I droni armati diventano legali in America con l’approvazione del disegno di legge 1328 di un certo Rick Becker che, in North Dakota, ha chiesto alla polizia un mandato di sorveglianza per questo tipo di arma avanzata. La polizia potrà combattere legalmente i criminali e potrà farlo, a quanto pare, con armi non letali del tipo pistole elettriche, proiettili di gomma. La legge statunitense modifica il divieto originario che contemplava la limitazione dell’uso delle armi letali contro i criminali e, nel contempo, lo stesso Becker afferma che bisogna “mantenere la capacità decisionale dell’uomo nel ricorrere alle armi contro un altro individuo”. Non si può pensare di rendere questa tecnologia armata uguale a un videogioco controllato in remoto da un essere umano e armato… per finta? Becker ha riferito, in realtà, di non avere nessuna informazione riguardo alle intenzioni vere della polizia, di dotare cioè i droni con i taser per dare la caccia ai cattivi oppure no.
La legge americana modifica il divieto originario di limitare l’uso delle armi letali contro i criminali. Questo è un bel punto interrogativo e non si capisce in che modo modifica il divieto. O, meglio… Se la legge (Section 5 della Bill 1328) in North Dakota è stata modificata per gli interessi dell’industria e delle lobby, quel rassicurante ‘nulla di letale’ si traduce in un Phantom (o drone simile) della polizia armato – oltre che di pallottole di gomma o spray orticanti (al peperoncino come in India) – anche di gas lacrimogeni, ‘cannoni sonori’ e di taser che ha causato nel 2014 la morte di 39 persone, secondo quanto pubblica The Guardian.
E se, oltretutto, durante un’operazione o una caccia al cattivo il ‘giocattolo’ sbagliasse la mira?
La legge 1328, che presto entrerà in vigore nel North Dakota, va ad aggiungersi alla già estrema situazione della militarizzazione della polizia americana, colpevole della morte di 776 americani solo quest’anno. Non è da escludere che altri Stati americani seguiranno il suo esempio.
In India, sono già stati utilizzati droni per spruzzare gas al peperoncino allo scopo di sedare alcune manifestazioni. Vi proponiamo un video dimostrativo.
La nuova legge House Bill No. 1328 prevede la possibilità d’impiegare droni anche per il controllo dei confini di Stato. Roba da ridere considerando che, in precedenza, le self-driving (auto a guida automatica) di Google erano state bollate dallo stesso Stato come possibili armi letali per criminali tecnologici. Roba da ridere o da arrabbiarsi parecchio pensando che sono l’industria e le lobby a fare le leggi: è l’industria e l’oscuro mondo degli investimenti cui è legata a decidere cosa deve essere definito legale o meno, non il contrario. Nulla di nuovo.
Il prototipo testato dalla University of North Dakota sfrutta il drone Draganflyer X4ES, che tra qualche mese potrebbe essere sdoganato a supporto della polizia. Questo drone è stato realizzato dalla DraganFly, pesa 1,6 Kg e integra una batteria a fronte di 2,4 Kg. E’ in grado di raggiungere una quota di 2400 metri e un massimo di velocità orizzontale di 50 kmh (in salita, 2 mt al secondo). Il drone è ripiegabile per essere trasportato agevolmente, supporta una videocamera stabilizzata a 2 assi SONY RX100 ed ha una buona capacità di carico pari a 800 grammi.
Il taser, considerato un’arma non letale, in realtà è molto pericoloso se lanciato in aree sensibili o contro persone con patologie cardiovascolari.
Gli UAV in ambito militare e geopolitico
Il boom dei droni coinvolge vari settori: fotografico, giornalistico, controllo del territorio, rivelazione degli abusi edilizi, applicazione in campi come l’agricoltura, creatività tecnologica, controllo degli incendi e salvataggio delle persone in mare, ma la prospettiva mondiale punta sul vero scopo dei droni, lo stesso per cui sono nati: la difesa e l’attacco militare. I droni sono stati concepiti, fin dall’inizio, come armi da guerra in una sorta di videogame dove l’intelligence, lo spionaggio ed il controllo di un governo rappresentano una carta importante da giocare contro gli avversari.
