Nella serie dei vari scritti che finora ho proposto ad EreticaMente, quest’articolo dovrebbe essere preceduto non dall’ultimo (“Titani, Antenati mitici ed Eroi culturali”) ma dal primo apparso sul sito, cioè “La fine dell’età primordiale e la Caduta dell’Uomo”, che al tempo avevo inviato alla Redazione perché era quello sul momento già pronto; successivamente sono venuti tutti gli altri con i quali ho voluto ripartire dall’inizio del nostro Manvantara, o che hanno toccato temi più generali come l’evoluzionismo, la teoria “Out of Africa”, le caratteristiche razziali di base, ecc… Adesso quindi riprendiamo il filo degli eventi e torniamo con le nostre analisi ai tempi immediatamente successivi alla “Caduta dell’Uomo” ed alla fine dell’Età Paradisiaca – il Satya Yuga in termini indù – episodio che si verificò circa 39.000 anni fa e diede inizio all’era successiva, il Treta Yuga o “Età della Madre”.
Tradizionalmente si riporta che a livello macrocosmico questa fondamentale cesura fu collegata alla perdita, rispetto al piano dell’eclittica, della perpendicolarità dell’asse terrestre, che si inclinò di circa 23° con il conseguente inizio della periodicità stagionale. La particolare drammaticità del passaggio in questione fu anche dovuta al fatto che il transito tra i due Yuga venne a coincidere con quello tra due Grandi Anni, il Secondo ed il Terzo, una discontinuità che Gaston Georgel ricorda essere sempre segnata da un immane cataclisma; inoltre, aggiungerei che mentre nel Secondo Grande Anno si era manifestato il predominio dell’elemento Aria, il successivo, inaugurato da un sommovimento che si può ipotizzare di carattere soprattutto geologico, dovette collegarsi all’elemento che dell’Aria è diametralmente opposto, ovvero la Terra (come d’altro lato sono antitetici il Fuoco ed Acqua, cosa che in futuro comporterà qualche analoga considerazione in merito al Diluvio, acqueo, che sommerse Atlantide tra la fine del Quarto Grande Anno e l’inizio del Quinto). Ragionando su base quinaria – cioè ipotizzando una corrispondenza tra le cinque razze esiodee ed i cinque Grandi Anni del Manvantara (ed, inoltre, tra questi ed i cinque Elementi cosmici) – abbiamo già visto nel precedente “Titani, Antenati mitici ed Eroi culturali” come si possano tratte degli utili spunti considerando queste razze secondo coppie omogenee (cioè: Oro / Argento da un lato e Bronzo / Eroi dall’altro), dove il primo elemento in qualche modo si trova “alla radice” del secondo; è quindi presumibile che, nei passaggi interni alle coppie, la divisione tra i Grandi Anni dovette manifestarsi in maniera forse meno traumatica di quelli liminali.
Nel caso specifico, la “Caduta dell’Uomo” implicò cosmologicamente il punto di superamento del predominio da parte del guna Tamas rispetto al guna Rajas ed una decisa accelerazione dell’impulso alla precipitazione verso il basso: una svolta che in termini migratori avrebbe trovato il suo riflesso nel completo abbandono delle primordiali sedi nordiche, tra le quali la Varahi nordorientale, anche da parte delle popolazioni che erano rimaste più a Nord, e per più tempo, rispetto a tutte le altre già dislocatesi in altri settori.
Julius Evola ricorda come fu da questo preciso momento che divenne prevalente il segno del Sud con i relativi temi della Terra e della Madre; in effetti, oltre che dal Mito, ciò sembra essere confermato anche da concreti elementi archeologici dai quali trasparirebbe una certa predominanza culturale dell’elemento femminile. Significative, ad esempio, sono le statuette definite “Veneri paleolitiche”, tra le quali di notevole interesse è sicuramente la “Venere di Hohle Fels”, rinvenuta nella Germania sud-occidentale e che, risalendo ad almeno 35.000 anni fa, rappresenta uno dei primi esempi di arte figurativa al mondo; l’immagine di questo articolo è l’ancor più famosa “Venere di Willendorf”, che però con i suoi 22-24.000 anni fa è meno antica (ma ricade sempre nel Treta Yuga) e dovrebbe collocarsi nel periodo “Gravettiano”, che incontreremo nel prossimo articolo.
