Si sta formando a livello globale un nuovo, preoccupante divario tra i sessi. Lo afferma in un servizio pieno di dati il Financial Times, bibbia liberale. Il “nuovo femminismo”, più radicale, vendicativo, ideologizzato, rispetto alle “ondate” precedenti, sta allontanando uomini e donne, chiudendoli in mondi distanti, sempre più incomunicabili. Non è solo competizione (un aspetto del divide et impera) né il diverso modo di guardare la vita o affrontare i problemi, segno della meravigliosa differenza complementare tra i due sessi. No, la breccia è più seria, politica, ideologica, su principi e valori.
Gli uomini sono sempre più di destra, le donne sempre più di sinistra. Argomentazioni e statistiche del Financial Times sono illuminanti. Il paludato organo dei signori del denaro cede alle mode del momento nel titolo dell’inchiesta, in cui la parola sesso è sostituita da “genere” (A new global gender divide is emerging – sta emergendo una nuova divisione globale tra i sessi), ma l’analisi è convincente.
Al vecchio osservatore della politica torna in mente un sapido, nostalgico pamphlet di Leo Longanesi, Ci salveranno le vecchie zie? Travolto dal ciclone del dopoguerra, era in crisi il mondo di ieri e il brillante polemista romagnolo – conservatore intelligente – sperava (o fingeva di sperare) che la salvezza sarebbe venuta dalle zie, una categoria femminile di maestre di vita, “fusti di quercia, dalle radici ben solide”, “custodi dell’ordine classico”, “fedeli gendarmi dello stato”, un po’ avare, ma come “segno di decoro, atto di fede, principio morale, norma pedagogica”. Realista sino al disincanto, Longanesi sapeva benissimo che le zie erano già una specie in via di estinzione. Pure, nel 1948 erano state le donne, in grande maggioranza cattoliche, mogli e madri, a propiziare la storica vittoria della DC contro il blocco social-comunista. Quella volta ci salvarono davvero, votando in massa contro padri e mariti infatuati dal verbo collettivista.
Altri tempi, altre donne. Il fenomeno rilevato con freddezza sociologica dal Financial Times certifica una mutazione antropologica che lascia senza fiato, un’inversione che ribalta dati biologici e culturali consolidati. Lo scrittore francese Laurent Obertone, in Raisonnablemente sexiste. Remettre les hommes et les femmes à leur place (Ragionevolmente sessista. Rimettere donne e uomini al loro posto) è categorico:
“l’uomo, più alto e muscoloso, più aggressivo e avventuroso, con un orientamento e una visione superiore (per la statura], è colui che provvede alla maggior parte delle cose, cacciatore, guerriero, protagonista di azioni e creatore. La donna, è responsabile del mantenimento dell’ordine, del clan, del parto, della cura e dell’igiene dei genitori, della trasmissione, della domesticazione e, per estensione, della civiltà“.
Dunque, la tendenza progressista, intesa come tensione verso la novità, l’inesplorato, il rischio, sembra appartenere all’universo maschile. Quello femminile è orientato alla stabilità, alla cura, alla trasmissione della vita ma anche dei costumi e valori della comunità, attitudini “conservatrici”, come lo è la tensione all’autoregolazione della vita (omeostasi).
L’inversione è compiuta e può essere attribuita solo in parte al femminismo dell’ultima ondata, più rancoroso, vendicativo di quello delle madri, teso alla conquista della parità. Il FT indica il movimento “#MeToo” come detonatore della tendenza. Non ne siamo convinti, poiché il fenomeno è globale e #MeToo è soprattutto americano. In più, il fenomeno di divaricazione politico valoriale è figlio di sommovimenti di lungo periodo. Di sicuro, il neo femminismo e alcune sue rivendicazioni e convinzioni, poste con toni violenti, minacciosi e apertamente anti maschili, hanno impressionato gli uomini ponendoli sulla difensiva, costretti – finalmente – a riflettere sulle conseguenze di una guerra dei sessi sempre più acuta, assurda, innaturale.