I primi prototipi dei droni (Unmanned Aerial Vehicles – UAV) risalgono alla Seconda Guerra Mondiale e, da allora, la tecnologia legata a questi velivoli si è evoluta in campo militare e civile e non solo. La finalità è divenuta anche strategica e tattica soprattutto negli USA che detengono un ruolo di supremazia in questo settore e che impiegano i droni oltre confine sfruttando il diritto all’autodifesa sancito dal diritto bellico e dell’Authorization for the Use of Military Force Against Terrorists (AUMF) approvata dal Congresso USA il 14 settembre 2001. Gli attacchi con i droni sono stati introdotti dall’amministrazione di George W. Bush e si sono intensificati sotto la presidenza di Barack Obama come strategia di anti-terrorismo che prevede forze speciali, intelligence e operazioni condotte da remoto. Tale strategia ha registrato danni collaterali coinvolgendo vittime innocenti. Nulla di nuovo, anche stavolta.
I bombardamenti dei droni degli Stati Uniti, che sostengono la coalizione araba, continuano a colpire i militanti islamisti. A luglio, i droni di Obama hanno già ucciso il ‘numero due’ di Aqap, Nasser al Wuhayshi, e il 27 agosto si è appreso che cinque presunti membri di al Qaeda sono stati uccisi ad al Mukalla, roccaforte dei terroristi nello Yemen sudorientale, in un probabile bombardamento di un drone statunitense. Altri quattro sospetti militanti di al Qaeda sono stati uccisi sabato scorso in un raid simile nella stessa zona. Sempre gli USA hanno ucciso un cittadino britannico in Siria, l’hacker dello Stato islamico Junaid Hussain (nato a Birmingham e ribattezzato in battaglia col nome di Abu Hussain al-Britani): questa figura chiave del Cyber Califfato dell’ISIS è stata colpita da un missile lanciato da un drone mentre era in viaggio a bordo di un veicolo.
Diversi bersagli ‘sicuri’ sono stati raggiunti dagli USA ma anche bersagli sbagliati, vittime innocenti coinvolti in una guerra sempre più caotica e che non risparmia nessuno. Anche in questo caso – stiamo parlando del caso di Giovanni Lo Porto – nulla di nuovo.
Giovanni Lo Porto è stato ucciso da un drone della CIA che aveva come obiettivo un compound di Al Qaeda in Pakistan. Il cooperante Lo Porto si trovava nel compound di Multan (al confine con l’Afghanistan) insieme ad altri ostaggi americani: era stato rapito da Al Qaeda nel gennaio 2012 in Pakistan ed ucciso lo scorso gennaio durante un’operazione dell’antiterrorismo statunitense. Il 19 gennaio 2012, è stato portato via dal compound da 4 uomini armati insieme al collega tedesco Bernd Muehlenbeck: entrambi operavano per la ong tedesca Wel Hunger Hilfe nell’ambito del progetto finanziato dall’Ue per soccorrere la popolazione del Pakistan sconvolta da un violento terremoto cui era seguita un’alluvione. Insieme a Giovanni è morto l’esperto di sviluppo Warren Weinstein, prigioniero dal 2011 con una grande esperienza alle spalle, missioni in Centro Africa, Haiti e due volte in Pakistan.
Gli Stati Uniti sono l’unico Paese che utilizza droni armati nello spazio aereo yemenita controllato dai caccia della coalizione internazionale contro i ribelli sciiti Houthi guidata dall’Arabia saudita.
Di recente, l’amministrazione Obama ha autorizzato l’esportazione di droni armati in alcuni Paesi alleati, tra cui l’Italia che insieme alla Francia non ha ancora usufruito l’accesso ai droni armati. Il governo italiano si è detto intenzionato ad aprire un centro per l’addestramento al pilotaggio dei droni presso l’aeroporto militare di Amendola (Foggia).