In ogni caso, la prevalenza simbolica del Sud corrispose anche all’effettiva presenza di un continente posto forse nell’Oceano Indiano e che per Evola fu la mitica Lemuria, per Gaston Georgel Gondwana, ma che probabilmente è il Gokarna menzionato nei Purana e ricordato da Giuseppe Acerbi; secondo Guenon, comunque, dovette interamente collocarsi nel Treta Yuga il periodo nel quale fiorì questa terra, che forse scomparve già alla fine del Terzo Grande Anno. L’influenza, spirituale e come vedremo anche etnica, esercitata da questo centro meridionale, indusse Evola a formulare il concetto di “Luce del Sud” che sarebbe giunta a condizionare anche l’ambito atlantico, tanto da fargli denominare “ciclo atlantico meridionale” la fase preistorica immediatamente successiva al termine dell’Età Paradisiaca; ciò anche in coerenza con la nota dello stesso Guenon che riconobbe per il continente occidentale l’esistenza di una parte settentrionale ben distinta da una meridionale. Il tutto, non disgiunto dal fatto che nel periodo in prossimità della “Caduta”, lo stesso settore più nordico di Atlantide (di cui l’articolo “Il ramo boreale dell’uomo tra Nord-est e Nord-ovest”) probabilmente vide deteriorarsi le sue condizioni di abitabilità, dal momento che iniziò a subire – come altre zone ad elevata latitudine – gli effetti di un periodo climatico più rigido e l’avvio del movimento di sommersione del ponte transoceanico (dinamica che si sarebbe conclusa solo pochi millenni fa, come in futuro avremo modo di vedere).
Di tale influenza meridionale, sul piano etnico la colonna portante dovette essere costituita soprattutto dalle popolazioni di ceppo pigmoide, già incontrate nel precedente articolo “Nord-Sud: la prima dicotomia umana e la separazione del ramo australe” e che abbiamo accostato a Lilith nel suo più specifico aspetto legato al Sud. Non è azzardato pensare che almeno una parte di queste genti abbia conosciuto – o quantomeno lo abbia fatto prima di altre – una certa prossimità culturale e forse anche biologica con alcune forme non Sapiens, dominate dal Tamas guna e “parodisticamente” sorte già all’inizio del Manvantara come effetto correlato alla caduta luciferica. In area asiatica, ad esempio, troviamo i “Denisoviani” (un gruppo, ben distinto sia dai Neanderthal sia dalle coeve popolazioni Erectus, del quale sono stati recentemente scoperti nella Siberia meridionale alcuni piccoli reperti) che pare siano all’origine di circa il 6 % del DNA degli odierni Melanesiani, abitanti l’Oceania e la Papua-Nuova Guinea; in area africana stanno emergendo analoghe intersezioni genetiche che, in alcune etnie subsahariane, denoterebbero un antico incrocio con precedenti ominidi non appartenenti alla nostra specie, il cui peso tuttavia non si è ancora riusciti a quantificare con precisione.
Dunque già sul finire del Krita Yuga alcuni gruppi pigmoidi dovettero giungere, arrivando da est, sulla costa occidentale dell’Africa centro-settentrionale e quindi in agevole contatto con le popolazioni più prettamente atlantiche, “intermedie” tra Nord e Sud del mondo, connesse alla figura di Eva. Come in precedenza ricordato, la seconda compagna di Adamo, secondo un’interessante interpretazione delle scritture bibliche, era “uscita” dall’Eden più boreale e quindi si era trovata esposta all’azione “tentatrice” del Serpente, il quale, in un’altra significativa tradizione, viene oltretutto fatto corrispondere proprio a Lilith. Sulle popolazioni “evaiche” tale contatto comportò un effetto spiritualmente disgregante ed “ottenebrante”, come tenebrosa ed oscura è la Luna Nera di cui Lilith è notoriamente il simbolo: un’influenza che ben presto passò dai gruppi atlantici a quelli ancora più boreali, corrispondenti ad Adamo/Varahi. Da qui prese origine il mito ellenico di Atalanta che, come ricorda Guenon, fu la prima a colpire il Cinghiale: la prima ma evidentemente non l’unica, e quindi è ipotizzabile che l’attacco ad Adamo venne portato anche da altre posizioni. Il probabile risultato fu che l’unità linguistica “adamico-nostratica” venne a disarticolarsi in varie zone della sua estensione, ma primariamente ad Ovest, dove il gruppo che si staccò per primo forse corrispose a quello Camitico; successivamente venne via via seguito da altri (Cartvelico-sudcaucasici, Elamo-Dravidici, Sumeri), lasciando tuttavia coeso ancora per un certo periodo di tempo il solo sub-raggruppamento “Eurasiatico” che, tra le altre, comprende anche la famiglia Indoeuropea. Sono tutti punti sui quali torneremo nei prossimi articoli.
