverge dal “pensiero unico” (che dopo analizzeremo). Per Toscano “la scelta del termine ‘nazismo’ serve per rendere bene la natura ‘sterminatrice’ e ‘antiumana’ di un progetto fondamentalmente pagano e classista, l’aggiunta del termine ‘tecnocratico’ rivela il carattere sincretistico dell’esperimento in atto, nato dalla ricongiunzione di alcune pulsioni tipiche del Terzo Reich con la prassi enfatizzate da un certo filone socialista, che da Saint Simon in poi assegna ai ‘tecnici’ il compito di guidare una società non più costretta a scegliere tra indirizzi politici differenti, hegelianamente superati nel nome di un efficientismo che non ammette contraddittorio” (pp. 52-53). Una sintesi ideologica di “destra del denaro” e “sinistra dei diritti” per anni ben descritta anche dal filosofo Diego Fusaro, e che ha i suoi lati di punta nel gruppo dei neoconservatori americani (sostanzialmente ex trotzkysti che hanno conservato la vocazione antinazionale del trotzkysmo incorporandola all’imperialismo USA) e della cosiddetta “terza via” blairiana (a sua volta figlia delle tendenze “socialiste fabiane”), e con una sua ben precisa “weltanschauung”. Questa è il “pensiero unico”, una melassa di dogmi, assiomi, luoghi comuni, stereotipi, mezze teorie e mezze verità, fatti talvolta tra loro sconnessi, ma riuniti in un unico punto valido sempre e comunque: pensare quello che le grandi agenzie di comunicazione e i centri studi del potere globale fabbricano nelle loro sedi. Un pensiero unico che si forgia di un sistema di censura ed autocensura: il “politicamente corretto”.

Questi è ben più della semplice tutela delle “minoranze”, e ben più del semplice potere che queste cosiddette minoranze hanno assunto nel mondo occidentale grazie al loro gigantesco castello di lobby (femminismo, LGBT, ambientalismo, pacifismo, immigrazionismo, ecc.). Il politicamente corretto è il vero fulcro di quel sistema che la ricercatrice Enrica Perucchietti definisce “dittatura dolce”. Un sistema autoritario che non ha più bisogno di grandi apparati di forza “visibili” come nei totalitarismi novecenteschi, ma che agisce direttamente nelle menti degli individui, o forse sarebbe più corretto dire nella parte “subconscia” e “inconscia” degli individui. Il politicamente corretto ha anche il suo gendarme: lo psicopoliziotto, l’orwelliano “poliziotto del pensiero” in grado di sanzionare sempre ed ovunque tutto ciò che diverge dal pensiero unico e “comandato”. E quindi “razzista”, “sovranista”, “fascista”, “omofobo”, “antisemita”, e ora l’ultimo nuovo epiteto relativo al nuovo dogma Covid: negazionista!

L’austerità economica, il caso Grecia e la propaganda psicologica di massa

L’impostazione economico-politica ben analizzata da Toscano, soprattutto nei fatti salienti e nei gruppi di potere vero che determinano tali fatti salienti, viene fuori con le politiche di “austerità” che in pochi anni hanno letteralmente distrutto la Grecia (nel saggio c’è un intero capitolo dedicato agli esperimenti fatti in Grecia dagli uomini dell’FMI e dei gruppi economico-finanziari al potere nella UE). Con il popolo greco più volte messo sotto, da due governi diretta emanazione della Troika (Papademos, il Monti in versione greca, nel 2011, a capo di una grande coalizione) e poi Samaras (2012-2015); e pure da quello che si era presentato come suo alfiere, Tsipras (2015-2019) con il suo partito Syriza. Tsipras trattò il “piano aiuti” nonostante il popolo avesse respinto tale piano con la schiacciante vittoria del No al referendum del 2015 (62%), facendo rifluire il suo partito su posizioni molto più docili, grazie anche all’abbandono della parte più critica verso le politiche europeiste (es. l’ex ministro dell’economia Varoufakis).