Gli USA hanno venduto finora droni armati soltanto al Regno Unito, mentre i droni con finalità d’intelligence e non armati sono stati concessi a diversi Stati, tra cui alleati NATO come Francia e Italia. La base tedesca di Ramstein, principale hub logistico europeo dell’aeronautica USA, rappresenta un’infrastruttura chiave per il controllo e la trasmissione d’informazioni dell’intero sistema dei velivoli a pilotaggio remoto.
Altri Paesi, come Cina e Israele, dispongono già di propri droni armati. La base aeronautica statunitense di Creech, nel deserto del Nevada, rappresenta il cuore operativo delle azioni realizzate con gli APR in Afghanistan e Pakistan, coadiuvata da altre 9 basi in territorio americano in grado di controllare singole missioni.
Droni in Italia e accordi con la NATO
In Italia, la notizia più recente sull’impiego di droni per la sicurezza risale al 12 agosto, giorno in cui la Polizia di Stato all’aeroporto internazionale “Il Caravaggio” di Orio al Serio Bergamo, ha effettuato un’esercitazione di antiterrorismo denominata “Drone Attack”. E’ stato simulato un attacco armato ad opera di un terrorista nella zona “B” del Terminal, durante le operazioni di check-in, dei passeggeri di un volo diretto a Parigi, a bordo del quale avrebbe dovuto imbarcarsi un noto giornalista a rischio. Si sperimenta in campo.
Con questa esercitazione è stato applicato il protocollo contenuto nel Piano antiterrorismo, emanato dal Prefetto di Bergamo e attuato dal Dispositivo di Sicurezza Aeroportuale composto dalle Forze dell’Ordine e degli aeroportuali competenti, presenti nello scalo, coordinato dalla Polizia di Frontiera.
Alle procedure associate a tale operazione hanno partecipato: Questura e Guardia di Finanza, Squadre dei Vigili del Fuoco e del presidio medico aeroportuale, Unità Specializzate dei nuclei artificieri antisabotaggio e cinofile antiesplosivo della Polizia di Stato. L’intera operazione si è svolta in stretto contatto e collaborazione con la società di gestione aeroportuale Sacbo.
Durante il Congresso 2011, la Air Force si è espressa a favore del rafforzamento di un altro hub europeo nella base siciliana di Sigonella con funzioni di stazione di back up per impedire la perdita delle connessioni e dei dati, oltre al fallimento delle missioni.
La base aeronavale di Sigonella, situata tra Siracusa e Catania, istituita nel 1959 nel quadro politico-giuridico NATO, rappresenta una delle installazioni storiche per la presenza militare statunitense in Italia. La sua posizione quasi centrale nel Mar Mediterraneo la rende un importante punto strategico e, parlando di droni, attualmente vi sono stanziati APR Global Hawk con funzionalità di osservazione e sorveglianza a carattere permanente e altri APR in base ad autorizzazioni temporanee.
Per ottimizzare le risorse e rafforzare le capacità operative delle Forze NATO, l’Alleanza Atlantica sta sviluppando un programma di smart defence (difesa intelligente), di cui fa parte il sistema di sorveglianza del territorio Alliance Ground Surveillance (AGS). In base a tale progetto, è stata prevista la dotazione di una forza comune NATO di 5 APR Global Hawk Block 40 da schierare a Sigonella, rendendo la base siciliana lo snodo principale dell’Alleanza per la sorveglianza terrestre attraverso la manutenzione degli APR, l’analisi e diffusione dei dati raccolti e l’addestramento del personale operativo. Unità aggiuntive di velivoli Global Hawk (almeno 5) saranno destinate a Sigonella secondo la totale operatività del sistema AGS prevista per il 2017.
Prospettive del mercato mondiale
Gli Stati Uniti, principali venditori mondiali di droni insieme a Israele, cederanno progressivamente quote di mercato a favore di altri Paesi. Si stima, per i prossimi 10 anni, un volume degli investimenti in ricerca e sviluppo sui droni di circa 28,7 miliardi di dollari, di cui 11 miliardi provenienti dagli USA. Le previsioni in merito ai fondi stanziati entro il 2020 dall’Europa Occidentale ammontano a 5,2 miliardi di dollari, trainati da Francia, Italia e Regno Unito.