In ogni caso l’azione iniziale portata dalle popolazioni pigmoidi, sancì, almeno in una prima parte del Treta Yuga, l’inizio di un periodo di predominanza simboleggiato dall’avvento del quinto avatara di Vishnu, Vamana, che in termini biblici è stato affiancato a Caino ed in ambito indù viene significativamente rappresentato come Nano. Va aggiunto che i Pigmoidi avrebbero rappresentano il primissimo nucleo fondatore della Razza Nera – ricordiamo che per Coon sono i Pigmei i veri Negroidi di base – ma non dovrebbero essere confusi con Negridi “classici” che appariranno in Africa solo più tardi, oltretutto in modo così enigmatico e fulmineo da far supporre che tale genesi, a mio avviso, possa essere avvenuta in una zona oceanica ora sommersa (lo vedremo più avanti). Razza Nera che quindi, pur sotto la forma specifica ed embrionale dei Pigmoidi “primari”, parrebbe esercitare un certo predominio nel Terzo Grande Anno del Manvantara, come l’elemento Terra che ad essa è stato attribuito anche da Frithjof Schuon, nonchè da vari accenni evoliani sul “tellurismo” delle popolazioni australi.
Oltre che sul piano spirituale, la summenzionata azione disgregatrice deve essersi estrinsecata anche e soprattutto attraverso una complessa serie di ibridazioni, come dicevamo avvenuta primariamente in area atlantica e corrispondente, nel Mito, al già menzionato ricordo biblico dell’unione tra esseri celesti e donne terrestri, che appare in buon accordo anche con la nota platonica sull’eccessivo mescolamento tra le due nature e la conseguente caduta dell’Umanità primigenia. Evola ricorda che tale unione diede origine alla generazione dei Giganti – che più sotto vedremo a quale stirpe corrispose – evento che, significativamente, ebbe luogo nel momento in cui “alla spiritualità delle origini subentrò quella dell’Età della Madre”, quindi la seconda, il Treta Yuga. Si può quindi dedurre che i Giganti nacquero piuttosto precocemente, ma la loro incidenza diretta sulla storia umana probabilmente non si manifestò subito; ciò forse perché all’inizio tale progenie fu fortemente influenzata dal predominante ciclo dei Nani rappresentati dai Pigmoidi australi e, tramite questi, spiritualmente soggiogati dalla Madre e dalla Luce del Sud. Una situazione di dipendenza e subordinazione probabilmente riassunta dall’immagine riportata in diversi miti nei quali al cinghiale si contrappone un dio maschile che però dipende da un’entità femminile: con ciò forse attestando un debito dei Giganti che, oltre ad essere spirituale, fu anche culturale-linguistico tramite l’adozione delle forme espressive proprie delle “Madri” Lilith-Eva, quindi sino-dene-caucasiche o più australi ancora.
