Le Lettere ai Morti costituiscono un genere letterario dell’antico Egitto nel quale i vivi per svariati motivi interpellano in forma scritta i defunti. Sono datate perlopiù tra la fine dell’Antico Regno (2700-2200 a.C.) e l’inizio del Primo Periodo Intermedio (2150-2050 a.C.). I primi ad averle identificate ed edite all’interno del corpus della letteratura egiziana sono stati Gardiner e Sethe (Egyptian Letters to the Dead mainly from the Old and Middle Kingdom, 1928), che ne elencano 6 (più 2 incerte). Ad oggi sono state scoperte in tutto almeno 14 lettere. Si possono leggere anche in traduzione italiana: G. Miniaci (a cura di), Lettere ai morti nell’antico Egitto, Brescia 2014.
Le Lettere ai Morti contengono quasi sempre richieste pratiche, spesso legate a problemi di eredità o a protezione da malattie o incubi.
I supporti usati sono tra i più differenti, infatti gli egiziani scrivevano questo genere di Lettere su lino, papiro, steli, supporti per vasi oppure ciotole. Gardiner e Sethe ipotizzavano che, relativamente al supporto costituito da ciotole, esso avrebbe dovuto essere particolarmente efficace per attirare il defunto, in quanto richiamato dal cibo contenuto nella ciotola. In effetti i defunti erano nutriti sia dal profumo dei fiori (l’uso di offrire fiori ai morti risale quindi all’antico Egitto) sia dal cibo lasciato in prossimità della tomba.
Gli studiosi hanno molto discusso riguardo le cause della genesi di una letteratura così particolare. Per molti le Lettere ai Morti nascono quando ci furono momenti di particolare crisi sociale e politica; quindi, per calmare la tensione gli egiziani ricorrevano ad un rapporto più forte con la spiritualità. Roccati ipotizzava invece che queste Lettere iniziarono ad essere prodotte quando l’importanza dei legami familiari divenne più sentita da parte degli egiziani. In effetti erano i parenti stretti che scrivevano le Lettere ai Morti ai propri cari defunti: questo perché di solito il culto ai morti era praticato dai parenti più vicini.
Di queste 14 Lettere solo due testimoniano la pratica egiziana di parlare con i morti nel sogno notturno. Infatti, nell’antico Egitto si pensava che il vivo che sognava andasse temporaneamente nell’Aldilà, dove incontrava divinità, demoni e anime dei morti. È interessante osservare che è proprio nelle Lettere ai Morti che compare per la prima volta nella letteratura egiziana la parola rsw.t, “sogno”.
Le due Lettere alle quali ci riferiamo sono:
- La Lettera ai Morti della Tomba N3737 di Naga ed-Deir (Museum of Fine Arts, Boston). In questa testimonianza l’apparizione del defunto è configurata come un incubo.
- La Lettera ai Morti su stele, di provenienza incerta (Michael C. Carlos Museum, Atlanta). In questa Lettera la defunta è invocata in sogno quale soccorso.
La prima Lettera alla quale abbiamo accennato, fu ritrovata durante la spedizione di Reisner nel 1932. Il supporto è il papiro, che venne rinvenuto piegato al di sopra di un pozzo secondario nella corte della tomba N3737, nel quale è seppellito un tale Meru. W. K. Simpson, The letter to the dead from the tomb of Meru, JEA 52.1 (1966). Simpson la data alla IX dinastia, alla quale viene ascritta la tomba di Meru, invece Roccati daterà la Lettera all’VIII dinastia.
Ecco il testo: (recto) “E’ un servo che parla al suo signore. È Heni che parla. Aiuto un milione di volte! È necessario prestare aiuto a chi è favorevole nei tuoi confronti, per quello che fa il tuo servo funerario Seni, facendo sì che il tuo servo stesso lo veda in sogno in un’unica città assieme con te. È il suo stesso carattere, infatti, che gli procura danno. Ora, ciò che accade contro di lui non gli accade certamente per opera di questo servo. Non c’è la responsabilità di questo servo per tutto ciò che avviene. Ecco, non sono io che ho causato che vi fosse una offesa contro di lui; sono altri che lo hanno fatto prima di questo servo. Fa’ dunque che sia custodito in maniera eccellente; fa’ che non si trascuri la sua protezione (verso) cosicché egli (Seni) non veda più in sogno questo servo”.
La Lettera vuol dire questo. Il vivo è Heni, il quale con la Lettera invoca un defunto affinché un terzo defunto (Seni) non sia più molesto.
