10 Ottobre 2024
Dominique Venner Libreria Recensione

Dominique Venner seguì la via dell’Azione – Maurizio Rossi

La sua vita e i suoi scritti politici lo confermano

«Per far fronte alla cospirazione permanente dei regimi liberali e dell’organizzazione comunista internazionale, i Nazionalisti d’Occidente devono non soltanto perseverare su questa strada, ma incrementare le azioni e migliorare la metodologia. I militanti dell’Europa Nazione devono trovare, oltre le frontiere, un sostegno propagandistico che spieghi la loro lotta, ne esalti il coraggio, denunci la repressione e le sevizie di cui sono vittime, risvegli il sentimento d’una battaglia comune dei popoli europei per la propria sopravvivenza, contro coloro che li vogliono soggiogare.»

(Dominique Venner, Per una critica positiva, pag.94)

 

Nel lontano 1980, sulle pagine di Risguardo, Franco Giorgio Freda esprimendo le proprie considerazioni sulla milizia editoriale e quindi, di riflesso consequenziale, sulla milizia politica e sulla forma esemplare di una determinata e precisa linea di condotta, invitava al superamento di quella che lui definiva come la nevrosi del tempo. Bisognava allora guarire da questo condizionamento per approdare a una visione politica e strategica dell’insieme dove il fattore tempo significasse soltanto l’individuazione di obiettivi gradualmente progressivi da conseguire:

«Non strategia dei tempi lunghi, quindi, ma strategia delle lunghe distanze che ci separano dall’obiettivo. Non necessariamente i tempi devono essere lunghi. Il fattore tempo rimane indipendente da noi, mentre superare le distanze dipende dalla nostra disinteressata risoluzione, dalla disciplina tenace, dalla purezza dei nostri tentativi.»

A questo punto, quale tipologia umana potrebbe essere all’altezza per affrontare coerentemente una simile e giusta prospettiva operativa? Quella del «soldato politico», custode intransigente di una completa «visione del mondo», miliziano politico e pedagogo al contempo per poter guidare per mano il popolo, in grado di sviluppare «uno sguardo totale sul mondo» al fine di attivare «un comportamento coerente nel mondo».

Abbiano iniziato questo percorso partendo dalle considerazioni di Freda e della sua coerente e intransigente vita di milizia per arrivare a parlare di Dominique Venner e della sua altrettanto e coerente vita di milizia. Troviamo, con piacevole e confortante stupore, la medesima lucidità politica, la stessa ferrea determinazione e decisione, la profondità e la dura risolutezza di una visione strategica ad ampio respiro, nelle dense e crude pagine di «Per una critica positiva» pensato ed elaborato da Venner in carcere e recentemente pubblicato per la prima volta in Italia dalle edizioni fiorentine di «Passaggio al Bosco». Numerose chiavi di lettura legano quindi Freda a Venner.

Un superiore senso di milizia totale e totalizzante li ha entrambi contraddistinti. Ambedue hanno infatti vissuto e attraversato la clausura forzata della repressione carceraria, in virtù della loro manifesta fedeltà alla comune visione del mondo, poco importa se poi declinata con leggere differenze; così operando hanno onorato la loro e nostra «grande guerra santa» contro le forze oscure del maligno, contro il «Sistema» borghese, liberale, plutocratico e cosmopolita negatore e affossatore dell’anima delle nostre stirpi nazionali ed europee.

Ecco il Dominique Venner che ancor di più ci interessa e ci incuriosisce, l’uomo armonicamente completo, sia nella sua forma fisica cioè politica, come in quella della saldezza interiore, che scelse la via dell’Azione, la strada in salita di una vita di milizia dettata da una precisa scelta militante nazionalrivoluzionaria, contro il «Sistema». Una di vita e di pensiero cui rimase coerentemente fedele fino alla fine dei suoi giorni, fino a quel 21 marzo 2013.

Lo intuivamo, lo percepivamo, un uomo di tal fatta non poteva certo essere nato da un salotto intellettualistico e da un consesso di politicanti, le colombe non hanno mai generato aquile, come insegnavano i latini. La guerra e l’azione fanno invece nascere aquile e lupi, e Dominique Venner conobbe la guerra in Algeria, le attività clandestine e terroristiche dell’Oas, gli scontri per le strade, la latitanza e il carcere, poi ancora l’impegno politico e metapolitico.

Proprio durante il periodo della carcerazione scrisse «Per una critica positiva», frutto delle sue esperienze sul campo e delle sue riflessioni in merito. La sua intenzione fu quella di fornire ai quadri e ai militanti nazionalrivoluzionari un agile e pratico manuale operativo dove idee, riferimenti, insegnamenti e strategie fossero ben illustrati e il più possibile funzionali alla definizione di una nuova dottrina della lotta rivoluzionaria. L’obiettivo era quello di preparare pragmaticamente e con un lucido realismo politico il terreno e l’azione per giungere alla vittoria della rivoluzione nazionalista e popolare, antimarxista e anticapitalista, in Francia, per poi estenderla, sinergicamente a fianco degli altri camerati europei, al resto d’Europa.