La posizione evoliana su questo punto ed in relazione al significato dei Giganti è tuttavia un po’ diversa. Per Evola, infatti, i Giganti avrebbero al contrario rappresentato una forma di “reazione” contro la Madre e la connessa forma spirituale, univocamente orientata in senso “lunare”; un’interpretazione legata alle particolari concezioni che egli elaborò sulle civiltà argentea e bronzea utilizzando le categorie delineate da Bachofen, le quali però si discosterebbero da quanto riportato dalle varie tradizioni spirituali dell’umanità. Se, come lo stesso Evola segnala, il “titanismo” (per lui, termine sinonimo) costituirebbe una forma “degenerata” della Luce del Nord, a mio avviso è proprio in quanto tale che esso dovrebbe manifestare il suo cedimento e la sua dipendenza nei confronti della opposta Luce del Sud; invece, un’effettiva forma di reazione nei confronti di quest’ultima sarebbe piuttosto da ascrivere al più tardo periodo eroico che riterrei congruo far corrispondere al Quarto Grande Anno (tra 26.000 e 13.000 anni fa) dal momento che esso avrebbe rappresentato un’ultima reminescenza, seppure parzialmente oscurata, della primordiale Luce del Nord, come vedremo in futuro. Qualche ulteriore accenno, proposto dallo stesso Evola, andrebbe tutto sommato in questa direzione interpretativa: ad esempio, quando ricorda la leggenda dei Giganti di Tiuhuanac il cui cielo conosceva solo la Luna, chiaro simbolo di influenza femminile spinta fino al punto di occultare completamente l’elemento solare-maschile. Nel pensiero evoliano, tuttavia, permane sempre un certo equivoco di fondo in merito al rapporto Giganti – Madre – Atlantide, e ciò soprattutto quando, a tratti, quest’ultima viene intesa nella sua versione più settentrionale mediante l’utilizzo frequente del termine “nordatlantico”: una fase sul cui segno non univocamente femminile si potrebbe concordare, ma che però rappresenterà, come vedremo, un momento più tardo e distinto da quello propriamente atlantico-meridionale. Evola riconosce che lungo la scia dei colonizzatori oceanici si trovano quasi esclusivamente idoli femminili, associa la civiltà atlantico-occidentale alle statuette femminili della caverna di Brassempouy databili al Gravettiano (all’incirca tra 26.000 e 20.000 anni fa) e ricorda le ipotesi di Herman Wirth sulla Mo-Uru, “Terra della Madre”: ciononostante resta sempre in lui l’idea che i Giganti, tradizionalmente di provenienza occidentale, non vadano omologati a questo ciclo, bensì ne rappresentino un’opposizione in chiave “titanica”.
E proprio in relazione a quest’ultimo termine ed alla sua continua sovrapposizione alla classe dei Giganti, ritengo si evidenzi un ulteriore punto problematico, dal momento che nel mito ellenico i Titani ed i Giganti vengono presentati come due generazioni ben distinte. Abbiamo infatti visto nel precedente articolo “Titani, Antenati mitici ed Eroi culturali” che le entità titaniche andrebbero piuttosto correlate alla seconda razza esiodea e quindi, come anche la prima generazione aurea, non sarebbero considerabili sul piano umano; invece la classe dei Giganti, identificabile con la stirpe tratta dai frassini e la razza bronzea, sarebbe a tutti gli effetti da inquadrare sul nostro livello, non diversamente dalle successive, cioè la razza degli eroi e la razza di ferro.
Questo passaggio ci spinge a volgerci dal piano mitico-tradizionale a quello bio-antropologico.
Come la stirpe dei Nani, abbastanza intuitivamente, può essere associata alle popolazioni pigmoidi, questi “Giganti”, nati dall’unione tra i “Figli di Dio” e le “Figlie degli uomini”, da diversi autori sono stati collegati ad una specifica forma umana: la razza di Cro-Magnon. Ciò sicuramente per l’alta statura evidenziata in diversi reperti (mediamente superiore a 1,80 m), ma un’altra possibile conferma di questa identificazione può essere fornita da non pochi ricercatori che, anche in ambito accademico, hanno indicato nel tipo Cro-Magnon proprio il risultato di vari incroci tra popolazioni antecedenti con caratteristiche fisiche eterogenee. Tuttavia diversi autori considerano tradizionalmente il Cro-Magnon appartenente alla Razza Rossa, a mio avviso forse l’espressione più compiuta e stabilizzata di questo nucleo ancestrale ed ecumenico che già in partenza fu alquanto multiforme (aspetti già trattati negli articoli “Il colore della pelle” e “L’elemento Aria, Lilith e l’iniziale Razza Rossa”) e che predominò nella seconda metà del Satya Yuga, proprio al termine del quale esso nacque. Va anche detto che, originando dall’incontro di forme comunque derivanti, seppure per vie diverse, da un’unica compagine iniziale che era sorta da non molti millenni, a mio avviso il Cro-Magnon assunse la veste di una “nuova sintesi” nell’ambito della Razza Rossa, la cui estrema vitalità gli consentì di andare a popolare diverse aree del pianeta: oltre a varie zone dell’Europa (che Guenon segnala anticamente definita “Terra del Toro”, anche se, come vedremo, non fu l’unica stirpe che qui si stabilì), soprattutto la costa atlantica dell’America settentrionale, l’Africa meridionale forse addirittura prima dei Boscimani (viste anche le recenti analisi sul cranio di Hofmeyr che lo situerebbero a 36.000 anni fa), in Iran a Hotu e nella Siberia meridionale (ma comunque di datazione recente, non più paleolitica), fino all’estremo oriente con reperti in prossimità di Pechino ed in Giappone a Tsukumo.