Di lì in poi la distruzione del popolo greco e della sua economia, con tanto di strage degli innocenti (700 bambini morti in pochi anni) e la privatizzazione persino del porto del Pireo e degli aeroporti ellenici in favore di cinesi e tedeschi. E ancora, le campagne mediatiche pervertitrici del senso comune e del buon senso. In un’epoca in cui il potere politico conta sempre meno, sono i giornalisti, i redattori delle riviste più importanti, gli uomini di punta dei programmi e degli spettacoli televisivi informativi e non, i veri “demoni”; colpevoli della disinformazione, della mala informazione e dell’addormentamento psichico e sociale del popolo italiano – e non solo. Toscano scrive anche di Tangentopoli, l’operazione politico-giudiziaria utile alla distruzione dello Stato sovrano italiano, successivamente divenuto campo di battaglia di bande criminali di ogni tipo.

Con Tangentopoli si monta la campagna psicologico-mediatica, volta a colpevolizzare il nostro popolo per il suo “enorme” debito accumulato nel corso degli anni ’80 e  per “aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità”. E da quel momento che per Toscano viene veicolata l’idea tanto cara a movimenti forcaioli di ogni risma, secondo la quale “la ricchezza e l’opulenza di una qualsiasi nazione fosse direttamente proporzionale al grado di onestà e di probità degli uomini che occupano incarichi di governo” (p.39).

E poi ancora il secondo colpo, o il secondo “golpe” dir si voglia, il governo Monti (2011), che si instaurò a seguito della “letterina vagamente minatoria” (p. 55) recapitata al governo Berlusconi da Draghi e Trichet. Le minacce per corruttela, vera o presunta, sono un’altra delle armi utilizzate dai “nazisti tecnocratici” per intimorire i capi dei governi che potrebbero ostacolare i loro piani – Papandreu in Grecia fu minacciato da Sarkozy in virtù della cosiddetta lista Falciani sugli oltre 130.000 titolari di conti svizzeri, e qualcosa di simile è accaduto in Italia per Berlusconi. Anche in questo caso il pretesto è la corruzione, con la battaglia anticorruzione che assume nella nostra epoca sembianze di stampo farisaico-religiose: si accusa la disonestà altrui, con tutto il corollario di senso di colpa che il popolo (di solito del sud Europa) o il ceto disonesto (di solito i politici, meglio ancora se imprenditori e del sud Europa) deve sobbarcarsi, ma senza guardare però la trave 10 volte più criminale che è presente dentro di sé.

I piani del “dietro le quinte”

Toscano ha un’ottima capacità di collegare le vicende europee con i fatti di politica internazionale, in particolare il Medio Oriente e le operazioni legate al terrorismo (i cosiddetti attacchi di “false flag” – sotto “falsa bandiera”). In effetti siamo in presenza di uno scontro tra forze trasversali e che oppone il circuito dei gruppi di potere mondialistici a quelli nascenti e che si battono invece per la sovranità dei popoli e la difesa delle identità. Non localizzati in un specifico contesto spazio-temporale, i gruppi di potere mondialistici agiscono in ogni angolo del pianeta, e sarebbe sciocco pensare diversamente. Essi agiscono secondo la previsione e l’auspicio fatto dal politologo Brzezinsky, che in La Grande Scacchiera (1997) delinea quella che dovrà essere la grande eredità degli Stati Uniti, ovvero una “struttura operativa di cooperazione mondiale” in grado di “assicurare la stabilità e la pace su questa terra”. Interessante in questo schema è uno dei piani di azione di quel conglomerato di forze che abbiamo definito “trasversali”, e che a detta del filosofo Aleksandr Dugin si presenta sotto una duplice strategia, unipolare o multilaterale. Un “unico centro di comando”, seppur diversificato nella richiesta di collaborazione verso gli altri paesi alleati (nel multilateralismo c’è più collaborazione rispetto all’unipolarismo). Questo piano partorito nel 2000 nei centri studi neocon è il PNAC (Plain for New American Century), dove si indicano le intenzioni degli USA di evitare la crescita di qualunque potenza che ostacoli le loro mire globali, mire sempre più indirizzate verso il futuro. Il piano sosteneva che Bush avrebbe dovuto controllare militarmente il golfo, a prescindere se Saddam Hussein fosse o meno al potere e, tra gli altri, che il Regno Unito fosse l’alleato più efficace per garantire l’egemonia americana; la quale deve essere l’unica ammessa nelle missioni di pace, al posto di quella ONU.