Si è aperto un abisso non solo ideologico, un fossato di incomunicabilità tra i giovani e le giovani per grave divergenza di valori e visione della vita, con serie conseguenze politiche e sociali. Ecco un’altra differenza rispetto al passato, in cui ogni generazione – uomini e donne – tendeva a muoversi unitariamente. Pensiamo al Sessantotto collettivista e libertario, al riflusso degli anni Ottanta, all’infatuazione liberale di fine XX secolo. Ora la Generazione Z (nata tra gli anni Novanta del XX secolo e i primi anni del XXI) sperimenta una divaricazione per sessi: uomini da una parte, donne dall’altra, con distanze che tendono ad allargarsi pericolosamente.
Negli Stati Uniti per molti decenni i due sessi erano divisi equamente tra visioni liberali e orientamenti conservatori. Attualmente, le giovani donne progressiste superano di ben trenta punti percentuali i coetanei maschi della medesima tendenza. Anche in Germania è stata riscontrata una differenza analoga. Nel Regno Unito il divario è di venticinque punti e la corrente è la stessa: donne a sinistra, uomini a destra. Con l’emergere del femminismo aggressivo, l’irrompere dell’immigrazione e questioni come la “giustizia” razziale, si scopre che i gruppi di età più anziani rimangono più o meno sulle stesse posizioni da moltissimi anni, mentre la distanza ideale tra i giovani è sempre più squilibrata per sesso. Il divario non risparmia l’Oriente occidentalizzato. In Corea del Sud la polarizzazione è estrema al punto che i sociologi parlano di un paese diviso in due a causa delle opinioni dei suoi giovani. Le divergenze politiche ed ideologiche sono uno dei motivi per cui i matrimoni sono crollati di numero, durano pochissimo e il tasso di natalità è caduto in picchiata. Segno che la polarizzazione/divaricazione politica (e quindi esistenziale) tra i due sessi ha conseguenze disastrose per la coesione sociale, per la nascita e tenuta delle famiglie e la riproduzione valoriale e biologica delle comunità investite dal fenomeno. Sorge una inclinazione nuova dei giovani maschi, la convinzione di essere discriminati. Sono sempre più numerosi gli uomini convinti che il femminismo distrugge i diritti maschili.
Ci tocca ricordare un fatto personale di trent’anni fa. A seguito di alcune promozioni, si aprì la possibilità di dirigere strutture interne dell’ufficio pubblico in cui lavoravamo. Riservatamente, senza alcunché di scritto, dall’alto fecero sapere che dovevano essere favorite le funzionarie donne. Chi scrive si trovò a dipendere, dopo anni in cui di fatto aveva retto un ufficio, da una collega il cui unico merito era l’appartenenza al sesso femminile. A ingiustizie precedenti – vere – si rispose con un’ingiustizia nuova. E’ il sistema delle quote rosa, della riserva di posti, della cosiddetta “azione affermativa” o “discriminazione positiva” (???), che divide le persone in base al sesso, all’etnia, all’appartenenza a veri o presunti gruppi minoritari, penalizzando gli altri e negando di fatto merito e capacità, che non coincidono con quote sessuali, etniche o elementi di valutazione imposti ideologicamente. Le distanze in questa guerra dei sessi – funzionale, come tutte le altre, alla riproduzione del potere oligarchico – non riguardano solo i temi sollevati da #MeToo, la violenza “strutturale” sulle donne, la categorizzazione sommaria dell’uomo come un violentatore, eccetera. La conclusione è desolante: i giovani uomini si sentono minacciati, le giovani donne danno l’impressione di voler regolare conti in sospeso, e tutti, maschi e femmine, abitano sempre più spazi ed universi mentali separati. Una società avvelenata, malata, agonistica, che non può funzionare. Alla luce dei fatti, certificati dalle indagini sociologiche, diventa più chiaro l’insidioso, devastante meccanismo della propaganda omosessualista, al cui fondo – diciamolo senza paura – vi è un odio, una ripugnanza verso l’altro sesso che sconcerta e ha motivazioni più profonde di quelle legate alla sfera sessuale. Fenomeni come quello della divaricazione politica per sesso minacciano di lasciare il segno sulle generazioni future. Se ci saranno, poiché chi non si incontra non fa figli.