La forma Cro-Magnon, improntata quindi da un certo “gigantismo”, probabilmente rappresentò un’intrinseca possibilità umana quasi simmetrica rispetto a quella di direzione opposta, “pigmoide”, ed azzarderei che fu anzi proprio l’elemento pigmoide a costituire una parte delle componenti che vi diedero origine: una frazione di quelle mitiche “figlie degli uomini” che furono la rappresentazione simbolica di uno degli elementi razziali che entrarono in gioco nel mescolamento. La dinamica probabilmente fu piuttosto articolata e forse implicò un triplice ibrido (come ad esempio ipotizzò Birdsell per gli aborigeni australiani), concetto accennato anche da Evola nel processo di “mistovariazione” del gruppo originario e presente nelle ipotesi di Hermann Wirth, il quale nella genesi cromagnoide immaginò l’intervento di tre fattori: i “Prenordici” boreali, i negroidi australi ed i “finnici” eurasiatici. Nella nostra ipotesi non dovrebbe stupire la presenza dei pigmoidi al posto dei negroidi di Wirth, dal momento che questi ultimi, come già evidenziato in precedenza, non dovevano ancora essersi formati essendo un raggruppamento razziale piuttosto recente; d’altro canto un contributo dei geni pigmoidi, benché in quota relativamente bassa, non necessariamente dovette costituire un ostacolo al raggiungimento delle elevate stature cromagnoidi, ma anzi potè paradossalmente avervi contribuito in maniera determinante se consideriamo il fenomeno noto come “eterosi” o “lussurreggiamento degli ibridi”, ovvero l’insorgenza di un carattere nuovo, come ad esempio l’alta statura, che avviene quando la prole, anche di persone alte con persone basse, arriva ad essere anche più imponente del genitore più grande.
Le altre due componenti che verosimilmente entrarono nella formazione di Cro-Magnon possono essere state, genotipicamente e fenotipicamente, tra loro molto più vicine e quindi aver determinato, nel risultato finale, un netto predominio rispetto al contributo pigmoide: deve essersi trattato delle due branche, occidentale ed orientale, del ramo boreale dell’umanità e rispettivamente corrispondenti (come da precedente articolo “Il ramo boreale dell’uomo tra Nord-est e Nord-ovest”) ad Eva ed Adamo, ed in termini linguistici alle superfamiglie Sino-dene-cucasica e Nostratica, o ad importanti spezzoni di queste. Nell’articolo citato, abbiamo visto come queste due branche – che presumibilmente arrivarono in area atlantica in tempi e lungo vie diverse – assieme costituirono quella razza “pre-europoide”, ancestrale rispetto ai più recenti Europidi e Mongolidi (questi ultimi, differenziatisi ancora più tardi), che è stata definita “paleoartica” da Wiklund e che forse corrisponde, secondo recenti indagini genetiche, ad uno dei gruppi fondatori degli odierni Europei, i “nordeurasiatici”. A dispetto del nome, si tratterebbe di una popolazione che potrebbe essersi spinta anche fino a latitudini