E ancora, si parla della politica espansionistica in Medio Oriente; di un possibile cambio di regime in Cina – chissà ora cosa pensano i dem e neocon della nuova Cina “global”; di possibilità di sviluppo di armi batteriologiche nella guerra al terrorismo; dell’inserimento della Corea del Nord, della Libia, dell’Iran e della Siria nella lista dei regimi pericolosi. Interessante è anche la menzione nel saggio di Elliot Abrams, uno dei personaggi chiave nella strategia degli USA di sovvertimento degli Stati a loro ostili in sud America negli anni’80. Di lì in poi, gli USA anziché continuare a puntare alla sostituzione violenta dei governi modello Pinochet, misero in atto la politica della lotta per i “diritti civili”, le rivoluzioni colorate e lo schema tattico-golpista della “non violenza” teorizzato dai vari Gene Sharp, Robert Helvey e Peter Ackerman (dalla ex Jugoslavia al Venezuela, passando per le primavere arabe). Questo oltre ai noti intrallazzatori George Soros – nel campo economico-finanziario e nell’ideologia degli pseudo-diritti – e Jacques Attali, addirittura portatore di una “visione” – allucinazione più che altro – in ambito antropologico.

Importante è poi l’analisi che si fa della figura di Tony Blair. Blair è un personaggio chiave, “profeta” e “incarnazione” (p. 176) di quella ideologia “sintetica” da noi brevemente descritta che fonde liberismo (più precisamente neoliberismo) e ideologia dei diritti (veri o presunti) e che Toscano definisce “nazismo tecnocratico”. In più, egli è grande sostenitore delle avventure di guerra con le quali, grazie all’abbraccio mortale di repubblicani, neocon, laburisti e democratici, si è letteralmente assediato il Medio Oriente.  Usa e Regno Unito, “potenze di mare” provocatrici di una molteplicità di sciagure, ma perlopiù vissute dalle potenze di terra (es. terrorismo e immigrazione incontrollata). Come è possibile che il Partito Democratico italiano figlio di scuole di pensiero storicamente rilevanti, seppur contestabili, sia ancora oggi uno dei massimi portatori di un tale insieme di sciocchezze ideologico-politiche è un mistero della psicologia – e della pagnotta! Riguardo l’immigrazione, indicativa è la citazione di Pratktischer idealismus del Conte R. N. Coudenhove Kalergi (1925), dove si spiega come i processi di ibridazione tra più razze possano favorire la creazione – quasi in laboratorio – di una futura razza negroide-eurasiatica. Questa rimpiazzerà la precedente “molteplicità di popoli” con una “molteplicità di personalità” (pp. 22-23), passando così dalla condizione endogamica generante “tipi caratteristici” all’“incrocio”, generante invece “personalità originali”, con “mancanza di carattere, assenza di scrupoli, instabilità, mancanza di rispetto, infedeltà con obbiettività, versatilità e agilità mentale, assenza di pregiudizi e ampiezza di orizzonti” (p. 21). E poi l’11 settembre 2001, una data fondamentale della storia recente, con tutti i movimenti ad esso connessi. Tra questi quello riportato da Toscano, circa la moglie dell’ambasciatore saudita a New York, che aveva sostenuto economicamente due elementi, i quali a loro volta avevano facilitato le attività propedeutiche all’attacco terroristico.