Questa Lettera ha suscitato una problematica filologica assai rilevante. La parola “sogno” (rsw.t) ha nell’originale egiziano il determinativo di Seth. È l’unica volta in tutta la letteratura egiziana che tale termine ha questo determinativo specifico, si tratta di un hapax. Per alcuni filologi, dato che Seth è un dio spesso negativo, il suo simbolo indicherebbe semplicemente che il sogno di cui parla la Lettera sia negativo, cioè un incubo. Invece per altri filologi, il sogno in questione sarebbe un “sogno sethiano”. Nel Libro dei sogni ramesside la sezione finale è intitolata “Inizio dei sogni dei seguaci di Seth”, da ciò gli studiosi ipotizzano che nell’antico Egitto vi fosse una vera e propria setta o culto dedicato a Seth il quale proponeva ai suoi adepti il richiamo del dio Seth nei sogni, i cosiddetti “sogni sethiani”. Quindi, sulla base di questa ricostruzione, i filologi sostengono che Meru, o suo figlio (Heni), essendo seguaci di Seth, praticassero tali invocazioni di Seth durante il sogno.
Ma non finisce qui. Gli studiosi, infatti, hanno analizzato anche l’espressione “… che il tuo servo lo veda in sogno in un’unica città assieme a te”. La locuzione è presente anche in un passo della Lettera da Qao e indicherebbe l’Aldilà, visto dagli antichi egiziani come una città parallela nella quale abitano i morti. Seni e Meru sono entrambi defunti.
Riguardo questa Lettera sussiste anche un’altra problematica filologica. Si dice che Seni, il defunto che molesta Heni, non deve vedere più in sogno il servo, cioè Heni. Perché? È stato scritto molto a riguardo. Si dovrebbe dire che Heni non deve più vedere in sogno Seni in quanto Heni chiede la protezione contro gli incubi scatenati da Seni. Invece in questo caso si dice il contrario. Questo perché vivi e morti possono vedersi in sogno reciprocamente, dal momento che la dimensione onirica è come un vetro trasparente che separa e unisce i due mondi. Per approfondire: Szpakowska, Through a glass darkly. Magic, dreams, and prophecy in ancient Egypt, 2003. Il contributo in questione è una raccolta di saggi nei quali anche questa nota demonologa fa il punto riguardo le pratiche rituali e esoteriche nell’antico Egitto. La Szpakowska ha firmato altri importanti contributi sul tema.
Passiamo alla seconda Lettera, una stele della quale non solo non si sa bene il contesto archeologico di ritrovamento ma che è stata oggetto di ricollocazioni nei musei. Per approfondire la storia della vicenda: E. F. Wente, A misplaced letter to the dead, OLP 6-7 (1975-1976). E. Meltzer, The “misplaced letter to the dead”, and a stela, found again, ARCE Annual Meeting, Seattle (non pubblicato, 2008). R. Nyord, The Letter to Nebetitef on Her First Intermediate Period Stela in the Michael C. Carlos Museum, JEA 107.1-2 (2021).
Ecco il testo: “Detto da Merirtyfy a Nebetitef: Come stai? Si sta prendendo cura di te l’Occidente, in accordo con il tuo desiderio? Ecco, io sono la tua amata sulla terra, combatti per me, intercedi per il mio nome. Io non ho confuso alcuna formula al tuo cospetto, io faccio rivivere il tuo nome sulla terra. Rimuovi la malattia dal mio corpo, sii manifesta come uno spirito superiore, possa vederti combattere per me in sogno. Io allestirò per te delle offerte, sorto il sole …”.
Questa Lettera viene datata alla X-XI dinastia. Non si sa effettivamente chi sia Merirtyfy, che si rivolge alla defunta Nebetitef per essere guarita. Molto probabilmente sono parenti strette. Inoltre, il riferimento all’Occidente si giustifica perché gli egiziani credevano che quel luogo fosse la dimora dei morti.
In questa seconda Lettera la parola egiziana mr.t, “malattia”, ha lo stesso determinativo di Seth che abbiamo trovato nella parola “sogno” della prima Lettera che abbiamo descritto. Probabilmente l’autore della seconda Lettera vuole conferire un ulteriore alone semantico di negatività alla parola “malattia” oppure vuole intendere che la malattia, dalla quale Merirtyfy vuole essere liberata, sia prodotta da spiriti malevoli, come si credeva nell’antico Egitto.