piuttosto basse se ad esempio ricordiamo che i Toda (affiancati ai Lapponi ed agli Uralici come arcaico residuo “pre-europoide”) si trovano attualmente nell’India sudoccidentale; come anche il fatto che circa la metà del patrimonio genetico dei primi agricoltori neolitici – di provenienza anatolica, quindi relativamente meridionale – sembrerebbe dovuto proprio al contributo di questi “nordeurasiatici”. Abbiamo anche formulato l’ipotesi che, dal punto di vista linguistico, la branca più nordorientale di questi paleoartici-nordeurasiatici sia stata costituita dal sotto-raggruppamento “Nostratico” e, aggiungiamo, forse già soggetto ad un primo grado di blanda depigmentazione, senza però ancora arrivare al conclamato biondismo che, come vedremo, si manifesterà più tardi; invece la branca più sudoccidentale dei paleoartici-nordeurasiatici dovette corrispondere alla superfamiglia linguistica Sino-dene-caucasica, probabilmente giunta in Europa per prima rispetto a tutte le altre popolazioni Sapiens. In termini più prettamente razziali, ipotizzerei che entrambe si siano comunque fondate su quello che sia Evola, ma anche diversi altri ricercatori, ritengono sia stato il più antico “uomo anatomicamente moderno” europeo – antecedente e differenziato rispetto a Cro-Magnon – ovvero Homo Aurignacensis (così definito da Klaatsch): si tratterebbe cioè del “Combe-Capelle”, magari in varianti e tipologie lievemente differenti tra loro, che tuttavia sembra aver popolato diffusamente l’Europa a varie latitudini, se è vero che da diversi specialisti è stato considerato sia un paleo-mediterraneo (e per Biasutti, portatore di influssi “meridionali”) ma anche alla radice di popolazioni decisamente più nordiche come ad esempio i Lapponi, se non addirittura gli Eschimesi (gruppi che, va detto, non evidenziano valori particolarmente elevati di biondismo). Questi ultimi sembrerebbero infatti collegati alla particolare variante Chancelade di età tardo-paleolitica e, procedendo ancora più ad oriente, Homo Aurignacensis parrebbe affiancabile ai ritrovamenti siciliani di San Teodoro (traccia di un probabile tipo “pelasgico”), forse a quelli tedeschi di Oberkassel e di Ofnet (rispettivamente maddaleniano e mesolitico) fino a quelli ben più antichi di Brunn o Brno (Moravia) e Pavlov (Russia europea).
Secondo Evola, tuttavia, per il fatto di essere presenti sul suolo europeo da più tempo rispetto ai Cro-Magnon, i Combe-Capelle sarebbero stati esposti ad una maggior prossimità con le razze “inferiori” già ivi stanziate, segnatamente quella di Neanderthal e quella di Grimaldi, anche se va ricordato che, per quest’ultima, già in precedenza abbiamo visto come sembrerebbero del tutto infondate le caratteristiche “subumane” e/o “negroidi” a suo tempo attribuitele, facendo piuttosto inquadrare i reperti liguri dei “Balzi Rossi” come una variante fondamentalmente cromagnoide (e quindi anche più recente).