L’uscita dal mondialismo: spirito, individuo, Stato, economia

La parte finale del saggio dedicata alle “soluzioni” dovrebbe essere aperta al dibattito pubblico. Innanzitutto quando si parla di “azione”, ho i miei seri dubbi che ci si possa rifare al modello della prassi ‘800-‘900esca, l’epoca del movimento di massa, del partito di massa, appunto l’“epoca delle masse” e delle teorie ideologiche più o meno rivoluzionarie. Bisogna piuttosto riferirsi alla determinata condizione epocale e spazio-temporale nella quale viviamo, e questo è il tempo della postmodernità, con tutto il suo portato di liquidità e specificità cultural-spirituale.  E lo spazio è quello dell’Occidente atomistico, disgregato e nichilisitico. Un Occidente in decadimento ed autodistruzione valoriale, psichica e sociale. Contesto ancor più specifico quello italiano, dove probabilmente determinati di questi caratteri vengono fuori con maggior forza, in particolare la dissoluzione di tutte le autorità e delle sovranità (Chiesa, Stato, Partito, famiglia, ecc.), anche per caratteristiche anarchicheggianti tipiche dell’italiano. Di converso è sulla base di questo individuo, disgregato dal contesto e fondamentalmente autodistrutto nella sua identità psicologico-sociale, che è importante ripartire. A cominciare proprio da un rinnovato principio applicato di sovranità, che è innanzitutto individuale e interiore, e sulla base del quale con “creatività” – qualità tipica degli italiani – riarticolare tutte le istituzioni in dissoluzione sopramenzionate. E quindi una rinnovata élite di “reggenti”, che ammaini il segno oscuro sotto il quale si pongono quelle attuali in favore del ritorno della luce, quella vera e non quella falsata, “abbagliante” e seducente delle attuali élite. Dunque il centro élitario serve, non è sbagliato in sé e per sé! Dipende che cosa esso esprime in termini simbolici, valoriali e antropologici. Non è scritto in nessun libro sacro che sia la democrazia il miglior strumento di governo del popolo, né tanto meno la democrazia rappresentativa; sistema essenzialmente burocratico e procedurale nel quale il popolo partecipa alla vita collettiva una tantum, semplicemente apponendo una X su una scheda elettorale – scheda di solito precompilata dai poteri forti sovranazionali, nazionali e locali. Possiamo però utilizzare il sistema che abbiamo a disposizione – la democrazia – per elevarlo di qualità, costruendo delle classi dirigenti sagge e chiamando, oppure “obbligando”, il popolo alla partecipazione della vita comunitaria a partire dai quartieri e dai luoghi di lavoro. E’ su questa base che è possibile rifondare lo Stato, e su un principio che sia appunto di “luce”, solare, “trascendente” e allora non più di natura prettamente economicista, materialista e “oscuro”.

Uno Stato che sia “organico” nel rapporto centro/periferia, con un equilibrio a geometria variabile, dove al centro vi sia appunto il “principio” e la sua articolazione élitaria. Un centro che faccia da “direzione”, “attrattore”, “aggregatore” di tutto ciò che sta alla base (periferia), e che va conformato ad esso (economia, legislazione, educazione, arte-cultura, realtà amministrativo-locali, rapporti con l’estero, ecc.). Importante è chiarire il punto che uno Stato di tale calibro deve avere a disposizione la politica economica, e non essere egli direttamente l’imprenditore o l’unica autorità economica. E’ attraverso la detenzione delle leve della politica economica che lo Stato può decidere quanta parte della produzione affidare al libero mercato o all’economia pubblica o cooperativa, quanto affidare alle capacità dell’impresa e al suo profitto e quanto socializzare. Un principio che può essere legato anche al fattore tempo. Magari per un certo periodo sarà necessaria una politica economica maggiormente liberista, per rinforzare l’economia, e in un altro una maggiormente sociale, cooperativa o meglio ancora “corporativa”. Intendendo per “corporativa” l’organica alleanza di tutte le categorie, rappresentanti individui pienamente realizzati nel proprio lavoro/arte di riferimento, e per il “bene superiore” dello Stato. Alla luce di questo discorso, sia la questione liberismo o keynesismo, come Euro sì o Euro no è di secondaria importanza.

In merito alla macchina politico-statale vi è il piano geopolitico e politico-internazionale, dove bisognerà portare avanti il nostro interesse (anche in termini di alleanze e scontri) in relazione al nostro “spazio vitale”; e soprattutto alla luce della nostra “visione del mondo” di riferimento, quella inquadrata in questo articolo.  Una “visione del mondo” senza pregiudizi tattico-strategici, ma attuata volta per volta in base a una gerarchia di principi, articolabili fra loro in vario modo (es. se al potere ci sono i trumpiani gli USA sono alleati; se negli USA al potere ci sono i mondialisti, la Russia di Putin allora potrebbe diventare il nostro riferimento principale; la Cina è nemica, in quanto nuovo vettore di punta del mondialismo, ma va rispettata al suo interno nella sua specificità politica e valoriale; nel conflitto israelo-palestinese va concordata una linea unica, o “due popoli due Stati” o uno Stato unico con tutte le varie minoranze, ecc.). Sacrosanta è la parte che Toscano dedica al meridione d’Italia, dove a mio avviso è necessario un piano d’intervento basato su tre direttive: civilizzazione/sviluppo, repressione/coercizione, autonomia/identità. Fornire le basi economico-produttive (utilizzare l’Industria 4.0 e il turismo) e infrastrutturali (sanità, trasporti, sicurezza, ecc.) in grado di portare i livelli alla pari col resto d’Italia, bloccando in buona sostanza le migrazioni verso il nord Italia e gli altri centri più sviluppati (solo per lavori altamente qualificati e di ricerca scientifica e culturale, con il presupposto anche di tornare).