Germania, Francia e Italia hanno manifestato l’intenzione di collaborare allo sviluppo di droni per raggiungere una certa autonomia nella produzione d’immagini e informazioni per i propri servizi di intelligence legati al settore strategico per la difesa e la sicurezza nazionale. Il Segretario di Stato del Ministero della Difesa tedesco, ha annunciato in un’audizione al Parlamento federale che i tre Paesi hanno pianificato lo sviluppo di un drone di medie dimensioni da realizzare entro il 2025 e in grado di trasportare armi. A tal scopo, nel maggio 2015, i rispettivi Ministri della Difesa hanno siglato un patto per lo sviluppo congiunto di un drone europeo, che sarà probabilmente affidato alle società Airbus, Dassault e Alenia Aermacchi.
In Asia, l’investimento per la ricerca sugli UAV nel 2020 raggiungerà i 7,7 miliardi di dollari con particolare ruolo della Cina. Pechino sta intensificando i propri investimenti in questo settore per fornire prodotti tecnicamente competitivi ad un costo nettamente inferiore rispetto ai maggiori concorrenti internazionali. Tanto per fare un esempio, il costo del drone Wing Loong è di circa 1 milione di dollari, contro i 30 milioni dell’MQ-9 Reaper statunitense. La qualità e la tecnologia degli APR cinesi sono inferiori (come i suoi prezzi) rispetto a quelle israeliane e americane, ma si fanno avanti acquirenti esteri che si rivolgono alla Cina (es. Nigeria, Pakistan ed Egitto). Si prevede che il maggiore produttore cinese di droni, l’Aviation Industry Corp of China (AVIC), possa diventare entro il 2030 il maggiore venditore mondiale di APR militari.
Se gli Stati Uniti finora hanno condotto una politica molto restrittiva per l’esportazione dei propri droni armati, la Cina tace a riguardo delle sue intenzioni dimostrando un atteggiamento ambiguo e dalle sicure ripercussioni geopolitiche.
A livello mondiale, si prevede che, entro il 2022, le principali potenze militari estenderanno notevolmente le loro flotte di velivoli a pilotaggio remoto, i quali entro il 2030 potrebbero costituire il 50% del totale dei velivoli.
Un settore da regolamentare
L’avvento dei droni ha sollevato diverse discussioni riguardo a leggi e regolamenti in America.
Nel 2013, la Virginia ha approvato una moratoria temporanea sull’uso dei droni armati e, nel frattempo, è stato valutato il discorso etico e di sicurezza per adattare l’impiego di questa tecnologia all’interesse che prevale su tutto, quello economico, che poco c’entra con questioni etiche e morali, né più né meno come l’ambito militare. Amazon, tanto per fare un esempio, per la sua flotta destinata alle consegne, ha influenzato non poco diversi livelli di governo allo scopo di ammorbidire a suo vantaggio le restrizioni. E’ il business ciò che conta, prima della sicurezza, come la cosiddetta sicurezza è il pretesto per un controllo a 360 gradi da parte del potere.
Un problema serio legato all’uso dei droni riguarda l’aviazione e le possibili minacce che potrebbero arrecare alla sicurezza aerea. Esperti di aviazione e legislatori europei stanno discutendo sulla possibilità di zone di divieto di volo per i droni, programmi software per impedire il volo in aree sensibili e altre regole in merito.
Lo scorso mese, la Civil Aviation Authority del Regno Unito ha emesso un avviso a seguito di sette incidenti nel giro di dodici mesi causati da droni in volo vicino ad aerei di linea in diversi aeroporti britannici.
La Commissione Europea ha riconosciuto la possibile minaccia rappresentata dai droni incaricando le agenzie di sicurezza aerea di sviluppare regole comuni europee per il pilotaggio dei droni.