In merito ai Neanderthal, invece, il discorso è diverso. Intanto mi pare significativo il fatto che recenti analisi ne avrebbero anticipato, rispetto alle stime precedenti, la data della scomparsa dal suolo europeo, ponendola ora tra 42.000 e 39.000 anni fa, quindi in un momento molto vicino alla fine del Satya Yuga: quasi a significare la drastica riduzione di spazi vitali che avrebbe patito, a seguito del crescente afflusso da Nord di popolazioni Sapiens in fuga da un Eden ormai in raffreddamento rapido. Tuttavia, prima della loro estinzione, vi sarebbero stati alcuni millenni di convivenza tra i Neanderthal e Homo Aurignacensis, durante i quali si sarebbero potute verificare le commistioni accennate da Evola: in effetti, recenti analisi genetiche sembrerebbero confermare un certo meticciamento avvenuto con i Sapiens euroasiatici, il cui DNA sarebbe debitore di quello neandertaliano per una quota attorno al 2 %. D’altro lato è interessante anche la possibilità che si sia pure verificato un passaggio di tipo culturale dai Neanderthal ai primi “uomini anatomicamente moderni” europei, ipotesi anche questa recentemente rafforzata dal ritrovamento di strumentazione in osso di livello piuttosto raffinato in tempi sicuramente “pre-Sapiens”, nonché di alcuni oggetti di carattere ornamentale rinvenuti in contesto Castelperroniano. A tale proposito, forse non è casuale il fatto che, per le fasi aurorali del Paleolitico Superiore europeo (circa 38-40.000 anni fa: Castelperroniano in Francia, Uluzziano in Italia, Szeletiano in Ungheria, Jerzmanoviciano in Polonia), venga ipotizzata una certa attinenza proprio tra le ultime popolazioni neandertaliane e la cultura castelperroniana, e che questa venga spesso collegata anche ai gruppi Combe-Capelle. Gruppi ai quali, più precisamente, Peyrony attribuisce il complesso unitario che definì “Perigordiano”, ovvero l’insieme del Castelperroniano con l’Aurignaziano superiore, mentre invece i Cro-Magnon sarebbero stati gli artefici dell’Aurignaziano “tipico”: una cultura, quindi, sorta successivamente, e parallela, al Castelperroniano/Perigordiano e che, presentando oltretutto una grande omogeneità stilistica nell’area tra la costa atlantica ed i Carpazi (o al massimo il Don), suggerisce l’idea di una certa intrusività in Europa. Ne consegue che i cromagnoidi sembrerebbero decisamente più ancorati ad un settore occidentale, mentre i Combe-Capelle (almeno secondo Ferembach) ad una corrente invece di provenienza orientale; lo stesso Evola, in effetti, ne ricorda l’area di popolamento che si estendeva dalla Boemia fino alla Siberia.
Se quindi, dopo i più antichi Combe-Capelle, anche altri reperti Sapiens europei vengono in questa fase rinvenuti nel nostro continente (ad esempio: quelli rumeni già noti di Pestera cu Oase di 35.000 anni fa, di Velika Pecina in Croazia di oltre 34.000 anni fa, di Mladec in Moravia e di Vogleherd in Germania entrambi di circa 34.000 anni fa, di Predmost in Moravia precedenti a 30.000 anni fa) sono però i Cro-Magnon “classici” che sempre più iniziano ad occupare la scena, grossomodo a partire dalla fase centrale del Treta Yuga, come continueremo a vedere nel prossimo articolo.
Michele Ruzzai
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- Vittorio Marcozzi – L’Uomo nello spazio e nel tempo – Casa Editrice Ambrosiana – 1953
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- Giovanni Monastra – Julius Evola tra le seduzioni del razzismo e la ricerca di una antropologia aristocratica durante il fascismo – indirizzo internet: http://www.juliusevola.it/risorse/template.asp?cod=16&cat=ART&page=14
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- Frithjof Schuon – Caste e razze – Edizioni all’insegna del Veltro – 1979
- Frithjof Schuon – Dal divino all’umano – Edizioni Mediterranee – 1993
- Gary Stix – In Africa i primi umani moderni si incrociarono con altre specie – Sito Le Scienze – 02/08/2012 – indirizzo internet: http://www.lescienze.it/news/2012/08/02/news/primi_uomini_moderni_incrocio_altre_specie_ominidi_africa-1184704/
- Una data certa per la scomparsa dei Neanderthal – Sito Le Scienze – 21/08/2014 – indirizzo internet: http://www.lescienze.it/news/2014/08/21/news/data_fine_neanderthal_coesistenza_homo_sapiens-2256444/
- Una “Venere” di 35.000 anni fa – Sito Le Scienze – 14/05/2009 – indirizzo internet: http://www.lescienze.it/news/2009/05/14/news/una_venere_di_35_000_anni_fa-575046/
- Uomo moderno…o quasi – Sito Anthropos – 17/1/2007 – indirizzo web: http://www.antrocom.it/textnews-view_article-id-956.html
- Jean-Pierre Vernant – Mito e Pensiero presso i Greci – Einaudi – 2001
- Francisco Villar – Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia – Il Mulino – 1997
- Joao Zilhao (intervista) – I Neanderthal pensavano come noi ? – in: Le Scienze – Agosto 2010 (articolo contenuto anche nel libro-raccolta “Il cammino dell’uomo” edito da Le Scienze – 2014)
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