Era assolutamente necessario che i bombardieri inglesi ed americani apparissero come la spada del Signore. Gli alleati non avevano scelta. Se non affermavano solennemente, se non provavano con qualsiasi mezzo di essere stati i salvatori dell’umanità, non erano che assassini. Se un giorno gli uomini cesseranno di credere alla “mostruosità tedesca”, non domanderanno conto delle città distrutte?(Maurice Bardèche, I servi della democrazia, Milano, Longanesi, 1949)
Di Germana Ruggeri e Pietro Ferrari
Il 13 febbraio 1942 apparvero in Inghilterra le nuove linee guida per la guerra aerea: esse stabilirono che la popolazione civile dovesse essere il bersaglio principale degli attacchi. Come dichiarò il capo di stato maggiore dell’aviazione militare britannica, Sir Charles Portal, in un memorandum indirizzato al maresciallo Arthur Travers Harris, responsabile del Bomber Command della Royal Air Force: “Spero sia chiaro che i bersagli dovranno essere le aree residenziali, anche qualora esse non fossero specificamente menzionate nelle istruzioni, al pari delle installazioni portuali e delle fabbriche”.
Il bombardamento dei quartieri civili divenne la regola e doveva accelerare, nelle previsioni degli alti vertici , la fine della guerra; la strategia era il moral bombing, lo scopo quello di abbattere il morale del nemico e fiaccarne la volontà di resistenza. La dottrina del maresciallo dell’aria Sir Hugh Trenchard, capo di stato maggiore dell’aviazione militare britannica dal 1919 al 1929, – dottrina destinata ad ispirare l’operato della R.A.F. –, individua così il bersaglio dell’aviazione: “Tutto quello che contribuisce alla capacità d’offesa del nemico e alla sua volontà di lotta”.
I civili non rappresentano obiettivi militari in sé, ma se contribuiscono alla produzione di equipaggiamenti, materiali, dotazioni e tecnologie militari o vivono nelle vicinanze di industrie del settore, le cose cambiano: diventano bersagli da colpire senza alcun appello. Il bombardiere non discrimina tra le sedi industriali e i luoghi di insediamento della popolazione. Il trauma del bombardamento di saturazione piega il morale di chi sopravvive.
La città di Amburgo conobbe la prima tempesta di fuoco (Feuersturm) della storia della Seconda guerra mondiale nell’estate del 1943. Obiettivo militare primario per la presenza dei cantieri navali Blohm & Vossche producevano circa il 45 % dei sommergibili tedeschi, il suo porto era il più attivo dell’Europa. L’area investita dal devastante bombardamento incendiario comprendeva i grandi quartieri di Rothenburgsort, Hammerbrook, Borgfelde e Hamm–Süd, i più densamente popolati, per lo più da famiglie di operai.
Fin dalla tarda estate del 1944, presso l’Alto Comando Interalleato, si prese a lavorare alla pianificazione del cosiddetto Piano Thunderclap(Colpo di Tuono), suggerito inizialmente da Sir Charles Portal per dare il colpo di grazia al morale del popolo tedesco. In senso strettamente tecnico si trattava di eseguire una serie di raid aerei dagli effetti calcolatamente disastrosi, sula scala di Amburgo 1943, allo scopo di gettare la Germania nel caos nel momento in cui le masse di profughi, che fuggivano davanti all’avanzare dell’Armata Rossa verso l’interno della Germania, avrebbero creato alle autorità del Reich problemi logistici, di approvvigionamento e di ordine pubblico.
Il 26 gennaio 1945 il segretario di Stato britannico per l’aviazione, Sir Archibald Sinclair, scrisse a Churchill che “Berlino e le grandi città della Germania orientale, come Lipsia, Dresda e Chemnitz, non sono solo dei centri amministrativi che controllano i movimenti militari e civili, ma anche centri di comunicazione primari attraverso i quali passa il massimo del traffico tedesco”. Sinclair aggiunse che la possibilità di attaccare pesantemente queste città era all’esame degli strateghi della Royal Air Force.
Il giorno stesso Churchill gli rispose: “Ieri sera … vi ho chiesto se Berlino, e senza dubbio, altre grandi città della Germania orientale, potrebbero essere considerate adesso come obiettivi particolarmente attraenti. Sono contento che questo sia ‘sotto esame’. Vi prego di riferirmi domani che cosa sta per essere fatto”.
“Obiettivi particolarmente attraenti”: la città di Dresda – “Wunderstadt”, città delle meraviglie – lo era sicuramente..