Ma abbiamo un’altra problematica. A partire dall’età ellenistica nell’antico Egitto si cominciò a praticare il rituale della incubazione, per influsso greco. Il rituale consisteva nel dormire all’interno di un tempo: nel sogno poteva manifestarsi una divinità, la quale assecondava alcune richieste, dalla guarigione alla concessione di sapienza, a esigenze materiali, e così via. Altri studiosi, richiamando passi (dubbi) della letteratura egiziana, sostengono invece che l’incubazione fosse praticata in Egitto prima dell’età ellenistica, per influsso in questo caso dei rituali mesopotamici.
Uno dei vari testi richiamati dagli egittologi per supportare questa seconda ipotesi, è quello della Stele EA 278 (appartenente a Qenherkepshef, da Deir el-Medina, attualmente al British Museum): “Ho dormito nella tua corte e ho fatto una stele nel tempio”. Esso è un passo dubbio, come tutti, e lo abbiamo detto, perché non si riferisce precisamente alla pratica della incubazione in Egitto prima dell’età ellenistica, ma solo che il personaggio ha dormito nel tempio e quindi ha eretto un monumento. Il testo non dice se il personaggio abbia sognato né se abbia comunicato con gli dèi.
Una occorrenza simile, questa volta datata più a ritroso, cioè al Medio Regno, la si ha nella Biografia del nomarca Salemput I, nella sua tomba a Assuan, dove egli dice di aver dormito nel tempio durante una festività, dopo di ciò a palazzo vennero ricevuti copiosi doni da terre straniere, come a voler implicare che il suo passare la notte nel tempio avesse portato a qualcosa di propizio. Ma anche in questo caso non c’è menzione del sogno o di visione di qualcosa di soprannaturale durante il sogno.
Ancora. C’è un altro graffito dubbio, del Nuovo Regno, rinvenuto assieme ad altri graffiti agli inizi degli anni Ottanta del Novecento nel tempio di Deir el-Bahari, che alcuni interpretano come se all’interno del tempio vi fosse una sorta di sanatorio, per cui chi dormiva in esso veniva guarito per opera della divinità.
Ebbene, nella seconda Lettera dei Morti si legge: “io allestirò per te delle offerte”: alcuni studiosi hanno portato anche questo passo per corroborare la tesi che la incubazione esistesse in Egitto prima dell’età ellenistica. Costoro hanno sostenuto che le offerte portate da Merirtyfy facessero parte di un rituale di incubazione. Merirtyfy ha sognato nel tempio? Non è detto, è detto solo che essa ha sognato, non è precisato dove. Poi non è chiaro che siano offerte templari, bensì semplicemente offerte a un defunto, come se ne facevano spesso nell’antico Egitto. Non solo, ma il rituale di incubazione di solito riguardava divinità e non morti. Insomma, anche questo passo sarebbe alquanto discutibile.
Per quanto riguarda nello specifico i “sogni guaritori”, durante la incubazione, ma non solo (cioè la divinità appariva in sogno e guariva la persona, o un suo delegato che si recava nel tempio al posto dell’ammalato impossibilitato a spostarsi), essi sono testimoniati soprattutto in età ellenistica. Due erano i sanatori più importanti in Egitto: quello a Dendera e quello di Nefti.
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Marco Calzoli è nato a Todi (Pg) il 26.06.1983. Ha conseguito la laurea in Lettere, indirizzo classico, all’Università degli Studi di Perugia nel 2006. Conosce molte lingue antiche e moderne, tra le quali lingue classiche, sanscrito, ittita, lingue semitiche, egiziano antico, cinese. Cultore della psicologia e delle neuroscienze, è esperto in criminologia con formazione accreditata. Ideatore di un interessante approccio psicologico denominato Dimensione Depressiva (sperimentato per opera di un Istituto di psicologia applicata dell’Umbria nel 2011). Ha conseguito il Master in Scienze Integrative Applicate (Edizione 2020) presso Real Way of Life – Association for Integrative Sciences. Ha conseguito il Diploma Superiore biennale di Filosofia Orientale e Interculturale presso la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa – Istituto di Scienze dell’Uomo nel 2022. Ha dato alle stampe con varie Case Editrici 50 libri di poesie, di filosofia, di psicologia, di scienze umane, di antropologia. Ha pubblicato anche molti articoli. Da anni è collaboratore culturale di riviste cartacee, riviste digitali, importanti siti web.