Il problema principale del pilotaggio dei droni è rappresentato, in particolare, nelle fasi di atterraggio e decollo; le conseguenze potrebbero essere potenzialmente devastanti. I motori degli aerei sono testati contro l’impatto di uccelli, ma per ora non esiste alcun dato sulla resistenza dei motori ad un drone di 4 o 5 kg risucchiato nelle turbine, ha spiegato Philip von Schoeppenthau, segretario generale della European Cockpit Association.
E, poi: una serie di regole basterà a tenere a bada i piloti di droni più inesperti?
I droni andrebbero equiparati agli aerei con pilota, violazioni dello spazio aereo incluse. La fregatura è questa: ai droni viene concesso il lusso di violare la sovranità nazionale di molti Paesi anche e soprattutto come strumenti militari e succede perché vengono visti come velivoli impersonali considerando che non ospitano a bordo piloti in carne e ossa. Ma questa violazione rappresenta di per sé l’intenzione di un altro governo di violare la sovranità di un altro Stato, un atto ostile.
L’invasione degli spazi aerei di questi velivoli dovrebbe rientrare, secondo alcuni, in una particolare teoria definita “la responsabilità oggettiva del controllo dei droni”. Si tratta di una materia non semplice da gestire, essendo nuova e legata ad una strategia decisamente subdola, che non potrà restare tale per molto e dovrà essere presto regolamentata.
I droni hanno queste principali caratteristiche da tenere presente:
– Sono strumenti militari nati per compiere missioni di spionaggio e attacco selettivo
– La loro missione viene pianificata da un certo numero di persone e, spesso, viene autorizzata dalla più alte gerarchie politiche e militari del Paese che li invia e li controlla direttamente in remoto anche se il loro volo, generalmente, è in modalità automatica
– Qualsiasi informazione, foto, rilevazione viene inviata attraverso il drone in tempo reale al centro di controllo
– Il drone può essere equipaggiato di armi o dirigere il fuoco di altri sistemi delle forze armate del Paese di provenienza.
Il responsabile diretto di ogni azione, missione ed esecuzione del drone è il centro di controllo.
Non si tratta di giocattoli ma di strumenti avanzati che esprimono la volontà e le intenzioni di un governo, dalla missione di spionaggio all’attacco contro il terrorismo e, includiamolo pure, la caccia ai criminali in città ora autorizzata dal Nord Dakota. Questo Stato americano è anche l’unica area in cui la FAA (Amministrazione Aviazione Federale) consente ai droni di raggiungere i 1200 piedi sopra il territorio statale e sono permessi i voli notturni.
Se questo non bastasse, l’uso di droni non è reclamato soltanto dalla polizia americana. Circola su Internet un video che riprende il drone di un civile armato di pistola. Prende la mira e spara, così tanto per tenersi in allenamento. Il bello è che la FAA e le autorità locali per ora dichiarano che il cittadino non ha infranto alcuna legge, anche se è in corso un’indagine federale.
Ecco il video del cosiddetto Flying Gun (la pistola volante)
La California come si comporta in merito?
Proprio nella patria della Silicon Valley, il cuore dell’innovazione dove tutto nasce, mette i paletti allo sviluppo dei droni, per essere precisi ai loro voli nella ‘loro zona’. I senatori locali per primi hanno chiesto di limitare il raggio d’azione dei voli ed è stata approvata una norma che vieta ai velivoli di volare sotto un tot di metri. E’ una questione di privacy e questi velivoli “non possono invadere la nostra sfera privata senza i relativi permessi”.
Ebbene sì, i droni vanno visti sia come mezzi militari che come strumenti di spionaggio. Il problemino è che i senatori dovranno vedersela con le lobby del settore, i signorotti dell’industria e dell’investimento, chi comanda davvero e vede nel business dei droni un mercato ghiotto. Difatti, a reagire all’iniziativa dei senatori è stato Michael Drobac, direttore esecutivo della Small UAV Coalition (associazione di legali unita al mercato dei droni), che ha praticamente bocciato la volontà del governo californiano dichiarando: “è una guerra persa perché la tecnologia vince sempre“. Alla faccia della sincerità…
Fonti: The Guardian, Daily Best, OPI, bloglobal.net