Occorreranno però conoscenza della storia e delle situazioni, soprattutto del nemico da affrontare, preparazione ideologica, coscienza e disciplina rivoluzionarie per poter conseguire con successo una tale finalità: «Non su fondamenta di carta, bensì su una élite giovane e rivoluzionaria, permeata da una nuova concezione del mondo. L’azione che deve imporre questa rivoluzione può essere concepita senza la direzione di una dottrina rivoluzionaria? Certamente no. Come opporsi a un avversario armato d’una dialettica collaudata, dotato di una vasta esperienza, potentemente organizzato, senza alcuna ideologia e senza alcun metodo?». Si domanda Venner, formulando poi la risposta.

Fondamentale è l’esistenza del movimento rivoluzionario, organizzato militarmente con quadri e gerarchie di comando ben delineate e capillarmente distribuito, senza il movimento politico guida nessuna rivoluzione diventa possibile, ma come sottolinea lo stesso Venner, anche l’unità rivoluzionaria diventa impossibile senza l’unità ideologica. La dottrina deve diventare quindi il timone del pensiero e dell’azione per il militante nazionalrivoluzionario: «Prova ne è il fatto che durante l’azione, oppure in prigione – quando incombe lo scoraggiamento e l’avversario appare trionfante – i militanti formati, il cui pensiero coerente sostiene la fede, hanno una forza di resistenza maggiore.»

La lotta rivoluzionaria assume nelle strategie di Venner precisi caratteri psicologici e militari, del tutto scevri da infatuazioni romantiche e da sovrastrutture intellettualistiche. Nemmeno la mitologia incapacitante del piccolo nazionalismo sciovinista, caro alla destra borghese, trova spazio, mentre il pensiero e le speranze corrono incontro all’idea dell’Europa unita, la nuova Europa liberata dalle catene delle occupazioni americane e sovietiche.

Le fragili illusioni, troppo a lungo coltivate, lasciano il campo a quel freddo realismo operativo che fu patrimonio dei grandi movimenti rivoluzionari, quelli che la rivoluzione la fecero per davvero. Dalla loro capacità di programmare la conquista del territorio politico prima e del potere dopo, il saper fare tesoro dei propri errori tattici, altra loro caratteristica, i militanti devono trarne insegnamento.

Pensare e comportarsi di conseguenza come i primi bolscevichi, come i nazionalsocialisti negli anni della lotta, assumere la loro filosofia della milizia, la stessa concezione della rivoluzione come di una missione epocale, e la figura del «soldato politico» come di un apostolo fanatico di quella missione. Prendere esempio dalla loro serietà organizzativa e operativa, condannando gli opportunismi politici e le manifestazioni farsesche e caricaturali dei falsi rivoluzionari:

«La rivoluzione non è l’azione violenta che talvolta accompagna la presa del potere. Non è nemmeno un semplice cambiamento delle istituzioni o della cricca politica. La rivoluzione, più che la presa del potere, è il suo utilizzo per la costruzione della nuova società. Questo compito immenso non può essere contemplato nel disordine dello spirito e delle azioni. Esso necessita di un grande attrezzo da lavoro: preparazione e formazione.»

Sembra quasi che abbia tratto lezione da Sun Tzu e probabilmente conosceva la sua «L’arte della guerra». Anche in questo caso i collegamenti e i parallelismi non mancano, scrisse, infatti, il generale e filosofo cinese: «Conoscendo quell’altro e conoscendo se stessi, per cento volte che dovessimo combattere, non correremmo alcun rischio o subiremmo alcun danno. Non conoscere quell’altro, ma conoscere se stessi, per una volta che vinceremo, un’altra volta dovremo subire. Ma se infine, senza conoscere quell’altro né noi stessi, dovessimo combattere, ogni nostra battaglia si risolverà in un rischio essenziale.» Ebbene, questa massima è riconducibile al senso dell’opera di Venner.

«Per una critica positiva» non è pertanto un libro datato e non venne scritto per ammuffire nelle biblioteche. Implacabile e severo nella critica delle insufficienze di un ambiente che arrancava nella ricerca di un efficace percorso di lotta, ma anche «positivo» e propositivo, perché il salto di qualità è sempre possibile. Tolti alcuni rifermenti specifici di quel periodo, non possiamo certo negare la validità delle formulazioni contenute e la coerenza dottrinaria dell’impianto complessivo. Questo «manuale» squisitamente nazionalrivoluzionario mantiene inalterate le sue profondità pedagogiche e politiche, e come tale deve essere letto e studiato.

Abbiamo detto che Dominique Venner si mantenne fedele alla sua scelta di milizia fino all’ultimo. Come dubitarne? Lo stesso svolgimento del rito sacrificale con cui si dette la morte, le intime motivazioni ci trasmettono la generosa riconferma della fedeltà di quest’uomo alla sua storia, alle sue lotte e alle sue certezze mai venute meno. Fedeltà ai suoi antenati e alla tradizione dei padri che volle onorare attraverso una comunione mistica con essi in un rito di sacrificio e di sangue. Una riconferma delle battaglie di ieri, di oggi e di domani. Una virile esortazione a battersi fino al limite estremo delle forze, e anche oltre esse.

Quel 21 marzo a Parigi non è morto uno scrittore, ma un nazionalrivoluzionario.

Cerchiamo di non dimenticarlo.

 

Maurizio Rossi

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