Qualche segnale positivo si intravvede nelle riflessioni del femminismo tradizionale, non inquinato da ideologemi e dalla scelta omosex di molte teoriche, in grado di capire l’ovvio, ossia che uomini e donne, nella loro benefica, meravigliosa diversità complementare, sono destinati a capirsi e affrontare insieme l’esistenza e la storia. La perdita di simpatia del femminismo in ambito maschile è palpabile, anche se non raggiunge ancora la sfera pubblica. Pochi osano esternare ciò che pensano: perché gli uomini sono condannati a condividere l’agenda femminista, ad essere, per così dire, più realisti del re dichiarandosi femministi ogni dì e anti “maschilisti”? Perché le parole pesano come macigni e il termine maschilismo è caricato di ogni connotato negativo? Perché non possiamo rivendicare le nostre specificità, il nostro universo di istinti e modi di essere?
Fin da piccoli, i giovani maschi delle ultime generazioni- già privati dei modelli maschili per l’evaporazione dei padri e degli insegnanti uomini – vengono educati, ossia indottrinati, a credere di avere in sé malvagità, violenza, istinti orribili. Noi sappiamo che non è vero, e lo sa anche la maggioranza delle donne, ma il baccano sociale va tutto in quella direzione. Il risultato è quello mostrato dalle analisi sociologiche spagnole, un paese in cui l’ossessione femminista è al governo. Solo il quindici per cento degli uomini dichiara totale simpatia per il movimento femminista, la stessa percentuale di chi non ne ha alcuna. La maggior parte degli uomini rifiuta di identificarsi come “ persona impegnata nei valori di uguaglianza difesi dal femminismo”. Ovvio, se significa discriminazione di segno opposto.
Sconcertante la reazione del ministro competente, l’ erinni femminista Irene Montero il cui paradosso è che deve la carriera alla relazione sentimentale con il capo storico del partito Podemos, Pablo Iglesias. Si è dichiarata felice che il 44 per cento degli uomini si senta discriminato. Significa, ha affermato con notevole sprezzo del ridicolo, che gli altri vogliono “una Spagna femminista”, per cui “occorre più femminismo”. Interessante, nell’inchiesta iberica, è che anche un terzo delle donne pensa che gli uomini siano discriminati. Due terzi di loro ritiene che le disuguaglianze tra i sessi (ma si deve dire “di genere”) siano “grandi o abbastanza grandi”, percentuale che scende di oltre venti punti tra gli intervistati maschi.
Le indagini demoscopiche sono manipolate e la risposta dipende dalla formulazione della domanda, ma esiti tanto netti in contesti e paesi diversi dimostrano una tendenza della quale occorre prendere atto. E non, come fanno i partiti politici, per centrare il messaggio su determinati gruppi sociali, demografici, sull’uno o sull’altro sesso, al fine di conseguire vantaggi elettorali, ma per ricentrare la società. Al di là dell’evidente divario nelle preferenze politiche, oltre il crinale conservatore-progressista – che non dà conto di molte altre contrapposizioni di valori e interessi – la polarizzazione politica tra uomini e donne preoccupa moltissimo.
E’ in pericolo la tenuta stessa della comunità, oltreché la normalità e l’armonia delle relazioni tra le due metà della mela. Paradossale dato positivo: nonostante tutti gli sforzi dei falsari della neo cultura, i sessi/generi restano due… Il problema è la stigmatizzazione, il disprezzo alimentato nei confronti di uno di essi, un orribile gioco a somma negativa cui dovrebbe partecipare la vittima. No, l’uomo non è un bruto, un violentatore o un tiranno. Semplicemente, è l’esemplare maschio della specie umana, diverso per natura e biologia dalla sua compagna, che lo mette al mondo ed è madre dei suoi figli.
Nessuna guerra dei sessi, nessuna folle ideologia può modificare il dato della natura. Chi pretende di farlo, attacca la verità e smonta il delicato equilibrio delle relazioni, delle comunità, delle società. Precisamente quello è l’obiettivo. Non possiamo, non dobbiamo cadere nella trappola, uomini e donne, maschi e femmine.
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