Poi, dare una batosta di portata storica alla criminalità organizzata (modello Mori, Falcone e Borsellino), con leggi che considerino le mafie come organizzazioni terroristiche o “esercito di occupazione” sul territorio nazionale, “rieducando” alla vita civile i settori più sensibili al degrado sociale e morale.  Sviluppare al meglio il carattere tipico meridionale, in senso culturale e antropologico e non appiattirlo in un amalgama egualitarista che vorrebbe fare del napoletano il “piemontese del sud” (errore dell’Unità d’Italia). Tornando alle soluzioni generali, quando si parla di piano spirituale, bisogna tenere conto dell’ulteriore avanzamento di fase epocale che va dalla modernità alla postmodernità, e se in tale avanzamento sia ancora possibile una specie di ritorno al cristianesimo di qualche decennio o secolo fa. Si tenga conto anche del superamento che le élite e la massoneria hanno compiuto in merito all’Illuminismo, in favore di una specie di neopaganesimo – vedi studi del sociologo Michel Maffesoli –, che prima abbiamo definito “parodistico” e con tanto di culti panteistico-naturalistici e matriarcali (Gaia), sui quali è fondato l’“ambientalismo gretino” ad esempio, e che vengono affermati con maggior forza da tutto il progetto definito “Grande Reset” e del quale tutta la postmodernità è intrisa. Forse sarebbe più saggio “cavalcare la tigre” della postmodernità, giungendo al fondo della sua essenza ed “invertendo la sua polarità” verso una dimensione nella quale la spiritualità sia effettivamente sentita e praticata. E sulla terra, superando la separazione dualistica tra spirito e materia, trascendenza e realtà, tipica della modernità e delle tradizioni giudaico-cristiane.

Una delle linee guida ambiziose e molto di lunga durata potrebbe essere l’inversione di questo bizzarro sincretismo “spirituale”, che anima le attuali élite e la società da loro governata, in un ricongiungimento ad una Tradizione primordiale unica, “senza maschere” per dirla con René Guénon. Un passaggio dal “molteplice” (il sincretismo menzionato) all’“uno” (la Tradizione primordiale), così come l’uno nel corso delle epoche è decaduto nel molteplice. Tutto ciò pur nel rispetto, nella conservazione e nella pratica delle diverse Tradizioni vive e operanti. Dal punto di vista del piano ideologico da lui proposto, più che una sintesi del meglio delle varie ideologie (una specie di super-ideologia), bisognerebbe invertire l’ideologia sintetica, o sincretica dir si voglia, o meglio ancora la “post-ideologia” attualmente dominante, tornando ad un livello “pre-ideologico”. Tenendo bene a mente che l’ideologia è figlia dello “spacchettamento” dell’esistente, tipico di positivismo, illuminismo, razionalismo e della modernità, mentre il post-ideologico e i sincretismi son figli della post-modernità. E quindi bisogna spostarsi su un livello per certi versi pre-moderno, e, alla maniera pragmatica dell’Impero, tenere in vita solo il principio “ordinatore” e “solare”, articolandolo caso per caso, situazione per situazione senza fronzoli ideologico-intellettuali.  Sapendo che laddove questo principio d’ordine governa, nella sana gestione dell’economia, nella sicurezza del lavoratore e nel genio dell’impresa, nella riparazione delle strade e delle reti fognarie, nei rapporti con altri popoli e nelle controversie internazionali, là vive lo Spirito di Roma!

Roberto Siconolfi

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