Nel Settecento, Dresda fu definita da Johann Wolfgang von Goethe “Scrigno delle meraviglie”, mentre il filosofo Johann Gottfried Herder, amico di Goethe, le tributò il titolo di “Firenze sull’Elba”. Già capitale medievale degli Elettori di Sassonia, Dresda custodiva nel cuore della città vecchia piccole case dai tetti aguzzi in legno e mattoni fulvi risalenti all’epoca di Albrecht Dürer e Lutero, vicoli punteggiati di taverne e birrerie. Sotto impulso di sovrani come Federico Augusto I il Forte e di suo figlio Federico Augusto, Dresda si trasformò in uno scrigno di tesori, collezioni d’arte, gioielli architettonici unici, fiabeschi palazzi barocchi (fra questi lo Zwinger) e rococò, chiese adorne di pinnacoli, guglie, cupole, parchi magnificamente coltivati che invitavano i residenti a lunghe passeggiate.
Altre città tedesche conobbero l’orrore del Feuersturm: la già citata Amburgo, Essen, Kassel, Darmstadt, Brunswick. Altre come Wuppertal furono spazzate via dalla faccia della terra nel giro di una notte.
Cosa distingue allora il bombardamento di Dresda?
Dresda era una città culturale, una città artistica, non un sito industriale, checché taluni ne dicano. Nel 2005, in occasione del 60° anniversario della distruzione della città, il sindaco di Dresda Ingolf Roßberg, appartenente al Freie Demokratische Partei, partito politico tedesco di orientamento liberale, rilasciò una dichiarazione sconcertante, riportata dal quotidiano Die Welt in data 12 febbraio: ”Dresden war im Februar 1945 das größte noch existierende Zentrum der deutschen Rüstungsindustrie. Deshalb müssen wir uns von der Formel der ‘unschuldigen Stadt’ lösen.“ (Nel febbraio 1945, Dresda era il più grande centro esistente dell’industria tedesca degli armamenti. Pertanto, dobbiamo abbandonare lo schema della “città innocente”). Non soltanto tale dichiarazione non corrisponde al vero, ma va ricordato che – com’è ampiamente documentato e documentabile – il bombardamento non inflisse danni significativi agli stabilimenti industriali (peraltro di scarso interesse strategico) situati nei sobborghi della città. Le bombe ad alto esplosivo e gli oltre seicentomila ordigni incendiari sganciati dalla Royal Air Force caddero sui quartieri centrali, ovvero su aree residenziali.
Prima di allora, la città aveva conosciuto due soli bombardamenti nell’arco di tutta la guerra: il 17 ottobre 1944, trenta velivoli dell’ottava armata aereaavevano bombardato edifici industriali nei sobborghi di Dresda-Loebtau e Dresda-Friedrichstadt, causando la morte di quasi 500 persone, per la gran parte lavoratori e prigionieri alleati adibiti come manodopera nelle fabbriche. Nuovamente, il 16 gennaio 1945, gli scali ferroviari di Dresda-Friedrichstadt erano stati colpiti ed i morti erano stati 376, ma anche questa volta nessuna bomba era caduta sul centro della città.
Dresda, una tra le più belle e romantiche città d’Europa, si considerava privilegiata. A tal punto era radicata nei suoi abitanti la convinzione che potesse uscire relativamente indenne dalla guerra che era dotata di una difesa contraerea assai limitata. Una sola squadriglia di caccia notturni Messerschmitt era stanziata nell’aeroporto di Dresda-Klotzsche e poteva decollare solo su precisa autorizzazione dell’Alto comando della Luftwaffe.
Per lo storico inglese David Irving, Dresda era da considerarsi città indifesa secondo i termini della convenzione internazionale dell’Aja, in quanto dall’ ottobre 1944 ebbe inizio la dispersione della sua contraerea. Aumentando l’offensiva dell’Armata Rossa sul fronte orientale e la penetrazione delle divisioni corazzate alleate all’interno della Germania occidentale, la contraerea fu richiesta in altre zone ove ve n’era più bisogno.
Molti piloti britannici rimasero sorpresi dal silenzio assoluto della contraerea, testimoniandolo in vario modo. Dal giornale di bordo del puntatore a bordo dell’aereo del comandante Le Good: “13-14 febbraio 1945, Dresda. Niente contraerea”.
La contraerea rimase silenziosa semplicemente perché la città ne era sguarnita, ritenendosi al riparo da attacchi aerei massicci.
Fu così che Dresda divenne la meta di centinaia di migliaia di profughi, la maggior parte dei quali donne e bambini, in fuga dall’Armata Rossa, giunti nella città sull’Elba perché avevano sentito dire che si trattava di un luogo sicuro, che non sarebbe stato preso di mira dai bombardamenti in quanto privo di fabbriche di munizioni e di installazioni militari significative. Gli alleati sapevano della presenza in città di una grande quantità di rifugiati.
Secondo lo storico tedesco Götz Bergander, autore del saggio “Dresden im Luftkrieg: Vorgeschichte – Zerstörung – Folgen” (Flechsig Verlag, 1998) gli sfollati presenti in città in quei giorni di febbraio ammontavano a duecentomila. Altre fonti stimano a mezzo milione il numero dei rifugiati. In città vi erano ben 25 centri ospedalieri messi a disposizione dei soldati feriti e della popolazione civile. Dresda ospitava inoltre non meno di 26.000 prigionieri alleati, per la massima parte inglesi, i quali godevano di una libertà di movimento altrove inconcepibile.
David Irving sottolinea questo particolare perché in base all’articolo 9 della convenzione internazionale di Ginevra (27 luglio 1929) i prigionieri di guerra “non dovevano essere tenuti in luoghi scelti in modo da rendere certe zone strategiche immuni dai bombardamenti”. I tedeschi si erano sempre attenuti scrupolosamente a questa norma, come confermato dalla neutrale Svizzera.
Tra i prigionieri di guerra presenti in città figurava lo scrittore Kurt Vonnegut, tedesco di origine, americano di quarta generazione, il quale si salvò trovando rifugio nei sotterranei del mattatoio. In seguito fu adibito assieme ad altri, prigionieri e non, al recupero dei cadaveri dalle macerie delle abitazioni. Tornato a casa dopo la guerra, Vonnegut iniziò a scrivere racconti e nel 1969 mise mano ad un’opera incentrata sulla sua esperienza di prigioniero di guerra e testimone oculare del bombardamento incendiario di Dresda. Il libro, “Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini”, fu messo al bando in diversi stati americani per la denuncia fattavi del massacro compiuto dalla R.A.F.
In un’intervista rilasciata a The Independent, 20-12-2001, p.19, Vonegut dichiarò senza mezzi termini: “Voi, ragazzi [gli inglesi, ndr], l’avete ridotta in cenere, trasformata in un’unica colonna di fuoco. Sono morte più persone lì, nella tempesta di fuoco, in quell’unica grande fiamma, che a Hiroshima e a Nagasaki messe insieme”.
Quando si accenna all’orrore di Dresda, la replica sovente è il più odioso di tutti i cliché: “E’ la guerra” oppure “Hanno iniziato loro, se la sono cercata”.
In un articolo apparso sul National Journal nel 2008, Thomas Brookes sottolinea che “fu l’Inghilterra ad iniziare i bombardamenti terroristici contro la popolazione civile tedesca, ben due giorni dopo la dichiarazione di guerra. I primi raid terroristici vennero effettuati il 5 settembre 1939 contro Wilhelmhaven e Cuxhaven; il 12 gennaio 1940 venne bombardata Westerland/Sylt. Il 20 marzo vennero attaccate Kiel e Hoernum/Sylt, con bombe incendiarie che distrussero un ospedale. Nell’aprile 1940, i bombardieri inglesi attaccarono altre città prive di importanza militare”.
Fu solo in seguito a tali incursioni che il governo tedesco ordinò alla Luftwaffe di colpire la capitale britannica. L’incursione su Coventry, che provocò ottocento vittime, non avvenne prima del 14 novembre 1940.
L’attacco aereo su Dresda fu un crimine odioso, accuratamente pianificato a tavolino e condotto contro una popolazione civile inerme. A distanza di anni il generale d’aviazione Sir Robert Saundby, nella sua prefazione al libro di David Irving, sentirà il bisogno – quasi per rimuoversi un peso dalla coscienza – di sottolineare che, pur avendovi preso parte, non era in alcun modo responsabile di quella decisione, esonerando anche il suo comandante in capo, Sir Arthur Harris, e adducendo a mo’ di giustificazione la tesi secondo cui essi avevano obbedito a un ordine ricevuto dal Ministero dell’Aria che, a sua volta, rispondeva ai più alti rappresentanti del Governo.
Una tesi ritenuta non ricevibile quando viene addotta da ex militari tedeschi: basti citare i casi dell’ultranovantenne Alfred Stork o, prima ancora, di Erich Priebke.
Quante furono le vittime del massacro di Dresda?
Non vi è accordo in merito tra gli studiosi.
Secondo Hermann Knell, autore di “To Destroy a City: Strategic Bombing and Its Human Consequences in World War II”(Da Capo Press, 2003) le vittime identificate sarebbero 35.000, mentre rimarrebbe difficile da accertare il numero delle vittime non identificate e non identificabili.
Nel febbraio del 2005, fu insediata a Dresda una “Commissione di storici per l’ accertamento del numero di vittime dei raid aerei sulla città di Dresda il 13-15 febbraio 1945”. Dopo quattro anni di lavoro tale commissione arrivò alla conclusione che la cifra vada compresa tra i 22.700 e i 25.000 morti.
Nel 1955, l’ex Cancelliere della Germania Ovest, Konrad Adenauer dichiarò: “Il 13 febbraio del 1945 l’attacco alla città di Dresda, che era sovraffollata di profughi, provocò circa 250.000 vittime” (Deutschland Heute, edito dall’ufficio stampa e informazioni del Governo Federale, Wiesbaden, 1955, p.154).
Negli ultimi decenni la tragedia di Dresda si è trasformata in un caso politico. Essa del resto rappresenta, sin dalla primavera del 1945, una vera e propria spina nel fianco per i propagandisti della “Crociata in Europa” (come recitava il titolo del libro di memorie del generale Dwight Eisenhower). L’assassinio mediante il fuoco di decine di migliaia di civili nella città sull’Elba è una macchia indelebile sull’ “albo d’onore” dei Vincitori, più che mai decisi a preservare – e ad eternare – la propria reputazione di paladini del Bene e salvatori dell’umanità dal Male assoluto incarnato dal Terzo Reich.
L’insofferenza dei Vincitori e dei loro supporter in Germania si è andata accrescendo a dismisura negli ultimi anni, per la precisione da quando la città di Dresda è divenuta la meta di migliaia di europei decisi a commemorare con compostezza, nell’anniversario della strage, le vittime del bombardamento incendiario.
La stampa borghese (Die Zeit e Der Spiegel su tutti) ha sbrigativamente bollato come “neonazisti” i partecipanti alla Trauermarsch. Dal canto loro, ogni anno Linke e antifà al grido di “Deutsche Täter sind keine Opfer!” (I carnefici tedeschi non sono vittime) mettono in atto iniziative di boicottaggio volte ad impedire lo svolgimento della pacifica Marcia commemorativa.
Le istituzioni, dal canto loro, hanno pensato bene di “calare l’asso” insediando la già citata Commissione di storici. Ridurre a ventimila le vittime dell’incursione, negare che esistano prove della presenza di masse di sfollati in città e che siano stati compiuti mitragliamenti ai danni dei civili che avevano trovato scampo sulle rive del fiume: guarda caso, tutto ciò era esattamente quanto i Vincitori – e i loro supporter in Germania – desideravo ratificare ed imporre come la “verità” sui fatti di Dresda. Non per nulla, il citata Commissione di storici. Ridurre a ventimila le vittime dell’incursione, negare che esistano prove della presenza di masse di sfollati in città e che siano stati compiuti mitragliamenti ai danni dei civili che avevano trovato scampo sulle rive del fiume: guarda caso, tutto ciò era esattamente quanto i Vincitori – e i loro supporter in Germania – desideravo ratificare ed imporre come la “verità” sui fatti di Dresda. Non per nulla, il 10 febbraio 2008, sullo pagine dello Spiegel lo storico britannico Frederick Taylor, autore del saggio “Dresden: Tuesday, February 13, 1945” (Harper Perennial, 2005) levava un peana alle risultanze della Commissione. Quello stesso Frederick Taylor che ha basato tutto il suo libro sulla tesi secondo cui Dresda ospitava un importante snodo ferroviario e industrie belliche di rilievo e poteva rappresentare, pertanto, un bersaglio legittimo.
Letture consigliate:
G. Bonacina, Comando Bombardieri, Milano, Longanesi, 1975.
Piero Buscaroli, Paesaggio in rovine, Milano, Camunia, 1979.
Jörg Friedrich, La Germania bombardata. La popolazione tedesca sotto gli attacchi alleati. 1940-1945, Milano, Mondadori, 2004.
David Irving, Apocalisse 1945. La distruzione di Dresda, Brescia, Settimo Sigillo, 2004.
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